Showing posts with label scienze. Show all posts
Showing posts with label scienze. Show all posts

30 July 2021

Physics with Giacomo Zucco

 
Scegliere fra fisica e medicina col lancio di una moneta, studiare la formulazione della relatività generale con i quaternioni, ripensare ai fondamenti della fisica... questo e molto altro in questa piacevolissima chiacchierata a ruota libera col mai banale Giacomo Zucco! — E non siate prevenuti, a dispetto del titolo si parla pochissimo di bitcoin, giusto sul finale ;)

31 December 2017

MUSE

MUSE, Trento
MUSE, interno del livello -1 e grande vuoto.
(Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)
Siamo stati al MUSE di Trento, un vero spettacolo.
 
Cosa ti è piaciuto di più? — mi hanno chiesto.
È difficile dirlo, non credo ci sia qualcosa che da sola metta in ombra il resto: è un effetto d'insieme, fatto di maestosità e di estrema cura del dettaglio.
La ricostruzione degli animali è stupefacente, ancor di più per il fatto di potersi avvicinare ad osservare fino a sbatterci il naso — la donna e l'uomo primitivo, ma soprattutto il ragazzino sono mozzafiato, tanto sono reali.
La loro disposizione sospesa lungo tutti e 5 i piani è di grandissimo effetto, così come di grandissimo effetto è la sezione sull'evoluzione del piano inferiore, a partire certamente dagli imponenti scheletri, ma senza dimenticare le riproduzioni di organismi primitivi — mi emoziona sempre pensare alla fauna di Ediacara e alla sua iconica hallucigenia.
Anche la sezione "interattiva", con i mille giochi da sperimentare in prima persona per la gioia di grandi e bambini, è per la prima volta nella mia esperienza in Italia all'altezza dei grandi musei europei. Noi siamo stati dentro 5 ore (ok, sì, di cui due di laboratorio) solo perché abbiamo sottovalutato quale sarebbe stata l'esperienza e ci siamo ritrovati sorpresi dall'orario di chiusura a dover concludere in fretta il nostro percorso, altrimenti chissà quanto tempo ancora ci saremmo trattenuti!
 
PS
Dieci anni fa avrei per prima cosa scritto questo post; oggi mi è scappato giusto un tweet striminzito. C'è voluto un commento di Marco per spronarmi a spendere due parole in più. Con tutto il male che si può dire, Facebook è anche questo.

02 June 2017

Higgs sulla Luna

 
Il tema è "il solito" nightmare scenario, ma uno degli elementi che rendono l'articolo interessante è il parallelo fra la "big science" della fisica delle alte energie e il programma Apollo della NASA per portare l'uomo sulla Luna. E a dir la verità la cosa interessante non è nemmeno tanto nel parallelo, ma proprio nella prospettiva con cui descrive l'impresa del volo spaziale con equipaggio, molto diversa, io credo, dall'usuale prospettiva con cui viene percepita dagli appassionati di scienza, fantascienza ed esplorazione spaziale in particolare. Una prospettiva, quella tratteggiata da Jester, essenzialmente oggettiva e tutto sommato auto-evidente, nonostante ci sia bisogno di esplicitarla per bene perché risulti evidente.
 
Finanziato nel 1961, il programma Apollo della NASA portò in soli otto anni il primo uomo sulla Luna. Tale straordinario successo, frutto di investimenti giganteschi, sembrava presagire l'alba di una nuova era nella storia dell'umanità. Non possiamo non riconoscere, oggi, che quello fu in realtà l'apice, e non l'inizio, dell'esplorazione umana dello spazio.
Terminate le missioni lunari, il programma spaziale fu ridotto e si decise di puntare su un veicolo ri-usabile capace di portare carico pesante ed equipaggio in orbita bassa: lo Space Shuttle. Per dare uno scopo a tale progetto si pensò ad una stazione spaziale, l'ISS, per la costruzione e il rifornimento della quale usare lo Shuttle. La stazione internazionale è diventata un laboratorio spropositatamente costoso in cui effettuare esperimenti in gran parte poco o punto interessanti. Le poche eccezioni, come il rivelatore di raggi cosmici AMS (Alpha Magnetic Spectrometer), avrebbero potuto essere effettuate con un lancio di un satellite indipendente ad un frazione del costo.
Sulla stazione spaziale internazionale sono stati spesi centinaia di miliardi di dollari senza obiettivi precisi e senza rilevanti progressi tecnologici o scientifici.
A margine del programma spaziale con equipaggio, NASA ed ESA hanno sviluppato una varietà di missioni indipendenti senza equipaggio: hanno lanciato sonde verso Marte, Giove, Saturno e Plutone, verso comete e asteroidi; hanno messo in orbita satelliti con sofisticati rivelatori su programmi di fisica fondamentale di grande impatto: COBE, WMAP, Plank giusto per dirne alcuni.
Tutti questi progetti sono stati di gran lunga più piccoli e più economici del programma spaziale con equipaggio umano.
 

26 March 2017

Diverticoli devoniani e vita intelligente

«Non è curiosa l'evoluzione? Il nostro orecchio medio è una camera con un tubo che nel Devoniano serviva a respirare, dove alloggiano ossicini ridotti (incudine e martello) che nel Devoniano (e almeno fino al Triassico) servivano per muovere le mandibole, per masticare. Dentro il nostro organo auditivo abbiamo vestigi[a] di un sistema respiratorio e mandibolare paleozoici.»
 
In un post di ampio respiro, “Buena Vista”, ovvero: come imparammo a vedere e a riflettere meglio [edit] (sic), Andrea Cau tratteggia un affresco, dicevo, dal fascino reverenziale, che si sviluppa contemporaneamente su piani ancestrali e moderni, lungo direttrici insieme contingenti e geologiche.
 
L'ancestrale contingenza è quella di alcuni sarcopterigi paleozoici — pesci dotati di due sistemi di approvvigionamento del comburente: il solito, che preleva ossigeno dall'acqua tramite le branchie, ed uno più efficiente che lo preleva dall'aria usando un diverticolo del sistema digerente — che per meglio adattarsi ad acque basse, torbide e relativamente poco ossigenate avevano evoluto, attorno al passaggio fra il Devoniano Medio al Superiore, una posizione più dorsale per il loro spiracolo e per le orbite oculari, nonché un aumento di dimensione di quest'ultime.
 
La prospettiva moderna su scala geologica riguarda il drastico cambio di contesto che l'accesso al nuovo ambiente subaereo avrebbe comportato: da un mondo sensoriale limitato a pochi centimetri (non solo in termini visivi, anche in termini di linea laterale), cioè uno spazio di azione di pochi secondi, ridotto quindi a mere reazioni, rapidissime e immediate, cioè generali e semplici, ci si affacciava su un mondo più vasto, con visibilità a lungo raggio e spazi d'azione su tempi più lunghi, in cui ci si poteva concedere il lusso di comportamenti più elaborati, differenziati in base al contesto: un mondo, cioè, in cui un cervello più sviluppato poteva costituire vantaggio evolutivo.
 

