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23 April 2009

Quine - 4 - Affresco (3/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 2/3)
 
Lo vedete anche voi, ci sono macerie ovunque.
C'è qualcosa che si salva? Siamo davvero costretti al relativismo più indifferente, liberi di cambiare a piacimento la nostra ontologia ogni secondo martedì del mese? Certamente no. Quine si limita a spogliare dell'aura di assolutezza molti concetti fondamentali, ma per mettere a nudo la loro vera natura. Rendersi conto che il riferimento è imprescrutabile non significa doverlo estirpare dai nostri discorsi ma significa "semplicemente" essere consapevoli che esso ha senso solo sullo sfondo di uno schema concettuale complessivo. Il relativismo ontologico non è indifferenza ontologica e non ci esime dall'importante compito di capire come e perchè alcuni schemi concettuali, da quelli del senso comune fino a quelli più raffinati della scienza, sono migliori di altri.
Cosa esiste davvero, dunque, e cosa no? La risposta di Quine, pragmatista da buon americano, è semplicemente "qualsiasi cosa, se ci serve". Abbiamo solo gli stimoli sensoriali come punto di partenza, e ad essi dobbiamo tornare: accettare corpi, classi, numeri, atomi, in questo viaggio di andata e ritorno, ha solo un valore strumentale — essere è essere il valore di una variabile.
E allora anche un empirista non proverà più fastidio se l'ontologia della fisica comprende irriducibilmente enti astratti come i numeri e le classi, e se il rischio di paradossi è sempre dietro l'angolo. Ci siamo già svezzati dal mito della distinzione analitico-sintetico, ormai sappiamo che l'apparente solidità e certezza della matematica è dovuta semplicemente alla sua centralità nella rete delle nostre conoscenze, nel sistema complessivo delle scienze; alla sua "lontananza" dai bordi del nostro campo di forze i cui limiti sono l'esperienza.
E concludo direttamente con Luca: quel che resta saldo e intoccabile, alla fin fine, sono gli stessi dati dai quali era partito il nostro bambino nel suo viaggio verso il mondo: stimoli dei recettori sensoriali. La scienza, pure se si situa a un livello di complessità filogenetica e ontogenetica immensamente più alto, non deve rendere conto ad alcuna entità di ordine superiore. L'unico dogma residuo dell'empirismo, la fedeltà agli stimoli sensoriali, è vendicato.

22 April 2009

Quine - 4 - Affresco (2/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 1/3)
 
