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02 October 2016

...non hanno bisogno nemmeno del cestino!

 
 
Ecco, se c'è una cosa che odio è la filosofia solo "per parlare", eristica, mero gioco dialettico.
 
C'è un problema su cui i filosofi hanno dibattuto a lungo senza approdare ad una soluzione condivisa[1]? e nemmeno tu hai una soluzione? ti prego, non dire "questo è il bello della filosofia"! Perché che senso ha, se non quello di dichiarare che della questione, in fondo, non te ne fregava molto e che cercavi solo materiale di conversazione per il circolo del te e dei pasticcini?
 
E comunque, caro Nicola Misani, per tua informazione, il problema dei nomi, della sinonimìa, della dicotomia significante/significato, dell'imperscrutabilità del riferimento, dell'indeterminatezza della traduzione, del mito di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette, etc, etc, sono stati tutti chiariti una volta per tutte da — indovinate, miei lettori abituali? — Quine.

[1] come? tutti?
 

09 June 2016

Illazioni sul rapporto fra i sessi.

 
Spoiler prima di lasciarvi continuare a leggere inutilmente: il titolo è mero clickbait, il rapporto di cui parlerò è semplicemente quello numerico.
 
Scott Aaronson è sempre fonte di mille spunti interessanti di riflessione.
Anche quando sembra cadere su delle banalità da WTF.
Non fa eccezione questa recensione del libro di Max Tegmark [1], in cui però a un certo punto il nostro mette sullo stesso piano di impressiveness le "predizioni" della Relativà Generale (la precessione di Mercurio) o dell'equazione di Dirac (l'esistenza dell'animateria) con quella "di Darwin" sul rapporto numerico fra i due sessi nelle popolazioni delle varie specie animali.
 
Ora, la questione è la solita: l'insopprimibile e sacrosanto desiderio di avere un criterio di demarcazione, ed in particolare di averne uno semplice. Ahimè l'obiettivo, Quine insegna, è semplicemente irraggiungibile, soprattutto in termini di semplicità.
Ma — certo, certo — sono rassegnato alla marginalità della lezione quineiana nel panorama epistemologico corrente, per cui non mi stupisco più di tanto del fatto che Aaronson proponga la sua personale linea di demarcazione: "connecting elegant math to actual facts of experience".
Quel che mi sorprende è che abbia tentato di farci rientrare la teoria di Darwin, in questo connettere matematica elegante a fatti sperimentali, tramite la questione del rapporto numerico fra i sessi.
 
Il fatto è che la questione del sex ratio in chiave evoluzionistica non rappresenta nulla di neanche lontanamente simile ad un experimentum crucis per la teoria di Darwin.
Innanzitutto la definizione stessa del concetto di rapporto numerico fra i sessi è articolata (ne esistono almeno 4 tipologie diverse); inoltre, sì, si possono trovare dei riferimenti alla questione in scritti originali di Darwin (su questa cosa ci torno in chiusura di post, capirete perché scrivevo "di Darwin" fra virgolette), ma i nomi che più si legano alla questione sono quelli, ben successivi a Darwin, di Ronald Fisher e di W. D. Hamilton, e il tema restò a lungo oggetto di discussioni, analisi e ricerche. Anche dal punto di vista meramente sperimentale, infatti, esistono diverse notevoli eccezioni, molte specie in cui, per ragioni anche diverse, i rapporti numerici fra i sessi si assestano su valori significativamente diversi da quello paritario, in modo transitorio o permanente (specie partenogeniche, oppure con pratiche di accoppiamento diversificate come gli afidi, oppure specie eusociali...).
 
Insomma, nessuno, ed io men che meno, nega l'impressiveness della teoria di Darwin; ma mi sembra davvero difficile, in generale, ricondurla ad una singola questione centrale direttamente collegata ad un dato sperimentalmente; e in particolare mi sembra davvero difficile ricondurla a questa cosa del rapporto numerico fra i sessi di una popolazione, soprattutto alla luce della lezione gouldiana del pollice del panda [2].
 
Come dunque può essergli venuto in mente, ad Aaronson, di annoverare la questione della della sex ratio come emblema della forza sperimentale della teoria di Darwin?
Girovagando in rete sull'argomento, pian piano vado formulando un'ipotesi.
Diciamo pure un'illazione: che anche lui abbia cercato in rete, qualcosa come "main evidence for evolution" o "most important claims of evolution" e abbia trovato le "solite" prove (i reperti fossili, l'anatomia e lo sviluppo embrionale comparati come indicazioni di un antenato comune, la resistenza batterica agli antibiotici, etc, etc...); tra l'altro se avesse cercato qualcosa come "evidence for darwin's evolution" si sarebbe imbattuto addirittura in un prodromo del pollice del panda dello stesso Darwin [3]. Finché, questa è la mia illazione, non ha cercato qualcosa come celebrated argument evolution, e si è ritrovato davanti proprio al principio di Fisher, definito appunto "probably the most celebrated argument in evolutionary biology". Senonché a definirlo così fu, be', A. W. F. Edwards, allievo di quello stesso Fisher del cui principio stava tessendo le lodi — pare che venisse proprio chiamato "Fisher's Edwards".
Sia chiaro, tutto vorrei tranne che sminuire Edwards, il quale non era affatto un allievo sfigato e banale adulatore di Fisher: diventò famoso e rinomato genetista, pioniere insieme a Cavalli-Sforza nell'applicazione delle tecniche statistiche alla ricostruzione degli alberi evolutivi; nonché autore della famosa critica all'articolo di Lewontin sulla divisione dell'umanità in razze.
E del resto anche il suo giudizio sull'importanza del principio di Fisher, lungi da me negarlo, è ben fondato: si trattava di un argomento che mostrava come la selezione naturale, anche agendo a livello di singolo individuo, potesse plasmare una caratteristica di popolazione come il rapporto numerico fra i sessi, che invece sembra ovviamente candidata ad essere controllata da una selezione di gruppo; mostrava che a volte era necessario prendere in considerazione, in un modello evoluzionistico, più di due sole generazioni; si è rivelato essere un esempio ante litteram di quelle che verranno poi chiamate "strategie evolutivamente stabili" (ESS) e che portarono all'applicazione in campo genetico delle tecniche di teoria dei giochi; ha avviato i successivi interessi verso le implicazioni evoluzioniste degli investimenti parentali; etc, etc...
Insomma, si tratta certamente di un'idea estremamente feconda, anche se — ed è questo il mio punto — non propriamente "folgorante" e sperimentalmente "eclatante", come vorrebbe il nostro Aaronson.
Tant'è che, ho scoperto, l'idea di Fisher l'ebbe lo stesso Darwin, che la descrisse nella prima edizione del suo "L'origine dell'uomo", ma che rimosse nella seconda edizione proprio perché, e lo scrisse esplicitamente, si rese conto che la questione era in realtà molto più spinosa di quanto avesse inizialmente pensato.
 