20 December 2016

Segnalibro

 
 
Dietro un titolo abbastanza imbarazzante (Sean Carroll non è nuovo a questi registri, è sua l'espressione poetic naturalism) si cela in realtà un bel compendio (allo stesso modo Sean Carroll non è certo nuovo a insightful blogpost) di quel che ero riuscito a capire, a suo tempo, del concetto di particella in teoria dei campi e della differenza fra prima e seconda quantizzazione, che spesso si perde via nel passaggio fra il corso di meccanica quantistica e quelli di particelle (teorici o fenomenologici) o di teoria a molti corpi.
 

30 September 2016

nautil.us

 
Per chi ancora non fosse incappato in nautil.us (o non si fosse reso conto del suo valore), volevo segnalare e rendere omaggio a questa notevole iniziativa editoriale di ambito scientifico con taglio divulgativo: un insolitamente equilibrato coniùgio di rigore e suggestione.
Ogni mese un tema — un issue — e ogni settimana di quel mese una manciata di articoli su quel tema. Così si può fruire come un qualsiasi blog (se non fosse che la qualità e lo spessore degli articoli li porta molto presto fuori dalla finestra di tempo disponibile per la lettura... — io non riesco a stargli dietro), ma il taglio monografico si presta perfettamente ad un formato di pubblicazione più simile ad un'agile saggistica; e infatti è possile fruirne in formato cartaceo o eBook, abbonandosi opuure una tantum su un singolo issue.
 
Come un blog, dicevo, ma invero nautil.us un blog ce l'ha davvero — in più! — con contenuti e temi indipendenti dall'issue del mese. E questo blog ha un nome, e questo nome si porta dietro un effetto speciale così commovente che in realtà il vero motivo per cui mi sono messo a scrivere questo post è proprio quello di raccontarvelo.
 
Come sapete io leggo tutto grazie al mio fedele GrazeRSS (powered by feedly), cioè via feed RSS.
L'interfaccia principale (sia sul cellulare che sul browser) è quella di una lista di titoli — eventualmente da aprire per leggere... o scartare direttamente come letti senza nemmeno aprirli: ah, l'infoxication contro la FoMO!
 
Ora succede — e finalmente veniamo al punto — che il blog di nautil.us ha adottato la prassi di posporre il titolo del blog al titolo specifico di ogni suo post, col risultato, però, visto il titolo del blog, di lasciar intendere che si tratti un commento al contenuto del post: Facts so romantic.
 

06 May 2016

PR-boxes: correlazioni senza segnali superluminali più forti dell'entanglement quantistico

Spontaneous parametric down-conversion figure.png
Spontaneous parametric down-conversion
(Wikimedia Commons, the free media repository)
Conoscevo le disuguaglianze di Bell come formulazione quantitativa dell'idiosincrasia della meccanica quantistica per realismo o località; non sapevo che è concepire delle misure correlate in maniera ancora più forte di quanto lo siano misure su sistemi entangled, me mantenendo la condizione di non usare (cioè senza implicare la possibilità di inviare dei) segnali superluminali.
Debbo la scoperta ad un breve pezzo su quantumfrontiers, si tratta delle cosiddette PR-boxes e più genericamente si parla di superquantum correlations, e ovviamente viene naturale chiedersi come mai in natura si diano correlazioni più forti di quelle completamente locali, quelle dell'entanglement, ma non ancora più forti come quelle di ipotetiche PR-boxes, e se ci sia qualcosa di profondo sotto...

02 May 2016

La maledizione giapponese per l'astronomia spaziale a raggi X

M-V with ASTRO-E veering off course.jpeg
M-V-4 with ASTRO-E veering off course
(Public Domain)
Avrete probabilmente sentito del satellite giapponese Hitomi per l'astronomia nei raggi X, messo in orbita lo scorso febbraio, e dei problemi che ha avuto proprio quando stava cominciando le sue misurazioni scientifiche, causando la perdita completa dello strumento.
Ebbene, ho scoperto che si tratta di una vera e propria maledizione! Prima che gli cambiassero nome in Hitomi, il telescopio si chiamava ASTRO-H ed era il terzo (terzo!) tentativo dell'agenzia spaziale giapponese (JAXA) di mettere in orbita un satellite per l'astronomia a raggi X.
Il primo tentativo di uno strumento di questo tipo, ASTRO-E, è del febbraio 2000 ma non riuscì nemmeno ad arrivare in orbita per l'esplosione del razzo vettore; 5 anni dopo ci riprovarono con una copia esatta del satellite, ASTRO-EII, che riuscì ad entrare in orbita ma fu vittima di un malfunzionamento dello strumento principale, il quale dopo pochi giorni smise di funzionare a causa di una perdita di elio liquido necessario per il suo raffreddamento.
E adesso? Appuntamento fra 15 anni?

03 April 2013

No science at all?

Devo confessare che sta cominciando a infastidirmi questo ruolo di complottista in cui mi si infila nonappena cito la scuola austriaca. Questa volta è capitato nientemeno che con Marco Delmastro.
Ora, era ovvio che la sua domanda fosse orientata non tanto all'economia in generale quanto all'econofisica, in cui si cerca di applicare modelli di meccanica statistica ad oggetti di natura prevalentemente finanziaria. Era ovvio, perché rappresenta il naturale tentativo di approccio all'economia di chi ha studiato fisica.
La mia risposta, perciò, era chiaramente fuori tema e volutamente provocatoria (per questo mi sono affrettato a precisare che l'àmbito del mio suggerimento di lettura non era né la finanza né tantomeno l'econofisica).
Però la sua risposta non è stata del tipo: "ok, ma mi interessava altro", bensì del tipo: "ma quelle sono solo una serie di opinioni, non è punto scienza!".
 
Nel lungo thread Metodo e spiegazione scientifica mi sono già dilungato in chiave epistemologica sul problema della demarcazione e sulle sue "applicazioni" in ambito sociologico, in generale, ed economico in particolare.
In questo post mi limiterò pertanto a qualche osservazione più superficiale, per suggerire che, anche senza passare, con Quine, sul cadavere di Popper, è possibile accorgersi che c'è qualcosa di profondamente ingenuo, se non di palesemente sbagliato, nell'idea che sia sufficiente, in qualsiasi campo, applicare i metodi della fisica o della matematica per ottenere (finalmente?) risultati "scientifici": e l'economia non fa eccezione affatto.
 
