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30 November 2012

   [9] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La scuola austriaca
Con la scuola austriaca è tutt'un altro mondo, hai la genuina sensazione di comprensione: si parte da situazioni semplici e si acquisiscono principi e metodologie che appaiono subito come generali e facilmente applicabili in mille situazioni diverse. Di più, i vari pezzi combaciano perfettamente gli uni con gli altri a formare un quadro dotato di senso. Il che non significa, certamente, aver capito tutto subito, ma significa che per nuove situazioni sai individuare le variabili rilevanti, riesci a capire le direzioni in cui guardare per cercare una risposta, ma soprattutto sai giudicare cosa, invece, rappresenta un dettaglio del tutto irrilevante. Le situazioni reali restano involute, e ci mancherebbe, ma le interpretazioni austriache non si basano su modelli specifici, che assumono relazioni di causa-effetto semplici nonostante il contesto complesso; esse si basano su principi generali che valgono indipendentemente dai dettagli contingenti che invece sono il tipico oggetto di studio dei modelli economici mainstream.
 
Cosa dovremmo pensare, se non che non hanno capito nulla del processo evolutivo, di quei critici (della scientificità) dell'evoluzionismo che sfidassero a fare una previsione specifica su, chessò, quando precisamente quella tal specie cambierà qualche suo fenotipo, e quale, e come? Allo stesso modo le critiche alla teoria austriaca sulla sua mancanza di previsioni precise e falsificabili, sulla sua reticenza all'uso di modelli quantitativi, econometrici e verificabili sperimentalmente, rivelerebbero semplicemente di non aver colto il senso e la portata del suo quadro concettuale.
 
Faccio un esempio, per non lasciare che le mie apologie siano sempre vuote. Prendiamo le politiche monetarie delle banche centrali in regime di monopolio di emissione di moneta a corso legale forzoso: l'aver compreso il ruolo di coordinamento giocato dai prezzi di mercato, e in particolare di quel prezzo che è il tasso di interesse sui prestiti, ha come naturale conseguenza che le politiche monetarie, in qualsiasi direzione cerchino di spingere, devono essere considerate semplicemente delle distorsioni nei segnali che il livello dei prezzi altrimenti invierebbe a tutti gli attori del mercato, dirottando risorse verso progetti e investimenti non richiesti dal mercato, e dunque destinati al fallimento, sottraendole a quelli che potrebbero avere successo. Detto questo, non ha senso mettersi ad argomentare tirando in ballo l'entità della bilancia commerciale o le quotazioni della valuta sul mercato dei cambi o i tassi di prestiti interbancari o qualsiasi altro dettaglio contingente: l'effetto di distorsione ci sarà comunque, anche se l'effetto potrà assumere forme quantitative diverse, a seconda di quelle variabili e di mille altre che non saremmo mai in grado di misurare.
Per fare un parallelo con la fisica, è come se i modelli mainstream cercassero di analizzare in dettaglio la dinamica di una macchina del moto perpetuo, cercando il punto esatto in cui il modello si discosta dalla realtà, sperando così di poterlo migliorare ed ottere davvero, finalmente, il moto perpetuo; mentre gli austriaci, di fianco, magari non sanno dirti bene dove la dinamica del modello comincerà a discostarsi dalla realtà (perché la dinamica è davvero complessa, gli austriaci non lo negano), però provano a ragionare in termini di bilancio energetico e scoprono che no, non può essere: indipendentemente dai dettagli cinematici, alla fine il moto si smorzerà.
 
Insomma, la forza, notevole, dell'approccio austriaco è tutta qui: nel fornire un quadro di interpretazione coerente dei fenomeni economici, evidenziandone i meccanismi rilevanti, gli attori principali e quelli irrilevanti. Molto spesso lo fa senza appoggiarsi a quelle analisi quantitative che tanto piacciono agli economisti mainstream, utilizzando argomenti del tutto generali, capaci di giudicare la bontà o meno di una schematizzazione matematica prima ancora di controllarne l'aderenza empirica a determinati casi concreti.
Volete usare un nome specifico, prasseologia, per questo approccio? Liberissimi di farlo, ma si tratterebbe di una caratterizzazione di ambito, non di metodo. Il metodo, epistemologicamente parlando, è uno solo, quello scientifico, buono tanto per la fisica, quanto per la biologia e l'economia, ed è precisamente lo stesso, à la Quine, usato nella vita quotidiana per oggetti e persone. Le diverse declinazione che i diversi ambiti richiedono differiscono per prassi legate alle specificità dell'oggetto di studio, non per status epistemologico. E per la sedicente prasseologia l'ambito è lo stesso dell'economia classica.
 