 
 

[1] Il tema del libro di Tegmark è la sua "Mathematical Universe Hypothesis": sembra di essere sul pezzo delle ultime dichiarazioni di Musk sull'universo come simulazione, ma in realtà questo di Aaronson è un vecchio post di più di due anni fa: ci sono arrivato perché sto leggendo il suo (di Aaronson) ultimo (be', nel frattempo è diventato penultimo) post, in cui ripropone in forma scritta (Dio lo benedica!) il suo intervento, in risposta a quello di Penrose, ad un simposio che sarebbe sui fondamenti della fisica, ma in cui in realtà, almeno nel suo intervento e in quello di Penrose, si parla della coscienza. Anche lì mille spunti interessanti di riflessione, ma non ho ancora finito di leggerlo...
 
[2] L'idea che una progettazione improvvisata alla bell'e meglio (come il pollice del panda, che appunto pollice non è, ma un'estensione del sesamoide laterale) sia un argomento di gran lunga più efficace, per il darwinismo, rispetto ad un adattamento perfetto.
 
[3] Le ipotesi di Darwin, nella prima edizione de L'Origine delle specie, sull'origine delle balene, del tutto simile, nello spirito, all'idea del pollice del panda; poi rimossa dalle edizioni successive per via dell'eccessiva derisione che ne ricevette.
 

20 November 2012

   [5] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
(...continua)
§  Quine
Allora, come ripetuto altre volte su questo blog, dopo Quine non abbiamo più un criterio di demarcazione semplice à la Popper: né experimentum crucis, né una metodologia universale. L'esempio paradigmatico della fisica quale hard science rappresenta solo il caso in cui le cose sono più facili.
L'astronomia e persino la cosmologia, pur senza esperimenti ripetibili e dunque senza una reale possibilità di falsificazione popperianamente intesa, non hanno alcun complesso di inferiorità rispetto alla fisica di laboratorio e godono invece spesso di un grado di affidabilità e scientificità molto maggiore di altri ambiti più fenomenologici della fisica, nonostante in questi ultimi sia possibile applicare metodologie sperimentali più squisitamente galileiane.
L'evoluzionismo darwiniano, nella sua accezione più ampia in contrapposizione a framework completamente diversi (uno per tutti, il disegno intelligente), gode di assoluta scientificità non certo per un singolo esperimento cruciale o per l'uso di una metodologia assimilabile, fosse anche in senso molto lato, a quella del fisico: i motivi per cui, indiscutibilmente, rappresenta un pilastro della nostra immagine scientifica del mondo vanno ricercati, contemporaneamente ed inestricabilmente, nella sua aderenza al dato empirico su un fronte vastissimo (fisico, chimico, biologico, ecologico, paleontologico, etc...) e nella sua potenza esplicativa, ovvero nella sua capacità di riunire in un unico schema concettuale quella immensamente variegata fenomenologia.
Queste solide ragioni — nessuna, da sola, cruciale, nessuna puramente empirica e nessuna puramente teorica — rappresentano quello che Quine chiama il tribunale dell'esperienza, a cui le nostre teorie si sottopongono non per singole affermazioni ma come un tutt'uno (olismo epistemologico). E la forza di quelle ragioni sta precisamente nel loro perfetto inserirsi nel quadro complessivo della nostra immagine del mondo; la loro forza risiede nel fatto che una loro revisione ci costringerebbe a modificare profondamente e/o ampiamente il resto della nostra immagine del mondo.
(continua...)

17 November 2012

   [4] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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(...continua)
§  Le critiche degli austriaci: da Hayek alla prasseologia di Mises
Prendiamo, ad esempio, le critiche di Hayek, probabilmente le meno radicali e più circoscritte, e per questo forse le più facilmente condivisibili, ma non per questo meno incisive.
Un bel compendio (con beneficio di inventario: in realtà ho letto poco Hayek) lo si può trovare nel suo discorso di accettazione del Nobel (The Pretense of Knowledge). Le sue critiche non cercano di alzarsi sui massimi sistemi, tentando di definire un criterio di demarcazione per una conoscenza scientifica e bocciando il positivismo economico sulla semplice base della violazione di tali criteri. No, lui accetta di buon grado la possibilità, in linea del tutto teorica, di elaborare modelli quantitativi di sistemi socio-economici da cui trarre significativi insegnamenti e concrete ricette per modificare o stabilizzare l'evoluzione di tali sistemi in direzioni desiderate. Solo che poi arriva a negare la bontà di praticamente tutti i modelli usualmente proposti, sulla base di considerazioni nel merito di tali modelli, senza ovviamente contestare la bontà dello svolgimento matematico della modellizzazione, ma negando i presupposti di validità delle assunzioni che dovrebbero giustificare tali modelli come adeguate rappresentazioni della realtà. Le sue non sono argomentazioni "esterne", ma parlano la stessa lingua del positivismo economico; e tuttavia sono di natura così generale da avere come risultato pratico un rifiuto virtualmente sistematico dell'applicazione di metodi quantitativi nel tentativo di capire e governare l'economia.
Per poter giudicare la bontà e la forza delle argomentazioni di Hayek, dunque, bisogna in qualche modo entrare nel merito dell'economia e dell'econometria, bisogna adottare, cioè, lo stesso approccio positivista che si ritroverà alla fine enormemente depauperato.
 