Innanzitutto va sottolineato che la meccanica statistica, per definizione, non affronta la natura dei sistemi a cui è applicata: questo è il motivo della sua estrema versatilità ed efficacia, ma è anche il suo limite epistemologico. Il suo approccio è precisamente quello di dedurre la fenomenologia macroscopica a partire da pochi principi microscopici (simmetrie e località delle interazioni), da alcune assunzioni di casualità (giustificate da considerazioni ora di ergodicità classica, ora di intrinseca stocasticità quantistica) e dal loro "scalare" con le dimensioni del sistema (e.g. equilibrio infrarosso, flusso di rinormalizzazione, transizioni di fase, etc...). E' dunque ingenuo pretendere di riuscire a capire l'economia attraverso la meccanica statistica e, anzi, un suo eventuale successo descrittivo, predittivo persino, sarebbe soltanto la prova che il sistema non contiene forzanti macroscopiche rilevanti e che la sua evoluzione è essenzialmente governata dalle leggi browniane del random-walk: quasi, dal punto di vista del fisico, la prova che non c'è niente di realmente interessante. E infatti di solito i modelli fisico-matematici applicati alla finanza sono efficaci precisamente nei periodi "di calma piatta", quando, cioé, non ci sono "forze" su scala macroscopica e l'andamento è davvero governato dalla casualità microscopica. Se questo è tutto quello che si chiede, ben venga l'econofisica. Ma non parliamo, per favore, di capire l'economia.
Se, d'altra parte, un analisi più specifica delle dinamiche economiche porta ad escludere quasi a priori la possibilità di descrizioni e previsioni quantitative (rivoluzione marginalista, soggettività del valore, assenza di equilibrio per "everchanging landscape"), non la si deve necessariamente considerare una prova di non-scientificità, proprio come la scientificità dell'evoluzione darwiniana non viene minimamente scalfita dal fatto che non si possano prevedere tempi e modi delle prossime speciazioni.
Del resto quali breakthrough ha portato l'econofisica all'economia? Si è forse riusciti a prevedere questa crisi apocalittica che dal 2008 ancora non ci fa vedere la luce fuori dal tunnel? Forse che le dinamiche che l'hanno determinata non erano quelle messe in conto dalle modellizzazioni meccanico-statistiche? Ma più in generale ancora, al di là dell'econofisica, quali sono i breakthrough dell'economia tout court? E' riuscita forse lei, anche senza meccanica statistica, a prevedere questa crisi? O non è forse stato proprio il suo approccio keynesiano a causarla? Non vorrei ripetere cose già dette, ma dov'è tutta questa "scientificità" dell'economia, se le diverse scuole non sono d'accordo su niente, se le varie teorie, pezzi sconnessi senza puzzle, si succedono come mode senza alcun percorso, senza alcuna "crescita" di conoscenza?
 
E allora io non so su quali basi Marco si sia fatto l'idea che la scuola austriaca non sarebbe scientifica: davvero gli è bastata la ridotta presenza di matematica? o forse si è basato sul fatto che venga generalmente considerata eterodossa, e dunque, evidentemente, non scientifica, da neoclassici e keynesiani, sedicenti scientifici?

12 February 2013

Darwin Day

Quasi fuori tempo massimo, provo ad insistere nel tenere in vita la tradizione del Darwin Day, del tutto simbolicamente, limitandomi a qualche link.
E ho gioco facile, perché mi basta prendere come riferimento l'ottava edizione del carnevale della Fiera della biodiversità (secondo me in questi contesti il termine carnival non andava tradotto con carnevale...), questa volta ospitato dal Leucophaea di Marco Ferrari. Il quale, per l'occasione, firma anche un pezzo su Query Online, Ci stiamo evolvendo? che riprende proprio il tema di uno dei miei peraltro pochissimi post per il vecchio e ormai defunto progetto galileo, L’evoluzione dell’uomo si è fermata. Ma perchè, dove stava andando?.
In realtà di quest'ultima fiera della biodiversità non ho ancora fatto in tempo a leggere quasi niente, se non il contributo di Danilo Avi C’è più di un modo di essere su un’isola e i primi paragrafi del contributo di tupaia, Orribile insetto gigante risuscitato cerca casa accogliente (Dryococelus australis); ma potete precedermi sulla fiducia.

22 December 2012

La democrazia per la scienza

(Un altro post verosimilmente rubato a fabristol)
Questo recente post di Amedeo Balbi, Geek di tutto il mondo, unitevi! rappresenta una straordinaria cartina tornasole capace di mettere in evidenza quanto sia cambiata la mia prospettiva col libertarismo.
 
Qualche anno fa avrei condiviso ogni singola virgola di quel post, avrei partecipato totalmente al suo sentimento di indignazione e di sconforto e di impotenza nel rendersi conto una volta di più di quale accozzaglia di ignoranza e incompetenza fosse composta la nostra classe dirigente.
Qualche anno fa sarei entrato nel merito della discussione. Oggi mi rendo conto — non riesco a capacitarmi di come si possa non rendersi conto — che è il gioco stesso ad essere perverso.
Per restare nell'ambito del post di Balbi sulle politiche per la ricerca scientifica, anche assumendo un'indiscutibile competenza della classe politica, è davvero così ovvio che esistano risposte oggettive a tali questioni? Chessò, se sia meglio Marte o Titano?? Se sia il caso o meno di finanziare ancora per altri 40 anni la ricerca in teoria delle stringhe? E mi sono volutamente tenuto alla larga da temi "scottanti" come l'evoluzione, i cambiamenti climatici o le medicine alternative.
 
Qualche anno fa mi sarei schierato senza tema di errore a fianco di quelli come Balbi. Oggi mi rendo conto — non riesco a capacitarmi di come si possa non rendersi conto — di quale sia la contraddizione insita in una tale posizione.
Da una parte, infatti, siamo nel bel mezzo di un tipico processo di discussione democratica, da parte dell'elettore, delle politiche che i suoi rappresentanti eletti saranno chiamati a realizzare; dall'altra, quello stesso processo di discussione democratica viene implicitamente disdegnato, difendendo elitariamente un proprio punto di vista come migliore: l'argomento a favore di determinate politiche (per la ricerca scientifica), infatti, non si basa su un presunto principio democratico — "ah, questi politici, che non fanno quello che vuole la gente!" — ma su una presunta oggettività della tesi, che purtuttavia si caratterizza come paradossale, nel senso etimologico del termine di contro l'opinione comune: "ah, questi politici, che se saranno votati dalla maggioranza non faranno quello che è giusto fare".
Parlar male della sinistra non significa voler difendere posizioni di destra (lungi da me, i libertari sono in alto), però questa contraddizione profonda pervade tutto il pensiero di sinistra, dando ragione del termine radical chic: da una parte la pretesa di avere la ricetta giusta, di sapere come si devono fare le cose, e dall'altra l'aver accettato il processo democratico del governo della maggioranza. Se credi che le cose debbano essere fatte in un certo modo e non in altri, l'aver accettato il metodo democratico dovrebbe essere vissuto come una limitazione, soprattutto in un ambito, come quello della ricerca scientifica, in cui stai esplicitamente dichiarando che la maggior parte delle persone non sa cosa sarebbe meglio fare (giusto per ribadire che non voglio difendere posizioni di destra, questi ultimi non vivono questa contraddizione… semplicemente perché tipicamente ammettono senza troppe remore la propria indole assolutista e la predilezione per metodi autoritari).
Del resto si tratta di una contraddizione intrinseca di qualsiasi "dibattito" democratico: non puoi pensare che la politica giusta sia quella scelta dalla maggioranza e, contemporaneamente, che tale maggioranza non sappia quale sia la politica giusta — e tu debba istruirla a tal proposito.
 