29 November 2012

   [8] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Tessere senza puzzle e il calorico di Laplace
La cosa che colpisce di più dell'approccio austriaco, dicevo, è proprio questo suo essere sistematico, questo fornire un quadro interpretativo coerente dei fenomeni economici. Colpisce molto perché, al contrario, un tratto comune di tutte le altre economie è proprio quello di essere, ciascuna, un coacervo di modellizzazioni: prima ancora del difetto di essere stilizzate e/o viziate da qualche assunzione inverosimile, hanno il ben più grave difetto di essere del tutto avulse l'una dall'altra, tessere isolate senza alcun puzzle. A posteriori, questa caratteristica appare come una delle principali ragioni per cui l'economia non era mai riuscita ad appassionarmi: ogni articolo, ogni "spiegazione" di un qualche processo, appariva, nella migliore delle ipotesi, come un brillante esercizio di stile, capace di colpire per il suo ricondurre un qualche effetto visibile ad un meccanismo semplice. Ma i diversi meccanismi non si incastravano l'uno con l'altro a formare un quadro coerente, né costituivano casi paradigmatici da poter applicare in altre situazioni. Per motivi probabilmente molto diversi, si aveva la stessa sensazione che si prova studiando filosofia al liceo: un brancolare senza direzione, con piacevoli incontri ma senza mai la percezione di un senso complessivo.
Prendete la pagina di wikipedia sulla storia del pensiero economico: non c'è un percorso, ogni paragrafo è un'idea diversa, pronta per essere dimenticata nel paragrafo successivo, e ritirata fuori quello dopo ancora, con un neo- davanti...
Ancora: sono molto divertenti tutti quegli studi, chessò, sul mercato del lavoro, in cui si argomenta prendendo in considerazione quella particolare variabile, chessò, il cuneo fiscale, si evidenzia un possibile effetto in una certa direzione di un suo aumento o riduzione, chessò, un aumento o riduzione della domanda, o dell'offerta, si argomenta con qualche caso storico, come quando nel tal paese si girò la manopola del cuneo fiscale in tale direzione e si verificò un cambiamento nel mercato del lavoro in quella certa direzione, e si conclude che il miglior provvedimento da prendere qui e ora è proprio quello. O quello opposto, perché non bisogna dimenticarsi di quell'effetto collaterale che spinge nell'altra direzione, come dimostra quello che successe in quel tal altro paese, quel cert'altro anno.
 
Quando Laplace misurò quantitativamente con precisi esperimenti la quantità di fluido calorico scambiato tra due corpi a temperature diverse, stava testando un caso specifico di una teoria con un solido apparato concettuale e matematico, e con un vasto riscontro sperimentale; quando la teoria cinetica del calore scalzò quella del calorico lo fece proprio attraverso una revisione estesa e profonda di tutto lo schema concettuale che inquadrava la già vasta conoscenza dei fenomeni termici; e la nuova teoria era in grado precisamente di rendere conto di quella stessa fenomenologia, inquadrandola meglio all'interno dell'immagine più ampia del mondo fisico.
 
Il caso ipotetico del mercato del lavoro, quale teoria vorrebbe corroborare? Cosa saremmo costretti a rivedere, se dovesse risultare falsificata? Poco o nulla, il suo valore è estremamente circoscritto, ed è sempre dietro l'angolo la possibilità che un fattore trascurato si riveli meno irrilevante o che un'ipotesi di partenza non fosse realmente soddisfatta.
A differenza della scuola austriaca, le varie economie mainstream (dalle varie neo-declinazioni keynesiane alle altrettanto varie declinazioni neoclassiche) non hanno una teoria in cui inquadrare i vari modellini: si limitano a prendere, ogni volta, in ogni particolare modellino, un gruppo di variabili quantitative più o meno a caso, provano a trarne una qualche correlazione matematica e cercano se una correlazione simile può essere riscontrata in un caso reale specifico: è del tutto evidente la totale povertà esplicativa a cui un simile approccio può aspirare!
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27 November 2012