In alternativa è possibile arrivare alle medesime tesi per vie ortogonali, criticando il positivismo economico su basi puramente epistemologiche, fornendo la propria visione di "giusto sapere" in campo socio-economico, cercando di mostrare che il "solito" metodo scientifico può andar bene per la fisica ma non per l'economia, e dando persino un nome, la prasseologia, al corretto approccio, sedicente aprioristico-deduttivo, per lo studio di dinamiche sociali.
Ebbene, è evidente che un tale approccio risulta estremamente delicato: cosa mai potranno, questi austriaci, su un problema, quello della demarcazione, su cui scienziati e filosofi della scienza a legioni si sono accaniti da prima ancora di Galileo, e a tutti, nei casi migliori, è sempre mancato qualcosa?
 
Meno che a Quine, ovviamente.
 
Ecco, le vaste pretese di questo post di cui parlavo in apertura stanno tutte, precisamente, nella spiegazione delle vere ragioni della bontà dell'approccio austriaco, perché mi toccherà riassumere l'epistemologia quineiana.
(continua...)

16 November 2012

   [3] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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(...continua)
§  ...e al positivismo sociologico
Detto questo sul neopositivismo, veniamo finalmente al positivismo sociologico e alle critiche (austriache) ad esso.
Ebbene, le scienze sociali — senza nemmeno prendere in considerazione critiche del primo tipo, à la Hegel — comunque faticano, in generale, a sostenere anche il solo sguardo delle critiche à la Popper. Il loro appello al metodo scientifico e al confronto empirico, per giustificarsi e darsi un tono, sprizza ingenuità da tutti i pori: le usuali crtiche al positivismo fanno le pulci a concetti come experimentum crucis, ripetibilità dell'esperimento, verificabilità/falsificabilità, et cetera, mentre la sociologia pretende la sua aiuola privata nel giardino delle scienze per il mero fatto di usare un linguaggio che può ammantarsi di matematica solo per il riferimento a tecniche di inferenza statistica (spesso, poi, usate in modo troppo semplificato, quando non addirittura errato). Non è nemmeno il caso di addentrarsi in sofisticate argomentazioni epistemologiche per rendersi conto che i caratteri di solidità e rigore solitamente associati all'attributo scientifico non possono essere comprati con semplici correlazioni statistiche, soprattutto se queste sono estratte da una modellizzazione iper-semplificata di un fenomeno complesso in cui le variabili lasciate fuori dal modello hanno altrettanta se non più rilevanza per la fenomenologia reale di quelle incluse.
Orbene, gli austriaci condividono questa diffidenza verso i metodi e i risultati delle scienze sociali, e dell'economia in particolare, arrivando spesso a rifiutare del tutto, a priori, l'utilizzo di metodi quantitativi.
Ma il punto è: con quali argomentazioni?
Qui il panorama si complica, perché le critiche austriache alle analisi quantitative in economia si declinano in modi molto diversi, spesso nemmeno complementari ma apparentemente in reciproca contraddizione.
(continua...)

14 November 2012

   [2] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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(...continua)
§  Critiche al neopositivismo...
Ma cominciamo ad entrare nel merito della questione, perché è chiaro che nessuno, io per primo, sarebbe disposto a fare propria una prospettiva programmatica come quella positivista, nella sua beata ingenuità, neppure in campo strettamente epistemologico, in cui le ingenuità sono meno pacchiane.
Il punto cruciale, però, che andrà a distinguere posizioni potenzialmente distantissime, sono le ragioni in base alle quali si considera ingenuo l'approccio positivista.
Semplificando, e prendendo come riferimento il dibattito epistemologico, ci sono grossomodo tre diversi modi per farlo.
Il peggiore è quello a cui appiccicherò il nome di Hegel, sia maledetto per sempre: il rifiuto del positivismo per il suo rifiuto della metafisica, nel senso più abominevole del termine di fuffa senza senso.
Poi c'è l'approccio a cui appiccicherò il nome di Popper, che consiste nel fare le pulci a tesi specifiche del positivismo ("falsificazionismo, diamine, non verificazionismo!"), senza tuttavia proporre un reale cambio di prospettiva: quasi tutte le ingenuità del positivismo restano lì e i principali problemi aperti, uno per tutti quello della demarcazione, restano tali.
E infine c'è Quine: il positivismo è letteralmente raso al suolo, nelle tesi specifiche, ma sopravvive nello spirito che l'aveva animato: sopravvive, cioè, il primato della scienza, anche se, per caratterizzarla, non abbiamo più criteri di demarcazione semplici e cruciali, e dobbiamo invece ricorrere a valutazioni generali che, anche per casi specifici, coinvolgono potenzialmente tutta la nostra conoscenza, riferendosi contemporaneamente, e inestricabilmente, tanto al dato empirico quanto al linguaggio teorico, nel loro insieme.
(continua...)

08 November 2012

   [0] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Dichiarazione del tema
Post di vaste pretese, questo.
Tutto nascerebbe da una questione apparentemente marginale, ovvero il rapporto degli austriaci col positivismo. I primi da intendersi, ovviamente, non come popolazione di lingua tedesca localizzata in Austria, ma come metonimia per una tradizione di pensiero in campo economico; il secondo da intendersi, inizialmente, come approccio metodologico ai temi economici. Ho detto "inizialmente" perché il passo dal positivismo economico al positivismo scientifico è breve, soprattutto per chi come me ha un tenero rapporto d'affetto con quest'ultimo.
Il fatto è che questi economisti di scuola austriaca hanno invece un pessimo rapporto col positivismo, e per me le critiche al positivismo rappresentano, in genere, il primo campanello di allarme per sospetto idealismo tedesco (latente). E poiché la gente pensa già che col libertarismo io abbia abbracciato una sorta di setta satanica à la Scientology, se si fanno anche l'idea che abbia sdoganato pure i continentali, penseranno le peggiori cose di me — il libertarismo ti rivolta come un calzino... ma Hegel resta Hegel!
E' urgente più che mai, dunque, fare chiarezza sulla questione.
 
Siccome però questo post cominciava a diventare più lungo del solito (il che è tutto dire), e poiché pare che sul web pubblicare cose lunghe non sia cortesia verso il lettore, ho pensato di spezzarlo in più parti.
E così per ora mi fermo qui, lasciandovi a crogiolare nell'attesa della prossima puntata.

