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11 May 2009

Deficit attentivo in filosofia: Cacciari contro Quine

Con un po' di ritardo, alla fine ho trovato il tempo per ascoltarmi la registrazione della puntata di Uomini e profeti di Radio 3 con l'intervento di Massimo Cacciari, segnalata da ToMaTe ormai qualche tempo fa.
Il deficit del titolo di questo post si riferisce a questo commento, sempre di ToMaTe, e, istintivamente, matura grossomodo nella prima metà della trasmissione, in cui il filosofo sindaco di Venezia ci rende edotti su questioni di incontri/scontri di civiltà, di culture, di elementi non-ordinabili. Matura istintivamente proprio in contrapposizione a quel commento sul mio blog, in contrapposizione alla filosofia di Quine. Per me, infatti, sono queste riflessioni generali sull'Uomo Europeo, sull'Occidente, la Storia, la Crisi dei Vincitori, che mettono a dura prova le mie capacità di concentrazione.
Intendiamoci, non ho nulla contro Cacciari, anzi, lo considero un filosofo di grandissimo spessore, mille miglia sopra, chessò, tanto per dire il primo che mi passa per la testa, Giovanni Reale. Cacciari ha sempre attirato la mia curiosità, e la seconda parte della trasmissione lo conferma in pieno, quando espone con incredibile lucidità l'insanabile contraddizione tra religiosità e secolarizzazione, tra culto e laicità, muovendo da una prospettiva teologica, storica e socio/politica che fa da contr'altare perfetto alle mie solite argomentazioni di stampo più squisitamente empirico/epistemologico.
E, lungi da me, non voglio nemmeno sostenere che sia io, nei miei post, ad essere più convincente ed accattivante di Cacciari. Nè che Quine sia di facile comprensione e che dunque siano ingiustificate le esitazioni di ToMaTe.
La differenza che vorrei sottolineare, invece, riguarda direttamente i temi trattati, che seppure chiamansi entrambi filosofia, non potrebbero, ai miei occhi, essere cose più diverse e distanti.
La filosofia di cui si occupa Quine è più "scientifica", più "fisica" rispetto a quella di Cacciari (e per questo mi assumo personalmente tutta la colpa di non riuscire ad affascinare a Quine un fisico come ToMaTe). Quando Quine discute quel che c'è e quel che non c'è (ontologia), quando discute su come si costruisce il processo di conoscenza (gnoseologia), quando discute sul dove sta, se sta, il confine fra fatti e convenzioni, è fondamentalmente molto vicino nello spirito a quell'Einstein che traccia la distinzione fra coordinate, tetradi e connessioni, da una parte, e, dall'altra, le proprietà geometriche degli oggetti fisici che con quelle coordinate, tetradi e connessioni cerchiamo di descrivere (e torniamo alla tesi, che condivido appieno, sulla morale "anti-relativista" della Relatività).
Per questo sono profondamente convinto che conoscere il pensiero di Quine, essere passati almeno una volta attraverso la sua devastante tempesta ed essere riemersi con lui, ancora vivi, rappresenti un'integrazione notevole del bagaglio culturale (nel senso più alto del termine) di uno scienziato, piuttosto che un semplice complemento "umanistico" (nel senso più ridotto del termine) alla sua cultura generale.
 
Non sono molto d'accordo con ToMaTe, invece, sull'adesione al Cacciari conclusivo che parla dell'impossibilità di una scienza unitaria, di un'unica legge e dell'ineluttabilità di una pluralità di leggi: secondo me la natura è una sola, e se ancora non riusciamo ad unificare le nostre visioni è solo per difficoltà tecniche contingenti.
Anche la storia dell'atlante di mappe privo di un'unica mappa globale, come metafora di un'essenziale frammentarietà del reale, non mi convince: le mappe si raccordano bene, localmente, l'un l'altra, ad indicare la perfetta consistenza delle singole descrizioni in un'unica varietà coerente, che semplicemente non può essere "appiattita" uniformemente.
L'irriducibilità è tutt'altra cosa. Come spiegava bene, in un contesto molto di verso, J. S. Bell a proposito dell'idea di Bohr di complementarietà.