   [7] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La prasseologia, senza chiedersi prima perché.
Nonostante il nome che puzza, dicevo, di scienze sociali, la prasseologia non cerca di entrare nel merito della natura umana, dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desideri; non cerca di individuare le spinte che portano tipicamente a certe scelte, non si chiede perché la maggior parte degli uomini agiscono in certi modi, perché alcuni invece fanno eccezione, e perché, e come, e quando, e se...
L'originalità, la solidità e la forza esplicativa del suo approccio consiste invece nel limitarsi a prendere in considerazione gli aspetti, per così dire, formali, strutturali — e minimali — dell'agire umano: il fatto, essenzialmente, che si tratta di gesti effettuati da singoli individui e finalizzati ad uno scopo (eventualmente contingente, specifico, isolato). E badate che, scoprireste, l'uso della parola "scopo" è usato nel senso meno "idealista" e più galileiano possibile: non è uno "scopo ultimo", non è un progetto elaborato con cura e consapevolezza, non presuppone un ideale astratto a cui tendere; ho usato il termine "galileiano" nel senso dell'io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna, di un'aderenza al dato empirico in un senso più profondo del cercare un riscontro statistico a posteriori su casi specifici e contingenti.
Ma a dispetto dei presupposti minimali, proprio come con Galileo, il vero, benché di cosa leggiera fornisce, a posteriori, precisamente i mattoni più solidi con cui prende forma un edificio coerente proprio per quelle massime questioni considerate tanto nobili. Fuor di metafora: a dispetto dei presupposti minimali, i risultati dell'approccio misesiano sono incredibilmente vasti e fecondi.
L'idea, ad esempio, di una definizione "fattuale" di scelta economica, avulsa da qualsiasi valore morale, motivazione, obiettivo dichiarato o addirittura consapevolezza di chi la compie, consente loro di evitare di impelagarsi in discussioni con inevitabile tendenza alla metafisica sui concetti di benessere individuale e pubblico, sui verbi modali "volere" e "dovere"...
Similmente per il concetto di valore economico: l'evidenza della sua irriducibile soggettività (variabile non solo da individuo a individuo, ma anche per lo stesso individuo in momenti diversi e addirittura giudicato differente, dallo stesso individuo nello stesso momento, per due oggetti identici) mina, in generale, qualsiasi tentativo di darne una rappresentazione quantitativa, fosse anche in senso debole di mera relazione di ordinamento, e consente loro, in particolare, di elaborare il concetto di marginalità (che ora va tanto di moda anche fra gli economisti mainstream, ma che viene elaborato in maniera chiara e formale per la prima volta proprio da Menger, il capostipite della scuola austriaca), gettando una luce rivoluzionaria sul concetto di scambio economico, in cui viene distrutta per sempre l'ingenua concezione del prezzo come quantificazione del valore del bene scambiato.
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26 November 2012

   [6] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La prasseologia: perché?
Una delle cose che colpisce maggiormente avvicinandosi alla scuola austriaca in maniera anche solo minimamente sistematica è proprio questo suo carattere organico.
 
Mises conia un termine specifico, la prasseologia, per identificare il suo oggetto di studio, e marcare in qualche modo le distanze con l'economia classica, e devo confessare che questa cosa mi insospettiva parecchio: questa presunta nuova scienza in -logia ricordava troppo le altre scienze sociali, e ad aggravare la cosa c'era questo suo sedicente carattere ipotetico-deduttivo, questo suo richiamarsi alla logica e alla matematica, di cui però non condivideva il linguaggio formalizzato, e questo ispirava innegabilmente pochissima fiducia: di quante teorie strampalate avete sentito parlare che si appellavano all'auto-evidenza, a partire nientepopodimenoché da Cartesio?
Oltretutto se vi capita di leggere su internet delle difese della scuola austriaca che non si limitano ad Hayek, ma che si rifanno espressamente a Mises, con grande probabilità vi ritroverete precisamente a leggere delle ingenue ricapitolazioni e ridefinizioni di metodo scientifico che fanno sorridere chiunque mastichi un po' di filosofia della scienza, annacquando completamente la reale portata del contributo misesiano.
E non sto parlando solo di semplici, comuni "blogger": prendete questo brano di Rothbard sull'uso della matematica in economia, A Note On Mathematical Economics (Una nota sulla matematica in economia): i concetti su cui insiste — le particelle fisiche unmotivated da una parte e le azioni umane motivated dall'altra, le leggi fisiche meaningless da un lato e quelle prasseologiche meaningful dall'altro, il mero "significato operativo" (operational meaning) delle leggi fisiche da confrontare con le leggi prasseologiche che sarebbero invece significativamente vere (meaningfully true) — fanno venir voglia di fuggire a gambe levate e smettere di leggere dopo i primissimi paragrafi!
 