28 June 2009

To Do List

Post àla tomate,ma più prosaico, perchè questa lista è un desiderata dannatamente reale,se solo riuscissi a trovare un po' ditempo...
  • Quine — ce ne sarebbero un sacco, di post, da scrivere, ma mi sarebbe piaciuto almeno chiarire la questione dell'olismo epistemologico. Sembrerebbe la cosa più facile da spiegare, visto che la tesi di Duhem-Quine si intuisce e si accetta abbastanza facilmente. Ma l'olismo di Quine è più estremo: l'indeterminatezza della traduzione è differente dalla (e per certi versi più destabilizzante della) sottodeterminazione della scienza di Duhem.
  • Meccanica Quantistica
    • Zurek — mi ero stampato l'articolo di Schlosshauer, me l'ero letto e mi ero appuntato un sacco di considerazioni interessantissime, intelligentissime e molto, molto argute. Ma quando ieri l'ho riaperto ho visto che i segni a matita erano criptici e anche un po' sbiaditi. E non mi ricordavo più nulla. :(
      Però almeno ho fatto una scoperta originalissima: scrivere appunti a margine non è una buona strategia...
    • Equivalence Postulate (of Quantum Mechanics) — mi ero stampato l'articolo di Faraggi e Matone, me l'ero letto e no, in questo caso non avevo prodotto pensieri molto interessanti. Ma qualche domanda per tomate, quelle sì che ce le avevo. Ma ho dimenticato anche quelle :(
  • Politica
    • Gossip
  • Papa
    • Simonia
    • Sepolcri imbiancati
    • Martin Lutero Blissett Q
  • KDE4 — forse sta arrivando il momento in cui potrò installare KDE4 anche sul portatile:
Approfitto poi di questo post per segnalare, perchi non l'avesse notato fra imiei shareditem,il videodel talk di StefanoQuintarelli: Dalmondo fisico al mondo immateriale. Solito stile Quintarelli:minima magniloquenza, massimo contenuto, analisi acuta e visioniemozionanti.

21 May 2009

W|A versus oltre Google

Ancora di passaggio, solo per fornire un esempio concreto di cosa si può fare con WolframAlpha che non si può fare (con la stessa facilità) con Google.

18 May 2009

W|A, CyC e Quine

Sorta di Trackback a questo post su Moto browniano.
 
Avevo letto di Wolfram|Alpha su Punto-Informatico, ma, a sentir quel che si diceva allora, sembrava solo l'ennesimo tentativo di rifare google e, lo confesso, gli avevo dato pochissima importanza.
Che se non me l'avesse suggerito Federico, non sarei nemmeno andato a provarlo.
E invece.
Sono rimasto davvero impressionato.
Sì, ok, al momento non è ancora onniscente, e se gli chiedete il codice swift della vostra banca, rimarrà interdetto. E comunque non è con Google che bisogna fare i confronti.
Intendiamoci, non sono qui a scommettere che sarà un successo. Dico solo, anch'io, che sembra un esperimento di grande interesse, da tenere d'occhio. Certo, se si pensa ai suoi obiettivi più ambiziosi, le difficoltà sono chiaramente enormi: sono le difficoltà del web semantico e dell'intelligenza artificiale.
Non conoscevo Cyc, ma un'occhiata al suo funzionamento lascia più di un dubbio sulle sue reali possibilità di successo, soprattutto se pensato davvero con l'intento di riprodurre l'intelligenza umana, e soprattutto per noi quineiani, che consideriamo ingenua l'idea che esista un'ontologia distinta dal linguaggio e su cui quest'ultimo poggerebbe le sue fondamenta referenziali.
Ma, come dice Federico, W|A potrebbe benissimo avere un grande successo anche senza raggiungere il traguardo estremo di una vera IA. E del resto, un'idea di questo successo, pur nel limitato dominio delle scienze dure o comunque in quei domini in cui esistono dati che possono esser forniti in pasto agli algoritmi, possiamo già farcela, adesso.

11 May 2009

Deficit attentivo in filosofia: Cacciari contro Quine

Con un po' di ritardo, alla fine ho trovato il tempo per ascoltarmi la registrazione della puntata di Uomini e profeti di Radio 3 con l'intervento di Massimo Cacciari, segnalata da ToMaTe ormai qualche tempo fa.
Il deficit del titolo di questo post si riferisce a questo commento, sempre di ToMaTe, e, istintivamente, matura grossomodo nella prima metà della trasmissione, in cui il filosofo sindaco di Venezia ci rende edotti su questioni di incontri/scontri di civiltà, di culture, di elementi non-ordinabili. Matura istintivamente proprio in contrapposizione a quel commento sul mio blog, in contrapposizione alla filosofia di Quine. Per me, infatti, sono queste riflessioni generali sull'Uomo Europeo, sull'Occidente, la Storia, la Crisi dei Vincitori, che mettono a dura prova le mie capacità di concentrazione.
Intendiamoci, non ho nulla contro Cacciari, anzi, lo considero un filosofo di grandissimo spessore, mille miglia sopra, chessò, tanto per dire il primo che mi passa per la testa, Giovanni Reale. Cacciari ha sempre attirato la mia curiosità, e la seconda parte della trasmissione lo conferma in pieno, quando espone con incredibile lucidità l'insanabile contraddizione tra religiosità e secolarizzazione, tra culto e laicità, muovendo da una prospettiva teologica, storica e socio/politica che fa da contr'altare perfetto alle mie solite argomentazioni di stampo più squisitamente empirico/epistemologico.
E, lungi da me, non voglio nemmeno sostenere che sia io, nei miei post, ad essere più convincente ed accattivante di Cacciari. Nè che Quine sia di facile comprensione e che dunque siano ingiustificate le esitazioni di ToMaTe.
La differenza che vorrei sottolineare, invece, riguarda direttamente i temi trattati, che seppure chiamansi entrambi filosofia, non potrebbero, ai miei occhi, essere cose più diverse e distanti.
La filosofia di cui si occupa Quine è più "scientifica", più "fisica" rispetto a quella di Cacciari (e per questo mi assumo personalmente tutta la colpa di non riuscire ad affascinare a Quine un fisico come ToMaTe). Quando Quine discute quel che c'è e quel che non c'è (ontologia), quando discute su come si costruisce il processo di conoscenza (gnoseologia), quando discute sul dove sta, se sta, il confine fra fatti e convenzioni, è fondamentalmente molto vicino nello spirito a quell'Einstein che traccia la distinzione fra coordinate, tetradi e connessioni, da una parte, e, dall'altra, le proprietà geometriche degli oggetti fisici che con quelle coordinate, tetradi e connessioni cerchiamo di descrivere (e torniamo alla tesi, che condivido appieno, sulla morale "anti-relativista" della Relatività).
Per questo sono profondamente convinto che conoscere il pensiero di Quine, essere passati almeno una volta attraverso la sua devastante tempesta ed essere riemersi con lui, ancora vivi, rappresenti un'integrazione notevole del bagaglio culturale (nel senso più alto del termine) di uno scienziato, piuttosto che un semplice complemento "umanistico" (nel senso più ridotto del termine) alla sua cultura generale.
 
