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04 January 2011

La teoria endosferica del campo o Sistema cosmocentrico

«Facciamo un esempio semplice. Supponiamo, come nell'ipotesi della contrazione di Fitzgerald, che le lunghezze in una direzione siano più brevi che in un altra direzione. [...] Una simile ipotesi ha qualche significato? [...] Per scoprire il mutamento avvenuto non si può far ricorso ai normali sistemi di misurazione: bisogna ricorrere ai metodi del tipo dell'esperimento di Michelson e Morley, in cui per misurare le lunghezze si impiega la velocità della luce. Poi resta ancora da decidere se è più semplice supporre un mutamento della lunghezza o un mutamento della velocità della luce. Il dato sperimentale è che la luce, per percorrere quella che lo strumento di misura indica come una data distanza, ci mette di più in una direzione che in un'altra; oppure, come nell'esperimento di Michelson e Morley, che dovrebbe metterci di più e invece non lo fa. Potete adeguare in varie maniere le misure ad un fatto del genere; qualunque sistema scegliate, vi sarà sempre un elemento di convenzione. Questo elemento convenzionale sopravvive nelle leggi alle quali si arriva dopo aver preso una decisione in merito alle misure, e spesso assume forme sfuggenti ed elusive. Eliminare l'elemento convenzionale è, in realtà, straordinariamente difficile; quanto più l'argomento viene approfondito, tanto maggiore appare la difficoltà da superare.»
Non ho resistito alla tentazione di iniziare con alcune delle parole con cui Bertrand Russell accenna, nel suo bellissimo L'ABC della relatività, alla sottile questione della geometria dell'universo (il corsivo nella citazione è mio). L'elemento centrale per quanto discuterò è l'inevitabile presenza di elementi arbitrari in tale procedura, fatto da tenere sempre presente quando si voglia capire com'è fatto il mondo indipendentemente da come noi possiamo (o vogliamo) raffigurarcelo.
Russell, essendo in tema di relatività generale, fa riferimento alla geometria dello spazio-tempo. Per semplificare un po' e per avvicinarci alla questione che discuteremo, possiamo pensare alla geometria del solo spazio. Bianca Sangiorgio e Roberto Ceriani, in Modelli e Realtà 1 – La fisica e l'arte di comprendere il mondo, scrivono:
«Due sole sono le strade possibili, ed entrambe basate su assunzioni di carattere non sperimentale.
  • Il fisico può scegliere liberamente le regole per misurare gli intervalli spaziali. Una volta fatta questa scelta, la struttura geometrica dello spazio fisico va determinata sperimentalmente. [...]
  • Il fisico può scegliere liberamente la struttura dello spazio fisico, ma allora deve modificare le regole e gli strumenti di misurazione sulla base dei fatti empirici. [...]
Qualunque sia la strada scelta è chiaro, comunque, che alla base vi è una scelta di tipo convenzionale.
Dovremo allora dire che la geometria dello spazio fisico non è solo il risultato dell'esperienza, ma dipende anche dalla convenzione che scegliamo di utilizzare. In altre parole il mondo ci appare dipendere, in qualche modo, da come noi ci immaginiamo esso sia.»
Classicamente ("quotidianamente") si assume che il mondo sia di tipo euclideo e che la lunghezza degli oggetti non cambi al cambiare della posizione dell'oggetto stesso, e questa assunzione rende bene conto della nostra esperienza. In effetti, però, se pensassimo lo spazio fisico in maniera "non euclidea", potremmo ugualmente rendere conto dei dati dell'esperienza adeguando i regoli di misura alla nostra scelta di geometria per lo spazio. Se ad esempio supponessimo, con Russell, che un regolo millimetrato puntato verso nord sia lungo solo la metà dello stesso regolo puntato verso est e che la stessa cosa sia vera per tutti gli altri corpi, riusciremmo a dar conto dell'esperienza esattamente nella stessa misura con cui ci riusciamo classicamente: dovremmo solo dire che il regolo non è un buono strumento di misura della "vera" lunghezza dei corpi perché cambia lunghezza "vera" in relazione alla sua inclinazione, ma poi, poiché ci interesserebbero solo le lunghezze "false" misurate da quello stesso regolo, agiremmo quotidianamente allo stesso modo di come agiamo di fatto.
Resici conto di ciò, eviteremo così di spaccarci la testa nella ricerca della "vera" lunghezza spaziale dei corpi e limiteremo le nostre indagini agli elementi non arbitrari della descrizione del mondo.
 