Ma se si mettono completamente da parte le solite ragioni epistemologiche — cioè quelle rivendicate dai tipici libertari, a cominciare da Rothbard stesso, e non quelle rivendicate da Quineiani come me :-) — se si mettono da parte, dicevo, le solite ragioni epistemologiche che dovrebbero, a priori, condannare gli approcci positivisti e consacrare solo quelli misesiani, e si procede in maniera sistematica dal principio (io continuo ad indicare sempre lo stesso testo, l'Economics for Real People di Gene Callahan, solo perché è l'unico che ho letto, ma chissà quali testi migliori esistono là fuori), si scopre un approccio del tutto originale, purtroppo oggi come allora, ai temi economici.
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20 November 2012

   [5] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Quine
Allora, come ripetuto altre volte su questo blog, dopo Quine non abbiamo più un criterio di demarcazione semplice à la Popper: né experimentum crucis, né una metodologia universale. L'esempio paradigmatico della fisica quale hard science rappresenta solo il caso in cui le cose sono più facili.
L'astronomia e persino la cosmologia, pur senza esperimenti ripetibili e dunque senza una reale possibilità di falsificazione popperianamente intesa, non hanno alcun complesso di inferiorità rispetto alla fisica di laboratorio e godono invece spesso di un grado di affidabilità e scientificità molto maggiore di altri ambiti più fenomenologici della fisica, nonostante in questi ultimi sia possibile applicare metodologie sperimentali più squisitamente galileiane.
L'evoluzionismo darwiniano, nella sua accezione più ampia in contrapposizione a framework completamente diversi (uno per tutti, il disegno intelligente), gode di assoluta scientificità non certo per un singolo esperimento cruciale o per l'uso di una metodologia assimilabile, fosse anche in senso molto lato, a quella del fisico: i motivi per cui, indiscutibilmente, rappresenta un pilastro della nostra immagine scientifica del mondo vanno ricercati, contemporaneamente ed inestricabilmente, nella sua aderenza al dato empirico su un fronte vastissimo (fisico, chimico, biologico, ecologico, paleontologico, etc...) e nella sua potenza esplicativa, ovvero nella sua capacità di riunire in un unico schema concettuale quella immensamente variegata fenomenologia.
Queste solide ragioni — nessuna, da sola, cruciale, nessuna puramente empirica e nessuna puramente teorica — rappresentano quello che Quine chiama il tribunale dell'esperienza, a cui le nostre teorie si sottopongono non per singole affermazioni ma come un tutt'uno (olismo epistemologico). E la forza di quelle ragioni sta precisamente nel loro perfetto inserirsi nel quadro complessivo della nostra immagine del mondo; la loro forza risiede nel fatto che una loro revisione ci costringerebbe a modificare profondamente e/o ampiamente il resto della nostra immagine del mondo.
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17 November 2012

   [4] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Le critiche degli austriaci: da Hayek alla prasseologia di Mises
Prendiamo, ad esempio, le critiche di Hayek, probabilmente le meno radicali e più circoscritte, e per questo forse le più facilmente condivisibili, ma non per questo meno incisive.
Un bel compendio (con beneficio di inventario: in realtà ho letto poco Hayek) lo si può trovare nel suo discorso di accettazione del Nobel (The Pretense of Knowledge). Le sue critiche non cercano di alzarsi sui massimi sistemi, tentando di definire un criterio di demarcazione per una conoscenza scientifica e bocciando il positivismo economico sulla semplice base della violazione di tali criteri. No, lui accetta di buon grado la possibilità, in linea del tutto teorica, di elaborare modelli quantitativi di sistemi socio-economici da cui trarre significativi insegnamenti e concrete ricette per modificare o stabilizzare l'evoluzione di tali sistemi in direzioni desiderate. Solo che poi arriva a negare la bontà di praticamente tutti i modelli usualmente proposti, sulla base di considerazioni nel merito di tali modelli, senza ovviamente contestare la bontà dello svolgimento matematico della modellizzazione, ma negando i presupposti di validità delle assunzioni che dovrebbero giustificare tali modelli come adeguate rappresentazioni della realtà. Le sue non sono argomentazioni "esterne", ma parlano la stessa lingua del positivismo economico; e tuttavia sono di natura così generale da avere come risultato pratico un rifiuto virtualmente sistematico dell'applicazione di metodi quantitativi nel tentativo di capire e governare l'economia.
Per poter giudicare la bontà e la forza delle argomentazioni di Hayek, dunque, bisogna in qualche modo entrare nel merito dell'economia e dell'econometria, bisogna adottare, cioè, lo stesso approccio positivista che si ritroverà alla fine enormemente depauperato.
 