Non sono molto d'accordo con ToMaTe, invece, sull'adesione al Cacciari conclusivo che parla dell'impossibilità di una scienza unitaria, di un'unica legge e dell'ineluttabilità di una pluralità di leggi: secondo me la natura è una sola, e se ancora non riusciamo ad unificare le nostre visioni è solo per difficoltà tecniche contingenti.
Anche la storia dell'atlante di mappe privo di un'unica mappa globale, come metafora di un'essenziale frammentarietà del reale, non mi convince: le mappe si raccordano bene, localmente, l'un l'altra, ad indicare la perfetta consistenza delle singole descrizioni in un'unica varietà coerente, che semplicemente non può essere "appiattita" uniformemente.
L'irriducibilità è tutt'altra cosa. Come spiegava bene, in un contesto molto di verso, J. S. Bell a proposito dell'idea di Bohr di complementarietà.

23 April 2009

Quine - 4 - Affresco (3/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 2/3)
 
Lo vedete anche voi, ci sono macerie ovunque.
C'è qualcosa che si salva? Siamo davvero costretti al relativismo più indifferente, liberi di cambiare a piacimento la nostra ontologia ogni secondo martedì del mese? Certamente no. Quine si limita a spogliare dell'aura di assolutezza molti concetti fondamentali, ma per mettere a nudo la loro vera natura. Rendersi conto che il riferimento è imprescrutabile non significa doverlo estirpare dai nostri discorsi ma significa "semplicemente" essere consapevoli che esso ha senso solo sullo sfondo di uno schema concettuale complessivo. Il relativismo ontologico non è indifferenza ontologica e non ci esime dall'importante compito di capire come e perchè alcuni schemi concettuali, da quelli del senso comune fino a quelli più raffinati della scienza, sono migliori di altri.
Cosa esiste davvero, dunque, e cosa no? La risposta di Quine, pragmatista da buon americano, è semplicemente "qualsiasi cosa, se ci serve". Abbiamo solo gli stimoli sensoriali come punto di partenza, e ad essi dobbiamo tornare: accettare corpi, classi, numeri, atomi, in questo viaggio di andata e ritorno, ha solo un valore strumentale — essere è essere il valore di una variabile.
E allora anche un empirista non proverà più fastidio se l'ontologia della fisica comprende irriducibilmente enti astratti come i numeri e le classi, e se il rischio di paradossi è sempre dietro l'angolo. Ci siamo già svezzati dal mito della distinzione analitico-sintetico, ormai sappiamo che l'apparente solidità e certezza della matematica è dovuta semplicemente alla sua centralità nella rete delle nostre conoscenze, nel sistema complessivo delle scienze; alla sua "lontananza" dai bordi del nostro campo di forze i cui limiti sono l'esperienza.
E concludo direttamente con Luca: quel che resta saldo e intoccabile, alla fin fine, sono gli stessi dati dai quali era partito il nostro bambino nel suo viaggio verso il mondo: stimoli dei recettori sensoriali. La scienza, pure se si situa a un livello di complessità filogenetica e ontogenetica immensamente più alto, non deve rendere conto ad alcuna entità di ordine superiore. L'unico dogma residuo dell'empirismo, la fedeltà agli stimoli sensoriali, è vendicato.

22 April 2009

Quine - 4 - Affresco (2/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 1/3)
 