Un'altra vittima illustre di questa riformulazione è proprio la stessa filosofia. Vittima almeno nella misura in cui era sempre stata concepita fino ad allora, una filosofia prima che si occupasse della domanda transcendentale delle condizioni di conoscenza. Una tale domanda presuppone una forte distinzione sintetico/analitico, ma Quine ha mostrato che tale differenza è apparente, non essenziale. La ricerca dei modi di conoscenza, cioè, è anch'essa una ricerca empirica, da portare avanti, dunque, con gli stessi metodi della scienza. E' questo il senso della metafora di Neurath, tanto cara a Quine, che ho citato in cima (e a cui si riferisce il Quine Fact numero 1): l'epistemologia è essa stessa un'impresa scientifica. Un circolo vizioso, apparentemente: la scienza usata per studiare le condizioni di costituzione della scienza stessa. Ma il punto è che non ci sono alternative: non possiamo tirarci fuori e giudicare la scienza da un terreno più sicuro. In questo senso per Quine la filosofia è scientifica, non c'è soluzione di continuità fra filosofia e scienza, nè in termini di metodo nè in termini di valore: è questo il senso dell'espressione naturalismo epistemologico.
Il percorso conoscitivo, come dicevamo, è un viaggio di andata e ritorno. Il punto di partenza può essere uno solo: le nostre percezioni, i nostri stimoli sensoriali; ma questi rappresentano anche l'unico possibile approdo finale a cui si può ritornare, dopo il lungo viaggio della spiegazione. La scienza stessa ci mostra che il nostro unico canale di contatto col mondo non è costituito dagli oggetti che ci circondano, ma dagli stimoli più elementari che colpiscono i nostri recettori (sulla retina, sulla pelle, nel timpano, etc). Queste sensazioni, però, sono essenzialmente private: non abbiamo modo di verificare cosa stia percependo una persona in un dato momento. A parte, ovviamente, basarci sul suo comportamento, e cioè sulle correlazioni stimolo-risposta. L'empirismo, insomma, non può che declinarsi in termini di comportamentismo. E del resto, nota Quine, questo è precisamente il modo con cui, concretamente, procede il bambino nello sviluppo delle sue competenze linguistiche.
Con un approccio squisitamente scientifico, almeno negli intenti, Quine ripercorre "ontologicamente" le tappe di apprendimento linguistico del bambino, con l'idea che esso possa ricapitolare "filogeneticamente" la genesi del linguaggio nella specie umana, e con la convinzione che questa circostanza sia contestuale alla formazione dell'ontologia stessa del bambino. Questo è un tratto caratteristico di Quine, il legame strettissimo fra linguaggio e ontologia: non esistono concettualizzazioni della realtà indipendenti dal linguaggio ordinario.
Il bambino non può che partire con la semplice associazione fra gli stimoli verbali delle persone che gli stanno intorno, percepiti olofrasticamente, e gli stimoli non-verbali che esperisce in prima persona, secondo i condizionamenti tipici del comportamentismo. Quindi, attraverso questo continuo feedback di associazioni fra stimoli verbali e non-verbali, il bambino comincia contemporaneamente a risolvere la struttura tanto dei primi (comincia a distinguere i fonemi, a costruire soggetti, predicati, strutture (co-)referenziali, pluralizzazioni, anafore...) quanto dei secondi (comincia con la postulazione di oggetti concreti e prosegue con quella di entità via via più astratte come termini generici singolari, classi, numeri...). La differenza fra le prime fasi e il risultato finale di una fluente padronanza della lingua madre è notevole ma non essenziale, è solo questione di grado: all'inizio la relazione fra stimoli e suoni è evidente nella sua semplicità e nella sua verificabilità su base comportamentale; in seguito il significato non si trova più a dipendere solo da stimoli non-verbali diretti ma dalla fitta rete di interazioni che il linguaggio stesso contribuisce a tessere. In ogni caso tutto quel che possiamo osservare restano sempre e soltanto correlazioni fra stimoli sensoriali e risposte verbali o stimoli verbali e risposte verbali. E la stessa identica cosa accadrebbe a un ipotetico antropologo linguista che volesse imparare la lingua sconosciuta di una popolazione mai incontrata prima. Un ipotetico manuale di traduzione rimarrebbe essenzialmente indeterminato, anche se non arbitrario, dal momento che non saremmo in grado di determinare in quale delle diverse ontologie empiricamente equivalenti i parlanti della lingua ignota pensano realmente. Ma la critica di Quine è radicale: non c'è bisogno di immaginare una lingua ignota: anche quando parlo con persone nella mia stessa lingua è sempre in atto una sorta di traduzione, di interpretazione continua dei suoni nel mio privato spazio cognitivo: il riferimento stesso si dimostra indeterminato.
Qual è l'insegnamento di fondo, in tutto ciò? Il senso è che la dicotomia significante/significato evapora; l'indeterminatezza della traduzione, l'imperscrutabilità del riferimento, la relatività ontologica, non sono difficoltà pratiche, ma mettono in luce precisamente i limiti dell'approccio mentalistico: singoli significati dietro singole parole, le idee nella mente, sono tutti concetti vuoti. Di più, il famoso mito di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette, rappresenta il principale responsabile di molte insensatezze filosofiche.
 
(continua: 3/3)

21 April 2009

Quine - 4 - Affresco (1/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 0/3)
 