E l'ambito scientifico da cui sono partito è solo il caso particolare di una condizione del tutto generale. E' precisamente la stessa contraddizione che si sta palesando, in maniera più stridente che "nei periodi normali", in questi tempi di grillismo e antipolitica. Quel sentimento radical chic di Balbi per le competenze scientifiche dei politici (ma sia chiaro, il libertarismo non ha cambiato la mia immagine scientifica del mondo, e ovviamente sono d'accordissimo con lui nel giudicare come rozze le competenze scientifiche dei politici, ma non è di questo che stiamo parlando) è lo stesso di coloro che criticano Grillo e il suo populismo (e, ugualmente, sia chiaro che non voglio qui minimamente difendere le più che variegate posizioni di Grillo). La democrazia è questo: governo della maggioranza (che sarebbe meglio chiamare minoranza meglio organizzata), che con la scusa dell'aver avuto il più dei voti si auto-giustifica nella prevaricazione sulle varie minoranze (che insieme sono la maggioranza meno organizzata).
Nei giorni scorsi di primarie del PD e parlamentarie di Grillo, la contraddizione era stridente e perforante, ovunque si leggesse. Riporto un solo link fra mille, un po' a caso, a mo' di casalinga di Voghera del web: il suo discorso gira completamente a vuoto, criticando le scelte dei candidati "dall'alto", "di partito", che sarebbero appunto per questo "non democratiche", ma allo stesso tempo criticando i modi di Grillo, cercando qualche ragione per poter dichiarare anch'essi "non democratici": perché non ci sarebbe un programma su cui l'elettore dovrebbe basare la sua scelta (l'elettore, questa figura mitologica del saggio che tutto pondera e tutto considera prima di consacrare il proprio voto), perché non ci sarebbe garanzia sulle procedure (e se invece questa garanzia ci fosse stata, sarebbe bastato questo a garantire un esito diverso? più saggio? più competente?). Alla fine il dubbio gli viene ("davvero non vedo molte ragioni per dargli torto"), insieme alla convinzione che non ci siano vie di scampo.
Ma il dramma di tutto questo è che nessuno si rende conto che è proprio la democrazia, a non offrire scampo; che è il gioco stesso che porta al baratro.
Perché? Perché io stesso non me ne rendevo conto, fino a pochi anni fa?
Forse perché non si riescono ad immaginare alternative. Forse perché l'unica alternativa alla democrazia che si riesce ad immaginare è una dittatura: la democrazia non è perfetta, ma è il meno peggio che abbiamo, si sente dire con rassegnazione vestita di saggezza.
Come l'adepto di una religione, che non vede nient'altro che il proprio credo. La religione di stato.

24 November 2012

Le teorie di calibro di Weyl /sequel

Dice Sean Carroll nel suo post di Thanksgiving 2012:
[...] it’s called a gauge field, because Hermann Weyl introduced an (unhelpful) analogy with the “gauge” measuring the distance between rails on railroad tracks.
Ma dove diavolo avrà letto di questa presunta, unhelpfull, metafora della distanza fra le rotaie di una ferrovia? Forse da uno dei significati comuni del termine gauge?
Mi toccherà tradurre in inglese il mio post Le teorie di calibro di Weyl?

12 November 2012

Le teorie di calibro di Weyl

Post per Delio, questo, chissà se mi legge ancora,
dopo tutta questa serie di post su Quine, prima, e sugli austriaci, poi,
che hanno fatto evaporare quasi completamente la fisica
da questo, un tempo rispettabile, bel blog di fisica (bontà sua…).
Questo recente post di Peppe Liberti su Focus.it, Il circolo di Weyl, mi ha ricordato la storia dell'origine del termine gauge usato oggi per indicare le teorie di campo con simmetria (interna e) locale. Non ricordo più dove la lessi, forse sul Gravitation di Wheeler. Non pare sia una cosa molto nota, fra i fisici, e tutto sommato giustamente, visto che si tratta di una curiosità storica. Ma era una storia che mi aveva colpito, per l'idea molto suggestiva di un'estensione della simmetria della relatività dalla sola rotazione della tetrade alla sua "scala", e così provo a riportarla qui per i miei strenui lettori. Non che sia chissà quale segreto, la pagina di wikipedia sulle teorie di gauge, sia in italiano che in inglese, riporta tutto e più di quel che ricordi io stesso.
 
Avevo già avuto modo di parlarne quasi cinque anni fa — vi ricordate, quando ancora esistevano i blog? — in calce a questo post di Lap(l)aciano, Simmetrie di gauge (II). Si disquisiva di quale fosse, storicamente, la prima teoria di guage in assoluto. La domanda non fa distinzione fra questioni semantiche e questioni nominali, e la risposta è costretta a dover distinguere.
Fra le teorie che oggi chiamiamo "di gauge", quella che fu formulata storicamente per prima fu la teoria di Maxwell per l'elettrodinamica classica, ma, quando fu formulata, il termine "simmetria di gauge" non esisteva ancora e la simmetria delle equazioni di Maxwell era espressa in termini di una funzione di trasformazione per i potenziali scalare e vettore che lasciavano inalterati i campi elettrici e magnetici (cfr. Gauge fixing).
La prima teoria formulata esplicitamente come teoria di campo con una simmetria "locale" è stata la relatività generale, ma anche in quel caso, nella formulazione originale di Einstein, la simmetria di gauge era in realtà espressa come principio di covarianza generale, ovvero come simmetria rispetto ad un'arbitraria trasformazione (differenziale) di coordinate. Fu appunto Weyl ad elaborare un formalismo alternativo ma equivalente, quello delle tetradi, in cui il principio di covarianza poteva essere interpretato come una simmetria rispetto ad un'arbitraria rotazione, locale, della base del fibrato tangente. Ma nemmeno in questa formulazione, ancora, si usa il termine gauge. Il termine gauge viene introdotto però in quello stesso momento, dallo stesso Weyl appunto, nel tentativo di estendere tale formalismo per spiegare anche l'elettromagnetismo di Maxwell in termini geometrici, come la relatività di Einstein spiegava la gravità. L'idea suggestiva di Weyl era quella di estendere la simmetria della teoria di campo non solo alla rotazione della tetrade ma anche alla sua "dimensione", alla lunghezza dei vettori della base. Ecco il motivo del termine gauge, calibro, a richiamare l'idea di una misura di lunghezza.
Purtroppo il tentativo, in questo preciso approccio, non funzionò. Ma l'idea fu feconda: l'elettromagnetismo poteva davvero essere interpretato come una teoria di campo con simmetria locale, solo che bisognava restare attaccati al concetto di simmetria per rotazioni, come quella delle tetradi, ed abbandonare invece il concetto che la simmetria dovesse riguardare lo spaziotempo o il suo fibrato "naturale". Il quadripotenziale di Maxwell andava infatti interpretato come il generatore di Lie di una simmetria rispetto alla rotazione della base di un ulteriore fibrato "astratto". A dispetto del cambio di contesto, il nome restò, e da allora per le teorie di campo si parla di simmetria di gauge tutte le volte che c'è invarianza rispetto ad una trasformazione locale di un generico gruppo, generalizzando il caso del gruppo delle rotazioni. Tutte le interazioni fondamentali, in particolare, sono interpretate come l'effetto di una simmetria di questo tipo rispetto a gruppi di simmetria associati alle cariche dell'interazione (elettrodebole e di colore).
 