Un'altra vittima illustre di questa riformulazione è proprio la stessa filosofia. Vittima almeno nella misura in cui era sempre stata concepita fino ad allora, una filosofia prima che si occupasse della domanda transcendentale delle condizioni di conoscenza. Una tale domanda presuppone una forte distinzione sintetico/analitico, ma Quine ha mostrato che tale differenza è apparente, non essenziale. La ricerca dei modi di conoscenza, cioè, è anch'essa una ricerca empirica, da portare avanti, dunque, con gli stessi metodi della scienza. E' questo il senso della metafora di Neurath, tanto cara a Quine, che ho citato in cima (e a cui si riferisce il Quine Fact numero 1): l'epistemologia è essa stessa un'impresa scientifica. Un circolo vizioso, apparentemente: la scienza usata per studiare le condizioni di costituzione della scienza stessa. Ma il punto è che non ci sono alternative: non possiamo tirarci fuori e giudicare la scienza da un terreno più sicuro. In questo senso per Quine la filosofia è scientifica, non c'è soluzione di continuità fra filosofia e scienza, nè in termini di metodo nè in termini di valore: è questo il senso dell'espressione naturalismo epistemologico.
Il percorso conoscitivo, come dicevamo, è un viaggio di andata e ritorno. Il punto di partenza può essere uno solo: le nostre percezioni, i nostri stimoli sensoriali; ma questi rappresentano anche l'unico possibile approdo finale a cui si può ritornare, dopo il lungo viaggio della spiegazione. La scienza stessa ci mostra che il nostro unico canale di contatto col mondo non è costituito dagli oggetti che ci circondano, ma dagli stimoli più elementari che colpiscono i nostri recettori (sulla retina, sulla pelle, nel timpano, etc). Queste sensazioni, però, sono essenzialmente private: non abbiamo modo di verificare cosa stia percependo una persona in un dato momento. A parte, ovviamente, basarci sul suo comportamento, e cioè sulle correlazioni stimolo-risposta. L'empirismo, insomma, non può che declinarsi in termini di comportamentismo. E del resto, nota Quine, questo è precisamente il modo con cui, concretamente, procede il bambino nello sviluppo delle sue competenze linguistiche.
Con un approccio squisitamente scientifico, almeno negli intenti, Quine ripercorre "ontologicamente" le tappe di apprendimento linguistico del bambino, con l'idea che esso possa ricapitolare "filogeneticamente" la genesi del linguaggio nella specie umana, e con la convinzione che questa circostanza sia contestuale alla formazione dell'ontologia stessa del bambino. Questo è un tratto caratteristico di Quine, il legame strettissimo fra linguaggio e ontologia: non esistono concettualizzazioni della realtà indipendenti dal linguaggio ordinario.
Il bambino non può che partire con la semplice associazione fra gli stimoli verbali delle persone che gli stanno intorno, percepiti olofrasticamente, e gli stimoli non-verbali che esperisce in prima persona, secondo i condizionamenti tipici del comportamentismo. Quindi, attraverso questo continuo feedback di associazioni fra stimoli verbali e non-verbali, il bambino comincia contemporaneamente a risolvere la struttura tanto dei primi (comincia a distinguere i fonemi, a costruire soggetti, predicati, strutture (co-)referenziali, pluralizzazioni, anafore...) quanto dei secondi (comincia con la postulazione di oggetti concreti e prosegue con quella di entità via via più astratte come termini generici singolari, classi, numeri...). La differenza fra le prime fasi e il risultato finale di una fluente padronanza della lingua madre è notevole ma non essenziale, è solo questione di grado: all'inizio la relazione fra stimoli e suoni è evidente nella sua semplicità e nella sua verificabilità su base comportamentale; in seguito il significato non si trova più a dipendere solo da stimoli non-verbali diretti ma dalla fitta rete di interazioni che il linguaggio stesso contribuisce a tessere. In ogni caso tutto quel che possiamo osservare restano sempre e soltanto correlazioni fra stimoli sensoriali e risposte verbali o stimoli verbali e risposte verbali. E la stessa identica cosa accadrebbe a un ipotetico antropologo linguista che volesse imparare la lingua sconosciuta di una popolazione mai incontrata prima. Un ipotetico manuale di traduzione rimarrebbe essenzialmente indeterminato, anche se non arbitrario, dal momento che non saremmo in grado di determinare in quale delle diverse ontologie empiricamente equivalenti i parlanti della lingua ignota pensano realmente. Ma la critica di Quine è radicale: non c'è bisogno di immaginare una lingua ignota: anche quando parlo con persone nella mia stessa lingua è sempre in atto una sorta di traduzione, di interpretazione continua dei suoni nel mio privato spazio cognitivo: il riferimento stesso si dimostra indeterminato.
Qual è l'insegnamento di fondo, in tutto ciò? Il senso è che la dicotomia significante/significato evapora; l'indeterminatezza della traduzione, l'imperscrutabilità del riferimento, la relatività ontologica, non sono difficoltà pratiche, ma mettono in luce precisamente i limiti dell'approccio mentalistico: singoli significati dietro singole parole, le idee nella mente, sono tutti concetti vuoti. Di più, il famoso mito di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette, rappresenta il principale responsabile di molte insensatezze filosofiche.
 
(continua: 3/3)

21 April 2009

Quine - 4 - Affresco (1/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 0/3)
 
Il primo passo del percorso di Quine, il primo e più importante crollo che si trascinerà dietro quasi tutto il tempio della filosofia, è la critica alla distinzione analitico/sintetico. Quest'ultima è una terminologia kantiana, ma si tratta di un filo rosso che percorre tutta la filosofia: è, in fondo, quel che Leibniz chiamava distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, e che Hume, il mitico Hume, distingueva come relazioni fra idee, da una parte, e materia di fatto, dall'altra. Per dirla con esempi, si tratta della differenza tra frasi come "piove o non piove", o "se sei scapolo, non sei sposato" da un lato, e, dall'altro, frasi come "Giovanni è a messa".
La differenza, lo capite benissimo, è allo stesso tempo evidente e fondamentale. Tanto evidente che, sono pronto a scommetterci, se non avevate mai sentito parlare di Quine, non avreste mai pensato ci fosse qualcuno che osasse metterla in dubbio. Tanto fondamentale che su di essa si basa proprio tutto il programma riduzionista: da una parte c'è la logica e la matematica, certa senza alcuna ombra di dubbio, e dall'altra ci sono i fatti "nudi e crudi" della realtà, e compito del filosofo è proprio quello di separare, nella nostra immagine del mondo, ciò che è linguaggio, convenzione, da ciò che è "là fuori" (e poter così eliminare, nel cestino della metafisica, quel che resta).
Le prime formulazioni delle sue critiche risalgono agli anni trenta del secolo scorso, ma il saggio di riferimento, Due dogmi, viene pubblicato nel 1951. Quine mostra che tutti i tentativi proposti fino ad allora di salvare la distinzione analitico/sintetico (giusto per citarne qualcuno: la nozione di necessità, le descrizioni di stato di Carnap, regole semantiche, regole linguistiche come la sostituzione dei termini salva veritate...) tutti questi tentativi, mostra Quine, non sono altro che petizioni di principio o spiegazioni obscura per obscuriora. Di più: Quine afferma che qualsiasi tentativo in questo senso è destinato a fallire.
L'argomentazione di Quine è duplice e possiamo pensarla come un viaggio di andata dall'esperienza alla conoscenza, e poi un ritorno di nuovo all'esperienza.
La prima tappa è il famoso olismo epistemologico: ogni teoria scientifica, ogni visione del mondo, anche quella dell'uomo comune, si presenta al vaglio dell'esperienza non pezzo per pezzo, ma come un tutto unitario. Non esiste un unico strato empirico che un singolo enunciato può indicare come "suo". La seconda tappa è una concezione del significato secondo cui l'unico modo sensato di attribuire un contenuto ad un enunciato è solo in termini delle sue conseguenze, se vero, nel nostro mondo di esperinza: capisco che Giovanni è a messa perchè se l'enunciato è vero attravero la strada, entro in chiesa e ci trovo Giovanni.
Se ammettiamo queste due circostanze, dunque, Quine dimostra che non ci è concesso di poter determinare univocamente se il significato e la verità di un enunciato dipendono dall'esperienza o da convenzioni linguistiche. La componente fattuale e quella linguistica di ogni enucniato, e dunque di tutta la nostra descrizione del mondo, fino a quella scientifica, risulteranno inestricabilmente intrecciate. E' la famosa stoffa grigia di enunciati, nera di fatti e bianca di convenzioni, ma priva di fili del tutto neri e altri del tutto bianchi.
Le conseguenze sono pesanti e vaste, costringendo a ripensre praticamente tutti i temi della tradizione filosofica: dalla giustificazione della matematica alla teoria del significato, dall'ontologia all'epistemologia fino alla concezione stessa della filosofia.
Crollano dunque molti piani dell'edificio positivista, e Quine ci costringe a riconoscere che la nostra immagine del mondo, scienza compresa, non si costruisce attraverso un rispecchiamento fedele della realtà, ma è essa stessa un costrutto teorico non univoco e impossibile da ridurre a una base empirica predeterminabile. Ma, sottolinea Quine, questo non significa affatto affermare che tutto è equivalente e qualsiasi cosa può andar bene. I muri portanti dell'empirismo restano ben piantati: Quine diffiderà sempre di criteri ontologici troppo liberali e anzi riconosce un legame molto stretto fra esperienza e scienza, e considera quest'ultima di fondamentale importanza nella nostra cultura.
In effetti, quello di Quine rappresenta il più profondo e fecondo tentativo compiuto nel nostro secolo di riformulare il programma empirista su nuove basi.
 