Il primo passo del percorso di Quine, il primo e più importante crollo che si trascinerà dietro quasi tutto il tempio della filosofia, è la critica alla distinzione analitico/sintetico. Quest'ultima è una terminologia kantiana, ma si tratta di un filo rosso che percorre tutta la filosofia: è, in fondo, quel che Leibniz chiamava distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, e che Hume, il mitico Hume, distingueva come relazioni fra idee, da una parte, e materia di fatto, dall'altra. Per dirla con esempi, si tratta della differenza tra frasi come "piove o non piove", o "se sei scapolo, non sei sposato" da un lato, e, dall'altro, frasi come "Giovanni è a messa".
La differenza, lo capite benissimo, è allo stesso tempo evidente e fondamentale. Tanto evidente che, sono pronto a scommetterci, se non avevate mai sentito parlare di Quine, non avreste mai pensato ci fosse qualcuno che osasse metterla in dubbio. Tanto fondamentale che su di essa si basa proprio tutto il programma riduzionista: da una parte c'è la logica e la matematica, certa senza alcuna ombra di dubbio, e dall'altra ci sono i fatti "nudi e crudi" della realtà, e compito del filosofo è proprio quello di separare, nella nostra immagine del mondo, ciò che è linguaggio, convenzione, da ciò che è "là fuori" (e poter così eliminare, nel cestino della metafisica, quel che resta).
Le prime formulazioni delle sue critiche risalgono agli anni trenta del secolo scorso, ma il saggio di riferimento, Due dogmi, viene pubblicato nel 1951. Quine mostra che tutti i tentativi proposti fino ad allora di salvare la distinzione analitico/sintetico (giusto per citarne qualcuno: la nozione di necessità, le descrizioni di stato di Carnap, regole semantiche, regole linguistiche come la sostituzione dei termini salva veritate...) tutti questi tentativi, mostra Quine, non sono altro che petizioni di principio o spiegazioni obscura per obscuriora. Di più: Quine afferma che qualsiasi tentativo in questo senso è destinato a fallire.
L'argomentazione di Quine è duplice e possiamo pensarla come un viaggio di andata dall'esperienza alla conoscenza, e poi un ritorno di nuovo all'esperienza.
La prima tappa è il famoso olismo epistemologico: ogni teoria scientifica, ogni visione del mondo, anche quella dell'uomo comune, si presenta al vaglio dell'esperienza non pezzo per pezzo, ma come un tutto unitario. Non esiste un unico strato empirico che un singolo enunciato può indicare come "suo". La seconda tappa è una concezione del significato secondo cui l'unico modo sensato di attribuire un contenuto ad un enunciato è solo in termini delle sue conseguenze, se vero, nel nostro mondo di esperinza: capisco che Giovanni è a messa perchè se l'enunciato è vero attravero la strada, entro in chiesa e ci trovo Giovanni.
Se ammettiamo queste due circostanze, dunque, Quine dimostra che non ci è concesso di poter determinare univocamente se il significato e la verità di un enunciato dipendono dall'esperienza o da convenzioni linguistiche. La componente fattuale e quella linguistica di ogni enucniato, e dunque di tutta la nostra descrizione del mondo, fino a quella scientifica, risulteranno inestricabilmente intrecciate. E' la famosa stoffa grigia di enunciati, nera di fatti e bianca di convenzioni, ma priva di fili del tutto neri e altri del tutto bianchi.
Le conseguenze sono pesanti e vaste, costringendo a ripensre praticamente tutti i temi della tradizione filosofica: dalla giustificazione della matematica alla teoria del significato, dall'ontologia all'epistemologia fino alla concezione stessa della filosofia.
Crollano dunque molti piani dell'edificio positivista, e Quine ci costringe a riconoscere che la nostra immagine del mondo, scienza compresa, non si costruisce attraverso un rispecchiamento fedele della realtà, ma è essa stessa un costrutto teorico non univoco e impossibile da ridurre a una base empirica predeterminabile. Ma, sottolinea Quine, questo non significa affatto affermare che tutto è equivalente e qualsiasi cosa può andar bene. I muri portanti dell'empirismo restano ben piantati: Quine diffiderà sempre di criteri ontologici troppo liberali e anzi riconosce un legame molto stretto fra esperienza e scienza, e considera quest'ultima di fondamentale importanza nella nostra cultura.
In effetti, quello di Quine rappresenta il più profondo e fecondo tentativo compiuto nel nostro secolo di riformulare il programma empirista su nuove basi.
 
(continua: 2/3)

20 April 2009

Quine - 4 - Affresco (0/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
Squilli di trombe!
Rullo di tamburi!
Cominciamo, finalmente, ad entrare nel merito di Quine!
(Ma chissà poi se e dove andremo a finire...)
 
Per cominciare, invece di entrare direttamente nel dettaglio delle sue tesi principali, vorrei proporvi un volo dall'alto sul suo percorso filosofico. Un passaggio importante, per mettere tutto in prospettiva, ma arduo, per me, da compilare, perchè presuppone una conoscenza vasta e approfondita del logico americano, e una capacità di riordinare le sue tesi in un disegno organico; tutte competenze, come dicevo, che io certamente non ho.
Ma, per voi, ho pensato di rielaborare, in maniera semplificata e concisa, la bellissima introduzione di Luca Bonatti alla traduzione italiana del Quidditates (aiutandomi anche con il primo capitolo dell'introduzione a Quine di Gloria Origgi).
Vi avverto che, nonostante l'attesa spasmodica (è nientemeno che il quarto post espressamente dedicato a Quine... senza nemmeno contare le divagazioni complesse, quantistiche e quant'altro) non troverete qui di seguito alcun serio tentativo di argomentazione. Se mai un giorno proverò a suggerire qualche argomentazione alle tesi di Quine, non potrà che essere su un punto specifico, per circoscrivere il più possibile un discorso che altrimenti si espanderebbe come un gas perfetto ad occupare tutto lo spazio a disposizione.
 
(continua: 1/3)