In alternativa è possibile arrivare alle medesime tesi per vie ortogonali, criticando il positivismo economico su basi puramente epistemologiche, fornendo la propria visione di "giusto sapere" in campo socio-economico, cercando di mostrare che il "solito" metodo scientifico può andar bene per la fisica ma non per l'economia, e dando persino un nome, la prasseologia, al corretto approccio, sedicente aprioristico-deduttivo, per lo studio di dinamiche sociali.
Ebbene, è evidente che un tale approccio risulta estremamente delicato: cosa mai potranno, questi austriaci, su un problema, quello della demarcazione, su cui scienziati e filosofi della scienza a legioni si sono accaniti da prima ancora di Galileo, e a tutti, nei casi migliori, è sempre mancato qualcosa?
 
Meno che a Quine, ovviamente.
 
Ecco, le vaste pretese di questo post di cui parlavo in apertura stanno tutte, precisamente, nella spiegazione delle vere ragioni della bontà dell'approccio austriaco, perché mi toccherà riassumere l'epistemologia quineiana.
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16 November 2012

   [3] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  ...e al positivismo sociologico
Detto questo sul neopositivismo, veniamo finalmente al positivismo sociologico e alle critiche (austriache) ad esso.
Ebbene, le scienze sociali — senza nemmeno prendere in considerazione critiche del primo tipo, à la Hegel — comunque faticano, in generale, a sostenere anche il solo sguardo delle critiche à la Popper. Il loro appello al metodo scientifico e al confronto empirico, per giustificarsi e darsi un tono, sprizza ingenuità da tutti i pori: le usuali crtiche al positivismo fanno le pulci a concetti come experimentum crucis, ripetibilità dell'esperimento, verificabilità/falsificabilità, et cetera, mentre la sociologia pretende la sua aiuola privata nel giardino delle scienze per il mero fatto di usare un linguaggio che può ammantarsi di matematica solo per il riferimento a tecniche di inferenza statistica (spesso, poi, usate in modo troppo semplificato, quando non addirittura errato). Non è nemmeno il caso di addentrarsi in sofisticate argomentazioni epistemologiche per rendersi conto che i caratteri di solidità e rigore solitamente associati all'attributo scientifico non possono essere comprati con semplici correlazioni statistiche, soprattutto se queste sono estratte da una modellizzazione iper-semplificata di un fenomeno complesso in cui le variabili lasciate fuori dal modello hanno altrettanta se non più rilevanza per la fenomenologia reale di quelle incluse.
Orbene, gli austriaci condividono questa diffidenza verso i metodi e i risultati delle scienze sociali, e dell'economia in particolare, arrivando spesso a rifiutare del tutto, a priori, l'utilizzo di metodi quantitativi.
Ma il punto è: con quali argomentazioni?
Qui il panorama si complica, perché le critiche austriache alle analisi quantitative in economia si declinano in modi molto diversi, spesso nemmeno complementari ma apparentemente in reciproca contraddizione.
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14 November 2012

   [2] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Critiche al neopositivismo...
Ma cominciamo ad entrare nel merito della questione, perché è chiaro che nessuno, io per primo, sarebbe disposto a fare propria una prospettiva programmatica come quella positivista, nella sua beata ingenuità, neppure in campo strettamente epistemologico, in cui le ingenuità sono meno pacchiane.
Il punto cruciale, però, che andrà a distinguere posizioni potenzialmente distantissime, sono le ragioni in base alle quali si considera ingenuo l'approccio positivista.
Semplificando, e prendendo come riferimento il dibattito epistemologico, ci sono grossomodo tre diversi modi per farlo.
Il peggiore è quello a cui appiccicherò il nome di Hegel, sia maledetto per sempre: il rifiuto del positivismo per il suo rifiuto della metafisica, nel senso più abominevole del termine di fuffa senza senso.
Poi c'è l'approccio a cui appiccicherò il nome di Popper, che consiste nel fare le pulci a tesi specifiche del positivismo ("falsificazionismo, diamine, non verificazionismo!"), senza tuttavia proporre un reale cambio di prospettiva: quasi tutte le ingenuità del positivismo restano lì e i principali problemi aperti, uno per tutti quello della demarcazione, restano tali.
E infine c'è Quine: il positivismo è letteralmente raso al suolo, nelle tesi specifiche, ma sopravvive nello spirito che l'aveva animato: sopravvive, cioè, il primato della scienza, anche se, per caratterizzarla, non abbiamo più criteri di demarcazione semplici e cruciali, e dobbiamo invece ricorrere a valutazioni generali che, anche per casi specifici, coinvolgono potenzialmente tutta la nostra conoscenza, riferendosi contemporaneamente, e inestricabilmente, tanto al dato empirico quanto al linguaggio teorico, nel loro insieme.
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10 November 2012