(continua: 2/3)

20 April 2009

Quine - 4 - Affresco (0/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
Squilli di trombe!
Rullo di tamburi!
Cominciamo, finalmente, ad entrare nel merito di Quine!
(Ma chissà poi se e dove andremo a finire...)
 
Per cominciare, invece di entrare direttamente nel dettaglio delle sue tesi principali, vorrei proporvi un volo dall'alto sul suo percorso filosofico. Un passaggio importante, per mettere tutto in prospettiva, ma arduo, per me, da compilare, perchè presuppone una conoscenza vasta e approfondita del logico americano, e una capacità di riordinare le sue tesi in un disegno organico; tutte competenze, come dicevo, che io certamente non ho.
Ma, per voi, ho pensato di rielaborare, in maniera semplificata e concisa, la bellissima introduzione di Luca Bonatti alla traduzione italiana del Quidditates (aiutandomi anche con il primo capitolo dell'introduzione a Quine di Gloria Origgi).
Vi avverto che, nonostante l'attesa spasmodica (è nientemeno che il quarto post espressamente dedicato a Quine... senza nemmeno contare le divagazioni complesse, quantistiche e quant'altro) non troverete qui di seguito alcun serio tentativo di argomentazione. Se mai un giorno proverò a suggerire qualche argomentazione alle tesi di Quine, non potrà che essere su un punto specifico, per circoscrivere il più possibile un discorso che altrimenti si espanderebbe come un gas perfetto ad occupare tutto lo spazio a disposizione.
 
(continua: 1/3)

13 April 2009

Quine - Quidditates

Quasi un dizionario filosofico.
Rigore e leggerezza per un viaggio ironico negli argomenti più seri.
 
Se desiderate questo libro — e, confessatelo, lo desiderate anche voi! — rassegnatevi.
 
Non si può comprare: è fuori catalogo.
Nessuna delle librerie il libraccio di Milano ne ha una copia usata.
 
Per fortuna esiste la Biblioteca Sormani.
E così ho potuto anche fare una foto alla copertina ed aggiungerla ad anobii... :)
 
Non è che qualcuno ha una copia non gradita del libro da vendermi?

26 March 2009

Quine - 3

Quine riesce a smontare e ricostruire con parti migliori la nave, rimanendo in mare aperto.
Quine Fact n. 1
 
No, no, purtroppo non entreremo ancora in medias res: questo è semplicemente un altro post con cui, per la gioia di delio, cerco solo di tirarla per le lunghe.
Il fatto è che cercare di spiegare Quine è davvero difficile per una sorta di paradosso di fondo che caratterizza le sue conquiste.
Da una parte, infatti, quella di Quine è una concezione filosofica sistematica, che punta alla costruzione di un grande sistema omnicomprensivo della realtà. Questo è un aspetto che, personalmente, trovo molto seducente perchè, fin "da piccolo", l'ho sempre considerato come il tratto distintivo della filosofia: cercare risposte a singoli problemi è il ruolo che, da quattro secoli a questa parte ormai, si è ritagliato la scienza; ricomporre quelle risposte in un quadro organico e complessivo era sempre stato per me quasi la "definizione" di filosofia e comunque ne costituiva il vero valore aggiunto.
Dall'altra, però, delle tesi di Quine manca una (sua) "esposizione" altrettanto sistematica, organica e strutturata. Man mano che si scopre Quine ci si ritrova con una fitta rete di vere e proprie scoperte che pian piano delineano la trama complessiva in maniera graduale e olistica; e se, alla fine, si prova a fare un po' di ordine mentale (come sto provando a fare in questi giorni), ci si rende conto che non c'è un percorso di costruzione lineare: le sue tesi in qualche modo si implicano l'un l'altra e il suo naturalismo epistemologico è contemporaneamente un metodo e il risultato della sua stessa applcazione.
 