Ma la morale di questa storia non è solo di carattere storico ed etimologico.
Nei corsi di teoria dei campi il concetto di simmetria di gauge viene presentato come "promozione" a simmetria locale di una simmetria globale. L'esempio classico è proprio quello della fase e della funzione d'onda a cui si assegna una dipendenza dalle coordinate spaziali: eiφ(x). La "potenza" di tale estensione è evidente, visto che è sufficiente questa sola richiesta di "località" della simmetria per dedurre, via accoppiamento minimale, le equazioni di Maxwell per l'interazione elettromagnetica. Ma la cosa sembra un po' piovere dal cielo: perché mai dovremmo inventarci questa dipendenza puntuale della simmetria? Oltretutto tale estensione viene interpretata come una richiesta "più forte" di simmetria, visto che la classe di trasformazioni rispetto alla quale la teoria deve restare invariata è più ampia. Ebbene, le motivazioni di Weyl che portarono alla formulazione delle teorie di "gauge" mettono in luce la vera natura della richiesta di "località" della simmetria, da ricondurre, in fondo, al principio di covarianza generale.
Quando Einstein richiede che le equazioni della fisica siano invarianti rispetto ad una qualsiasi trasformazione di coordinate, sta effettivamente richiedendo una simmetria più forte di quella che fossero invarianti solo per trasformazioni inerziali. Ma il senso di tale richiesta è l'esatto opposto di quello di imporre una condizione più stringente, ed è quello, appunto, di rilasciare un vincolo, arbitrario, per il quale una classe particolare di sistemi di riferimento avrebbero avuto un fiocco rosso. Allo stesso modo la richiesta che la teoria di gauge abbia una simmetria locale va interpretata come la rinuncia al vincolo per cui la base dell'algebra del gruppo sia orientata rigidamente dappertutto.
Così, come il campo gravitazionale è un effetto inerziale dovuto alla necessità di dover "connettere" (nel senso tecnico di geometria differenziale del termine) due punti distinti non necessariamente reciprocamente inerziali, allo stesso modo l'elettromagnetismo è un effetto che potremmo dire "U(1)-inerziale" dovuto alla necessità di dover "connettere" due punti distinti che non necessariamente hanno la base dell'algebra (la fase) "orientata" allo stesso modo.

08 November 2012

   [0] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
§  Dichiarazione del tema
Post di vaste pretese, questo.
Tutto nascerebbe da una questione apparentemente marginale, ovvero il rapporto degli austriaci col positivismo. I primi da intendersi, ovviamente, non come popolazione di lingua tedesca localizzata in Austria, ma come metonimia per una tradizione di pensiero in campo economico; il secondo da intendersi, inizialmente, come approccio metodologico ai temi economici. Ho detto "inizialmente" perché il passo dal positivismo economico al positivismo scientifico è breve, soprattutto per chi come me ha un tenero rapporto d'affetto con quest'ultimo.
Il fatto è che questi economisti di scuola austriaca hanno invece un pessimo rapporto col positivismo, e per me le critiche al positivismo rappresentano, in genere, il primo campanello di allarme per sospetto idealismo tedesco (latente). E poiché la gente pensa già che col libertarismo io abbia abbracciato una sorta di setta satanica à la Scientology, se si fanno anche l'idea che abbia sdoganato pure i continentali, penseranno le peggiori cose di me — il libertarismo ti rivolta come un calzino... ma Hegel resta Hegel!
E' urgente più che mai, dunque, fare chiarezza sulla questione.
 
Siccome però questo post cominciava a diventare più lungo del solito (il che è tutto dire), e poiché pare che sul web pubblicare cose lunghe non sia cortesia verso il lettore, ho pensato di spezzarlo in più parti.
E così per ora mi fermo qui, lasciandovi a crogiolare nell'attesa della prossima puntata.

30 August 2009

Relational physics

Coincidenze temporali?
Tomate comincia un serial su Julian Barbour e il "relazionalismo" poco dopo che, per puro caso, leggevo questa news dal "notiziario sissa", che mi rimandava qui, dove, oltre che da disegni e animazioni, rimanevo colpito dal framework Relational Quantum Gravity e mi tuffavo su en.wiki scoprendo questo e questo.
Altre letture da mettere in To Do List al punto Meccanica Quantistica, e non ho ancora spuntato nemmeno il primo sotto-punto Zurek...

20 May 2009

Stephen Jay Gould

Un passaggio veloce, giusto il tempo per unirmi anch'io, con Marco, al ricordo di un grande: Stephen Jay Gould.
Lo conobbi per la prima volta con Questa idea della vita, ma conservo per sempre ricordi specifici per quasi tutti gli innumerevoli saggi che ho avuto modo di leggere, ciascuno frutto succoso capace di estasiarti parola dopo parola con un inconfondibile sintesi di intelligenza e stupore, con quella sua capacità di andare a fondo e di darti allo stesso tempo un respiro di grande vastità.
Marco mi perdonerà se gli rubo le parole per descrivere precisamente la sua stessa riverenza nei confronti di Gould. Se gli rubo le parole per ricordare la sua prosa quasi mantrica, la sua abitudine a scavare le motivazioni più profonde, soprattutto storicizzando ogni vita e ogni pensiero e per rimanere come lui compiaciuto che dai suoi articoli sono nati blog, libri, ragionamenti e ipotesi-teorie; alla faccia della divulgazione che non serve a niente.
Come Marco, oggi metto anch'io da parte qualche personale divergenza di opinioni, incapace comunque di intaccare anche solo minimamente la singolare venerazione che nutro nei suoi confronti.

15 April 2009

darwinisti teorici e darwinisti sperimentali

Il punto c di questo commento di sagredo su Progetto Galileo mi ha fatto ricordare che avevo un post nel cassetto. Finisco ora di scriverlo e lo pubblico subito.
 