   [1] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Positivismi
Uno dei motivi per fare il salto da un positivismo all'altro, in realtà, è piuttosto personale e deriva dal fatto che per me, prima d'ora (quando d'economia non capivo nulla e, essenzialmente a causa di ciò, nemmeno mi piaceva, lei e le scienze sociali sue cugine), il termine positivismo costituiva un automatic redirect al termine neopositivismo.
La pagina di disambiguazione di wikipedia per il termine positivismo, invece:
  • riporta l'ambito delle scienze sociali come il principale riferimento del termine;
  • considera il neopositivismo come "positivismo in filosofia";
  • annovera il positivismo giuridico (in contrapposizione al giusnaturalismo);
  • cita il positivismo come corrente letteraria;
  • *non* disambìgua alcuna caratterizzazione del termine in ambito specificatamente economico, da far rientrare dunque nell'ambito delle scienze sociali.
Ho fatto riferimento ad it.wikipedia perché la versione inglese ha l'aria molto meno affidabile, visto che mette la conoscenza scientifica in contrapposizione(?) all'empirismo puro(?!?) e cita un certo positivismo politico che sembra banale pubblicità a questo tal Ljubiša Bojić...
Il miglior punto di partenza potrebbe essere invece en.wiktionary, che prova a delineare il denominatore comune all'applicazione dello stesso termine in ambiti diversi: il rigetto per la metafisica e l'appello (eventualmente velleitario) al metodo scientifico come strumento principe di conoscenza. Ed è proprio descrivendo il positivismo in questi termini che si possono intravedere, pur nella loro ingenuità, i tratti che suscitano la mia simpatia.
Tuttavia la diversità degli ambiti di applicazione del termine e le contingenze storiche fanno sì che lo stesso termine venga usato, nei diversi ambiti, per caratterizzare punti di vista spesso difficilmente conciliabili fra di loro. A cominciare dal positivismo giuridico, che prende in prestito il termine solo per questioni etimologiche, ad indicare che la legge sarebbe posta dal legislatore, e non trovata in natura, com'è invece la tesi del punto di vista opposto, il giusnaturalismo, il quale potrebbe invece esso stesso pretendere a buon diritto di collocarsi più vicino allo spirito naturalista, appunto, del positivismo in ambito epistemologico.
(continua...)

08 November 2012

   [0] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  Dichiarazione del tema
Post di vaste pretese, questo.
Tutto nascerebbe da una questione apparentemente marginale, ovvero il rapporto degli austriaci col positivismo. I primi da intendersi, ovviamente, non come popolazione di lingua tedesca localizzata in Austria, ma come metonimia per una tradizione di pensiero in campo economico; il secondo da intendersi, inizialmente, come approccio metodologico ai temi economici. Ho detto "inizialmente" perché il passo dal positivismo economico al positivismo scientifico è breve, soprattutto per chi come me ha un tenero rapporto d'affetto con quest'ultimo.
Il fatto è che questi economisti di scuola austriaca hanno invece un pessimo rapporto col positivismo, e per me le critiche al positivismo rappresentano, in genere, il primo campanello di allarme per sospetto idealismo tedesco (latente). E poiché la gente pensa già che col libertarismo io abbia abbracciato una sorta di setta satanica à la Scientology, se si fanno anche l'idea che abbia sdoganato pure i continentali, penseranno le peggiori cose di me — il libertarismo ti rivolta come un calzino... ma Hegel resta Hegel!
E' urgente più che mai, dunque, fare chiarezza sulla questione.
 
Siccome però questo post cominciava a diventare più lungo del solito (il che è tutto dire), e poiché pare che sul web pubblicare cose lunghe non sia cortesia verso il lettore, ho pensato di spezzarlo in più parti.
E così per ora mi fermo qui, lasciandovi a crogiolare nell'attesa della prossima puntata.