Faccio fatica anche a suggerire una bibliografia, se deve essere introduttiva e divulgativa (soprattutto se mi lascio deprimere dai paragoni con le facili e apparentemente avvincenti divulgazioni di Popper, Kuhn e Lakatos...)
Le opere di Quine sono sempre molto difficili, molto tecniche (non dimentichiamoci che, prima che filosofo, Quine è un logico), spesso prendono di mira un problema particolare (anche se poi i riferimenti e le implicazioni sono vastissime) e certamente sono tutt'altro che divulgative. Anche il già citato Dallo stimolo alla scienza, che dal titolo sembrerebbe proprio un compendio della sua visione epistemologica, è in realtà, sì, proprio un compendio, ovvero un condensato, una densissima ricapitolazione della sua visione che però, in pratica, presuppone già una più che discreta conoscenza dei temi trattati e comunque manca di vere e proprie argomentazioni. E, nonostante le apparenze, non è un libro di divulgazione (si dà per scontata tutta la logica contemporanea e si usa ripetutamente la sua sintassi gergale senza spiegarla o esemplificarla — e che non crediate che io riesca a coglierne tutti i dettagli...!)
Introduzione a Quine
Di opere su Quine ho letto solo la bellissima introduzione della Origgi: anch'essa può considerarsi un compendio delle idee di Quine, con il vantaggio, però, di offrire molte più spiegazioni e argomentazioni. Anche in questo caso è difficile considerarla una leggera lettura da comodino (o forse sì, ma in un altro senso...).
A voler cercare qualcosa di più accessibile (ma forse qui sono falsato dal mio curriculum di studi), si potrebbero leggere i saggi di Bellone, da considerare come altri libri su Quine, almeno indirettamente. Il loro grande vantaggio, dal punto di vista di un avvicinamento a Quine, è quello di non averlo come obiettivo principale, ma di riuscire a "somministrarlo" gradualmente, per osmosi, occupandosi di altro col "metodo" Quine. Questo "altro" è la fisica nel suo sviluppo storico, per questo dicevo che forse il mio giudizio di maggior semplicità di lettura non è valido in generale; ma fra i ventun lettori di questo blog una buona parte sono fisici, per cui il consiglio non è del tutto insensato.
Immagine di Il mondo di carta
Se fossi a digiuno tanto di Quine quanto di Bellone, non partirei con i suoi ultimi libri, come Molte nature o I corpi e le cose, in cui prevale un tentativo di argomentare per vie generali su prospettive ampie. Partirei con i classici (e bellissimi) Il mondo di carta o I nomi del tempo o Spazio e tempo nella nuova scienza o La stella nuova — che belli, questi titoli, non trovate? — (Saggio naturalistico sulla conoscenza credo rientri nella prima cateogira...). Scoprirete, fra l'altro, com'è possibile leggere un libro affascinate e soprattutto profondo, molto profondo, sulla fisica, anche senza tuffarsi negli esoticissimi e coloratissimi mari tropicali della relatività di Einstein o della meccanica quantistica. Devo anche avvertirvi di non aspettarvi i classici libri di storia della fisica, chessò, à la Trent'anni che sconvolsero la fisica (pur bellissimo, non fraintendetemi). Non difficile come lo stesso Quine, ma certamente anche Bellone resta una lettura impegnativa. E se il vostro obiettivo resta Quine, una sola "seduta" di Bellone potrebbe non bastare.
Ma insomma, se belli volete apparire... :)

12 March 2009

Pidgin


(fonte: wikimedia)
Scopro assolutamente per caso — indovinate leggendo cosa? Esatto, Quine! Ma come avete fatto ad indovinare?!? :o) — che il nome Pidgin del famosissimo client di instant messaging open source multipiattaforma e multiprotocollo, deriva dal termine pidgin, appunto, che sta ad indicare quelle lingue fortemente semplificate nella struttura e nel vocabolario che derivano dalla mescolanza di lingue di popolazioni differenti venute a contatto a seguito di migrazioni, colonizzazioni e relazioni commerciali.
 
Sapevatelo!

05 March 2009

Quine - 2


No, non è Quine, è Moritz Schlick,
fondatore del circolo di Vienna
(cui partecipò anche Quine)
Allora, partiamo realmente a parlare di Quine, o no?
Il fatto è che non ho proprio alcuna idea, ancora, di come attaccare il problema che potremmo dire della divulgazione di Quine. Proverò a partire rispondendo alla domanda di Davide: perchè?
Spero almeno di incuriosirvi.
 
Se anche non siete filosofi, ma se le scienze almeno un po' vi interessano, vi ricorderete certamente del circolo di Vienna e del loro fantastico programma riduzionista. I più maliziosi lo riassumerebbero così: un gruppo di signori ottocenteschi accomunati dal desiderio megalomane di ridurre tutto il sapere, tutta la nostra conoscenza, ad un serie di strati di discipline scientifiche, dalla biologia, alla chimica, alla fisica, via via più "profonde", fino a toccare i "fatti" nudi e crudi e verificabili. Eventualmente aiutati dal linguaggio logico matematico, che coi fatti non ha niente a che fare, ma sulla cui verità non si può dubitare. E se qualche affermazione, dopo una debita analisi, presentasse qualche elemento che non fosse riconducibile nè a una verità logica nè ad un'affermazione empirica, sarebbe da considerarsi un'affermazione metafisica priva di contenuto, priva di significato.
Quelli, i maliziosi, usano tali pennellate di ridicolo per dipingere questi, i viennesi, perchè sono convinti che un tale programma non abbia senso, non tanto perchè pretenzioso, ma proprio perchè mal posto. Be', come vedremo, seguendo Quine, ci toccherà dar loro ragione.
Conquistatomi dunque le simpatie dei maliziosi, vorrei però che non cambiassero canale nemmeno gli ingenui — fra cui, sia chiaro, metto in conto anche me stesso.
Il fatto è che i maliziosi tendono a non ricordare qual era il contesto in cui si formò il circolo di Vienna: orde di idealisti tedeschi in preda ai deliri più sfrenati in un'orgia continentale affollata di voluttuosi Spiriti, Io-Puri e Non-Io sempre lì a porre se stessi prima e dopo gli altri. Capite bene che, in queste circostanze, qualche errore veniale da principianti si vorrà pur perdonarlo a chi stava solo cercando di riportare un po' di dignità nella storia del pensiero umano, no?
Ebbene, miei cari compagni d'ingenuità, sappiate che Quine, nonostante quel che ha combinato, non rinnega affatto lo spirito empirista che animava il positivismo logico. Anzi, non è una mia personale opinione che Quine sia approdato alle sue tesi proprio percorrendo fino in fondo la via empirista. E il suo merito è stato quello di non fermarsi di fronte al fragoroso crollo dei principali capisaldi del neopositivismo, ma di rimboccarsi le maniche, fare il conto, pesante, dei danni, e provare ad elaborare una nuova concezione della filosofia che riprendesse il cammino. Nella stessa direzione.