C'era una volta (ennesima dimostrazione della tempestività con cui questo blog scatta sulla notizia) Scott Aaronson che annunciò la pubblicazione dell'ultima lezione del corso Quantum Computing Since Democritus. Ho avuto modo di parlare molto di questo corso, anche se meno di quel che mi sarebbe piaciuto. Avrei in tasca, per esempio, almeno un altro spunto che, periodicamente, prende a frullarmi per la testa, ma ormai sta cominciando a formarsi la muffa su quel Bonus Addendum nascosto in fondo alla terza lezione... chissà quando troverò il tempo di tornarci su (anzi, sto cominciando anche a scordarmi tutte le cose che volevo dire a riguardo...).
Nel frattempo, mi limito a sengalarvi quest'ultima lezione, anche perchè non si parla solo di complessità computazionale. Come sempre, del resto, nelle sue lezioni. Ma in questa in particolare, visto che si intitola Ask Me Anything. Anzi, mi permetto addirittura di riportarne, traducendoli molto liberamente (e rozzamente) in italiano, alcuni stralci più significativi e meno tecnici.

   —   ∴   —   

Scott: Altre domande? Magari una meno tecnica?
D: Come risponderesti ad un sostenitore dell'Intelligent Design? Senza farti sparare?
Scott: Be', davvero non saprei. E' uno di quei casi in cui potremmo applicare il principio antropico: se su questa cosa fosse stato possibile convincerlo con l'evidenza, non si sarebbe già convinto? Secondo me dobbiamo accettare che ci sono persone per cui la cosa più importante nelle proprie convinzioni non è se queste corrispondono al vero; altre proprietà sono più importanti, quali ad esempio il proprio ruolo in una comunità. Stanno giocando, cioè, un gioco diverso, in cui le credenze sono giudicate con standard diversi. E' come un giocatore di basket su un campo di calcio. Come potrà mai vincere?
[...]
Scott: E' chiaro che la religione svolge una qualche funzione, per le persone, altrimenti non sarebbe stata così onnipresente per migliaia di anni o non avrebbe resistito a significativi sforzi per eliminarla. Per esempio, forse le persone che credono che Dio stia dalla loro parte sono più coraggiose in battaglia. O forse la religione è uno dei fattori (fra altri più ovvi) che induce uomini e donne a sposarsi ed avere un sacco di bambini, e dunque rappresenta un tratto adattivo da un punto di vista darwiniano. Anni fa rimasi colpito da un fatto ironico: nell'America contemporanea abbiamo questo stereotipo di elite che crede nel darwinismo e vive spesso da solitario trentenne o quarantenne, e poi abbiamo lo stereotipo di quelli che rifiutano il darwinismo ma si sposano giovani e hanno 7 figli, 49 nipoti e 343 bisnipoti. A questo punto non è una gara fra darwinisti e anti-darwinisti; è una gara fra darwinisti teorici e darwinisti sperimentali!
Se quest'idea è corretta anche solo in parte — che le religioni sopravvivono perchè aiutano le persone a vincere le guerre, ad avere più bambini, etc — allora la domanda che si pone è: come sarai mai in grado anche solo di affrontarli se non diventando anche tu una religione alternativa?
D: Oh, sì, sono sicuro che questo è proprio quel che la gente pensa quando deve decidere se credere o meno in una religione.
Scott: Non sto dicendo che è qualcosa di consapevole, o che le persone la pensano proprio in questi termini. Certamente qualcuno lo fa, ma il punto è che non devono farlo, perchè il loro comportamento sia comunque descrivibile in questi termini.
D: Possiamo anche avere molti bambini senza accettare una religione, se vogliamo.
Scott: Certo, possiamo, ma lo facciamo, in media? Non ho numeri a portata di mano, ma credo che esistano studi che supportano il fatto che le persone religiose hanno in media più figli.
Ora, c'è un altro fattore chiave, ed è che alcune volte l'irrazionalità può essere la scelta più razionale, perchè è l'unico modo di dimostrare a qualcun altro che sei convinto di qualcosa. Tipo, se qualcuno si presenta alla tua porta chiedendoti cento dollari, è molto più probabile che tu glieli dia se ha gli occhi iniettati di sangue e un'aria davvero irrazionale — non hai idea di cosa starà per fare! L'unico modo di rendere efficace una strategia simile è fare in modo che l'apparenza di irrazionalità sia convincente. Il tizio non potrebbe semplicemente fingere, altrimenti lo capiresti. Deve essere molto, molto irrazionale e mostrarsi capace di vendicarsi di te a qualsiasi costo. Se credi che il tizio difenderà il suo onore fino alla morte, probabilmente non vorrai avere a che fare con lui.
Quindi la teoria è che la religione è un modo per convincere se stessi. Uno può dire di credere in un certo codice morale, ma gli altri possono capire che sta mentendo e non fidarsi di lui. D'altra parte, se uno ha una barba molto lunga e prega tutti i giorni e sembra davvero credere che l'aspetterà un inferno eterno se infrangerà i suoi precetti, sta costruendo il suo stesso convincimento. Secondo questa teoria la religione funzionerebbe come un modo di pubblicizzare una convinzione su un certo insieme di regole. Naturalmente le regole possono essere buone o possono essere terribili. Nondimeno, questa specie di convincimento pubblico ad obbedire a un insieme di regole, condite con ricompense e punizioni sovrannaturali, sembra essere un elemento importante di come le società si sono organizzate per migliaia di anni. E' il motivo con cui i potenti hanno convinto i propri sudditi a non ribellarsi, gli uomini hanno convinto le proprie mogli ad essere fedeli e le mogli convinto i propri mariti a non abbandonarle, eccetera.
Insomma, mi sembra che questi siano i tipi di forze "di teoria dei giochi" che Dawkins e Hitchens e gli altri crociati anti-religioni devono affrontare e che forse non riconoscono sufficientemente nei loro scritti. Ciò che gli rende le cose facili, naturalmente, è che i loro oppositori non possono semplicemente saltar fuori e dire "sì, naturalmente sono tutte sciocchezze, ma servono per queste importanti funzioni sociali!" Invece i difensori delle religioni spesso ricorrono ad argomenti che si demoliscono facilmente (almeno dopo Hume e Darwin) perchè la loro vera condizione, sebbene considerevolmente più forte, è di quelle che è molto difficile da sostenere apertamente!
Riassumendo, magari è vero che gli uomini (se sopravviveremo abbastanza a lungo) potrebbero arrivare a ripudiare le religioni, ora che abbiamo qualcosa di meglio con cui sostituire il loro potere esplicativo. Ma prima che ciò accada, credo che avremo bisogno almeno di capire meglio le funzioni sociali che la religione ha giocato per la maggior parte della storia e ancora gioca nella maggior parte del mondo, e forse avremo bisogno di trovare meccanismi sociali alternativi per risolvere lo stesso tipo di problemi.
D: Stavo pensando se ci fosse un altro caso in cui l'irrazionalità sia preferibile alla razionalità.
Scott: Da dove iniziare?
D: Specialmente se hai un'informazione incompleta. Come se avessi un politico che è ben convinto e che non cambierebbe mai i suoi ideali: saresti molto più sicuro che farà quel che dice di voler fare.
Scott: Perchè ha convinzioni. Crede in quel che dice. Per la maggior parte dei votanti, questo conta molto più che l'effettivo contenuto delle convinzioni. Bush da un'impressione molto buona di convinzione.
D: Ma non sono sicuro che ciò sia il meglio per gli interessi degli Stati Uniti.
Scott: Esatto, questo è il punto! Come combatti persone che sono diventati maestri nel meccanismo dell'irrazionalità razionale? Dicendo "no, guarda qui, i tuoi fatti si sono rivelati sbagliati"? A che gioco stai giocando? Prendi un altro esempio: un single al bar. Quelli che hanno più successo sono quelli più abili a convincere se stessi (almeno temporaneamente) di certe falsità: "Sono il più figo qui". Questo è un chiaro caso in cui l'irrazionalità sembra razionale, in un certo senso.

