(...continua)
§ La prasseologia, senza chiedersi prima perché.
Nonostante il nome che puzza, dicevo, di scienze sociali, la prasseologia non cerca di entrare nel merito della natura umana, dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desideri; non cerca di individuare le spinte che portano tipicamente a certe scelte, non si chiede perché la maggior parte degli uomini agiscono in certi modi, perché alcuni invece fanno eccezione, e perché, e come, e quando, e se...
L'originalità, la solidità e la forza esplicativa del suo approccio consiste invece nel limitarsi a prendere in considerazione gli aspetti, per così dire, formali, strutturali — e minimali — dell'agire umano: il fatto, essenzialmente, che si tratta di gesti effettuati da singoli individui e finalizzati ad uno scopo (eventualmente contingente, specifico, isolato). E badate che, scoprireste, l'uso della parola "scopo" è usato nel senso meno "idealista" e più galileiano possibile: non è uno "scopo ultimo", non è un progetto elaborato con cura e consapevolezza, non presuppone un ideale astratto a cui tendere; ho usato il termine "galileiano" nel senso dell'io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna, di un'aderenza al dato empirico in un senso più profondo del cercare un riscontro statistico a posteriori su casi specifici e contingenti.
Ma a dispetto dei presupposti minimali, proprio come con Galileo, il vero, benché di cosa leggiera fornisce, a posteriori, precisamente i mattoni più solidi con cui prende forma un edificio coerente proprio per quelle massime questioni considerate tanto nobili. Fuor di metafora: a dispetto dei presupposti minimali, i risultati dell'approccio misesiano sono incredibilmente vasti e fecondi.
L'idea, ad esempio, di una definizione "fattuale" di scelta economica, avulsa da qualsiasi valore morale, motivazione, obiettivo dichiarato o addirittura consapevolezza di chi la compie, consente loro di evitare di impelagarsi in discussioni con inevitabile tendenza alla metafisica sui concetti di benessere individuale e pubblico, sui verbi modali "volere" e "dovere"...
Similmente per il concetto di valore economico: l'evidenza della sua irriducibile soggettività (variabile non solo da individuo a individuo, ma anche per lo stesso individuo in momenti diversi e addirittura giudicato differente, dallo stesso individuo nello stesso momento, per due oggetti identici) mina, in generale, qualsiasi tentativo di darne una rappresentazione quantitativa, fosse anche in senso debole di mera relazione di ordinamento, e consente loro, in particolare, di elaborare il concetto di marginalità (che ora va tanto di moda anche fra gli economisti mainstream, ma che viene elaborato in maniera chiara e formale per la prima volta proprio da Menger, il capostipite della scuola austriaca), gettando una luce rivoluzionaria sul concetto di scambio economico, in cui viene distrutta per sempre l'ingenua concezione del prezzo come quantificazione del valore del bene scambiato.
(continua...)
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