26 March 2009

Quine - 3

Quine riesce a smontare e ricostruire con parti migliori la nave, rimanendo in mare aperto.
Quine Fact n. 1
 
No, no, purtroppo non entreremo ancora in medias res: questo è semplicemente un altro post con cui, per la gioia di delio, cerco solo di tirarla per le lunghe.
Il fatto è che cercare di spiegare Quine è davvero difficile per una sorta di paradosso di fondo che caratterizza le sue conquiste.
Da una parte, infatti, quella di Quine è una concezione filosofica sistematica, che punta alla costruzione di un grande sistema omnicomprensivo della realtà. Questo è un aspetto che, personalmente, trovo molto seducente perchè, fin "da piccolo", l'ho sempre considerato come il tratto distintivo della filosofia: cercare risposte a singoli problemi è il ruolo che, da quattro secoli a questa parte ormai, si è ritagliato la scienza; ricomporre quelle risposte in un quadro organico e complessivo era sempre stato per me quasi la "definizione" di filosofia e comunque ne costituiva il vero valore aggiunto.
Dall'altra, però, delle tesi di Quine manca una (sua) "esposizione" altrettanto sistematica, organica e strutturata. Man mano che si scopre Quine ci si ritrova con una fitta rete di vere e proprie scoperte che pian piano delineano la trama complessiva in maniera graduale e olistica; e se, alla fine, si prova a fare un po' di ordine mentale (come sto provando a fare in questi giorni), ci si rende conto che non c'è un percorso di costruzione lineare: le sue tesi in qualche modo si implicano l'un l'altra e il suo naturalismo epistemologico è contemporaneamente un metodo e il risultato della sua stessa applcazione.
 
Faccio fatica anche a suggerire una bibliografia, se deve essere introduttiva e divulgativa (soprattutto se mi lascio deprimere dai paragoni con le facili e apparentemente avvincenti divulgazioni di Popper, Kuhn e Lakatos...)
Le opere di Quine sono sempre molto difficili, molto tecniche (non dimentichiamoci che, prima che filosofo, Quine è un logico), spesso prendono di mira un problema particolare (anche se poi i riferimenti e le implicazioni sono vastissime) e certamente sono tutt'altro che divulgative. Anche il già citato Dallo stimolo alla scienza, che dal titolo sembrerebbe proprio un compendio della sua visione epistemologica, è in realtà, sì, proprio un compendio, ovvero un condensato, una densissima ricapitolazione della sua visione che però, in pratica, presuppone già una più che discreta conoscenza dei temi trattati e comunque manca di vere e proprie argomentazioni. E, nonostante le apparenze, non è un libro di divulgazione (si dà per scontata tutta la logica contemporanea e si usa ripetutamente la sua sintassi gergale senza spiegarla o esemplificarla — e che non crediate che io riesca a coglierne tutti i dettagli...!)
Introduzione a Quine
Di opere su Quine ho letto solo la bellissima introduzione della Origgi: anch'essa può considerarsi un compendio delle idee di Quine, con il vantaggio, però, di offrire molte più spiegazioni e argomentazioni. Anche in questo caso è difficile considerarla una leggera lettura da comodino (o forse sì, ma in un altro senso...).
A voler cercare qualcosa di più accessibile (ma forse qui sono falsato dal mio curriculum di studi), si potrebbero leggere i saggi di Bellone, da considerare come altri libri su Quine, almeno indirettamente. Il loro grande vantaggio, dal punto di vista di un avvicinamento a Quine, è quello di non averlo come obiettivo principale, ma di riuscire a "somministrarlo" gradualmente, per osmosi, occupandosi di altro col "metodo" Quine. Questo "altro" è la fisica nel suo sviluppo storico, per questo dicevo che forse il mio giudizio di maggior semplicità di lettura non è valido in generale; ma fra i ventun lettori di questo blog una buona parte sono fisici, per cui il consiglio non è del tutto insensato.
Immagine di Il mondo di carta
Se fossi a digiuno tanto di Quine quanto di Bellone, non partirei con i suoi ultimi libri, come Molte nature o I corpi e le cose, in cui prevale un tentativo di argomentare per vie generali su prospettive ampie. Partirei con i classici (e bellissimi) Il mondo di carta o I nomi del tempo o Spazio e tempo nella nuova scienza o La stella nuova — che belli, questi titoli, non trovate? — (Saggio naturalistico sulla conoscenza credo rientri nella prima cateogira...). Scoprirete, fra l'altro, com'è possibile leggere un libro affascinate e soprattutto profondo, molto profondo, sulla fisica, anche senza tuffarsi negli esoticissimi e coloratissimi mari tropicali della relatività di Einstein o della meccanica quantistica. Devo anche avvertirvi di non aspettarvi i classici libri di storia della fisica, chessò, à la Trent'anni che sconvolsero la fisica (pur bellissimo, non fraintendetemi). Non difficile come lo stesso Quine, ma certamente anche Bellone resta una lettura impegnativa. E se il vostro obiettivo resta Quine, una sola "seduta" di Bellone potrebbe non bastare.
Ma insomma, se belli volete apparire... :)

17 March 2009

Quine + |Zurek>

Sto cominciando a giocare troppo coi titoli, eh? Effettivamente l'unico riferimento a Quine questa volta riguarda la giustificazione sul perchè questo post non parla di Quine. E la giustificazione è che Clodovendro mi ha distratto dalla mia priorità di conquistare il mondo di divulgare Quine, tentandomi con le sirene delle interpretazioni della meccanica quantistica. Già lo so che sarà la solita bella senz'anima, come tutte, ma, come tutte, l'idea è stuzzichevole e vien voglia di approfondire un po'.
Questa volta è il turno di Zurek e del suo darwinismo quantistico (esatto: si cita Charles nel nome, se ne poteva non parlare anche per Prgetto Darwin su Progetto Galileo?). Dalla breve review segnalatami da Clodovendro non ci ho capito molto, ma del resto il terreno mi franava sotto i piedi a sentir parlare di decoherence e profondi abissi mi si spalancavano davanti ad einselection ed envariance (termini per me fino a quel momento sconosciuti...).
Così, invece di lavorare per voi su Quine, mi sono spulciato la bibliografia, mi sono scaricato una review un po' più corposa e nel week-end mi sono dato alla lettura, nella speranza di capirci qualcosina in più.
Il risultato (ma non ho ancora finito di leggere quest'ultimo articolo) non è che ora ho le idee più chiare, ma è che ora voi vi beccate due belle domandine in bottiglia che lancio nell'etere digitale.

   —   ∴   —   
 
La prima domanda è forse la più tecnica delle due, per cui la lascio per seconda, altrimenti quasi tutti si fermeranno subito e non proseguiranno a leggere la seconda, che pertanto esporrò per prima.
 
La seconda domanda, dunque, rappresenta, o almeno così mi par di capire, il punto centrale dell'idea di Zurek. Uno dei tanti modi di raccontare il problema della meccanica quantistica di cui, da quasi un secolo ormai, si cerca di venire a capo, è sottolineare l'irriducibile stridore fra i suoi postulati "matematici" da una parte (stati come raggi di vettori in spazi di Hilbert ed evoluzione unitaria, lineare e deterministica) e dall'altra quelli "di misura" (la legge di Born sulla probabilità e il fantomatico collasso della funzione d'onda). Ebbene, l'approccio di Zurek è quello di provare a partire dai primi e dedurre come loro "ovvia" conseguenza i secondi. L'approccio, sempre per quel che capisco, non è "fondazionale": non pretende di fornire esplicitamente un'espressione puramente quantistica per l'interazione sistema-apparato da cui dedurre "matematicamente" (nel senso di sopra) il collasso della ψ dall'equazione di Schroedinger. Piuttosto Zurek parte dall'assunzione che un'interazione di questo tipo esista, e prova a studiarne alcune sue caratterische.
Zurek parte dunque mettendo sullo stesso piano "quantistico" tanto il sistema, descritto dallo stato , quanto l'apparato di misura, l'ambiente con cui il sistema interagisce, descritto anch'esso da uno stato quantistico . Ebbene, l'assunzione fondamentale di Zurek è che l'interazione () che ha luogo durante una misura sia di questo tipo: (M)
0 = k skk0    k skkk
Zurek assume, cioè, che esistano degli stati k del sistema che restano invariati durante la misura e che, di più, lasciano un loro "imprinting" nell'ambiente, il quale a seguito dell'interazione modifica il suo stato da 0 a una sovrapposizione di k ciascuno dei quali "si porta dietro l'informazione" sulla componente k dello stato .
Tale assunzione di Zurek, se è davvero nei termini che ho esposto, sembra chiaramente molto forte. Non so abbastanza di decoherence, magari esistono degli esempi di decoerenza che possono essere modellizzati in questo modo (magari proverò a chiedere al mio amico Dragon Ball...), ma è certo che deve trattarsi di una qualche modellizzazione efficace (nel senso tecnico di effective) perchè la linearità dell'evoluzione unitaria mi pare che proibisca un'evoluzione come quella scritta sopra (può benissimo essere che mi sia arrugginito molto a non far più fisica, in tal caso fatemelo notare nei commenti!).
L'obiezione a questa mia obiezione è che l'intento di Zurek è proprio quello di spiegare il collasso della funzione d'onda, ed è quindi ovvio che da qualche parte debba forzare la meccanica quantistica "classica". Se posso fare un appunto, però, mi sembra che nei suoi articoli non si evidenzi abbastanza che dietro questa assunzione si celi la presunta "spiegazione" del collasso e che si tratta di un'assunzione "non standard" (ed è per questo che ho il forte sospetto che sia io a non aver capito qualcosa...)
Il resto delle argomentazioni di Zurek, fatto questo passo, diventano concettualmente semplici, o almeno è possibile riassumerle brevemente e "senza formule". Quel che Zurek dimostrerebbe è che gli stati k che soddisfano la condizione (M) devono necessariamente costituire una base ortonormale, ovvero devono essere autostati di un operatore autoaggiunto. La cosa, cioè, sarebbe la spiegazione del fatto che i risultati di una misura possono essere solo autostati di un simile operatore (ci tengo a dire che non sono riuscito affatto a seguire nei dettagli tali ulteriori passaggi e che il riassunto di sopra rappresenta quasi sicuramente una semplificazione eccessiva).
 
E la regola di Born sulle probabilità? Per quello è sufficiente invocare l'envariance, altrimenti nota come environment assisted invariance — e non potendo linkare wikipedia, mi tocca linkare da arxiv... — e il gioco è fatto. O così almeno crede Zurek. Perchè io, proprio a questo proposito, avrei giusto la mia prima domandina in bottiglia che attende.
 
Come dicevo, questa domanda è ancora più tecnica della precedente (mi perdonino i lettori a digiuno di fisica). Detto in parole semplici (e così l'anima pia vagante che vorrà provare a rispondermi potrà puntare il dito sul punto preciso in cui non ho capito... JB sei in ascolto?) si tratterebbe della possibilità di poter cambiare arbitrariamente le relazioni di fase φ(k) fra le ampiezze sk nel generico stato  = k skk di un sistema:
 → k eιφ(k)skk
forti del fatto di poterle poi "annullare" nel sistema "ambiente" con cui il sistema è accoppiato:
 → k e-ιφ(k)k 
Ora sicuramente c'è qualcosa di banale che non ho capito, perchè uno degli insegnamenti basilari che mi sono rimasti della meccanica quantistica è prorpio quello che la fase irrilevante è solo quella overall, mentre le fasi relative non solo sono rilevabili, ma sono anche rilevanti, com'è proprio il caso paradigmatico della particella libera a una dimensione: lì le fasi relative fra le ampiezze nelle |x rappresentano proprio il momento della particella: cambiare quelle fasi significa cambiare la distribuzione dei momenti della particella. Di più: non è possibile scegliere arbitrariamente quelle fasi e preparare, ad esempio, uno stato gaussiano strettamente reale nelle |x (ossia  = x sx|x con tutti i coefficienti sx con parte immaginaria nulla), perchè violerebbe il principio di indeterminazione! Pensare di effettuare una trasformazione del genere non una (solo sulla ) ma addirittura due volte (anche sull'ambiente ) senza che questo modifichi la fisica dei due sistemi, non mi sembra possibile: cos'ha in mente, dunque, Zurek?!?
 
Insomma, questa volta, prima di potermi abbandonare alla delusione dell'ennesimo vano tentativo di interpretazione per la meccanica quantistica... vorrei almeno prima capirlo! :)