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Da qualche parte, nella mia memoria, giaceva tutto impolverato il ricordo di una lezione di fisica in prima liceo in cui, en passant, all'interno di un discorso ormai sommerso dall'oblio, il mio professore — quello stesso Roberto Ceriani di Modelli e realtà — menzionava una curiosa dottrina cosiddetta "del mondo cavo" secondo cui la Terra era sì sferica e non piatta, ma tale per cui le valli e i monti che noi abitiamo sono rivolti all'interno della superficie sferica, interno che contiene tutte le stelle e le nuvole e i fenomeni che sovrastano i nostri capi. Io credetti, e ancora credevo fino a qualche giorno fa, che trattavasi di idee propugnate in un passato poco recente, paragonabili alle concezioni alchemiche di pietre filosofali o elisir di lunga vita.
Giaceva — questo ricordo — tutto impolverato in qualche meandro della mia memoria di cui ignoravo completamente anche l'esistenza, quando m'imbattei per caso, girovagando com'è mio solito per la biblioteca della facoltà di Fisica, in un libro di un tale Paolo Emilio Amico-Roxas intitolato Il problema dello spazio e la concezione del mondo — La teoria endosferica del campo o Sistema cosmocentrico. Sfogliando le tavole raccolte in appendìce, mi ritrovai a osservare un disegno in cui si riproduceva un paesaggio della terra concava e lo si metteva a diretto confronto con una riproduzione più consueta dello stesso paesaggio, convesso. Non ci volle molto perché, in un attimo, tornassi ad essere consapevole di quel meandro della memoria, lo spesso strato di polvere fosse rimosso e il remoto ricordo riaffiorasse dall'oblio. Subito pensai che in quel libro si stesse citando la dottrina "del mondo cavo", ma una nuova occhiata al titolo e una breve scorsa all'indice mi convinsero subito che quel libro pretendeva di difendere tale concezione del mondo. E risaliva a nientepopodimeno che il 1960!
Come si poteva pensare che la Terra fosse incurvata verso l'alto, tre anni dopo il lancio del primo Sputnik? Come si poteva pensare che la Luna fosse contenuta all'interno della Terra, l'anno dopo che una sonda si schiantava sul nostro satellite naturale e un'altra ci mandava le prime immagini del suo lato nascosto?
Non ci pensai due volte, e decisi che avrei letto quel libro.
 
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Facciamo un altro esempio. Consideriamo una superficie sferica di centro O e raggio r in uno spazio euclideo tridimensionale ordinario. Essa determina una suddivisione dello spazio in due regioni: quella interna e quella esterna. Esiste una semplice trasformazione geometrica che mette in corrispondenza ogni punto interno alla sfera con uno e un solo punto esterno (in realtà ne esistono molte, ma consideriamone una, per semplicità: quella che mette in corrispondenza ad un punto P a distanza d da O, il punto P' che giace sulla retta PO, e che dista r²/d da O). In questa trasformazione il punto O non trova corrispondente nello spazio (viene mandato all'infinito), ma si tratta di un particolare irrilevante. Inoltre la trasformazione, pur essendo continua, non preserva le distanze: la lunghezza di un regolo, fisso nello spazio di partenza, assume nello spazio di arrivo valori che dipendono dalla distanza dal centro della sfera cui viene posizionato. In questa trasformazione la superficie sferica considerata è un luogo di punti uniti (cioè i punti della sfera vengono mandati in se stessi dalla trasformazione).
Identificate, ora, la sfera con la superficie della Terra: cosa avete ottenuto? La trasformazione di "inversione" che abbiamo descritto muove all'esterno della Terra tutti i punti interni e viceversa! Ecco l'idea geniale: spiegare la teoria "del mondo cavo" con una trasformazione geometrica che connetta lo spazio euclideo normalmente esperito con quello invertito della teoria che si intende difendere! La "vera" geometria dell'universo è quella che concepisce la Terra cava con il suolo che si estende all'infinito sotto i nostri piedi e il cielo che si ritrova racchiuso dalla Terra stessa nel volume di una sfera finita. Come mai esperiamo esattamente il contrario? Ma perché utilizziamo per misurare le distanze dei regoli comuni, che si deformano quando cambiano posizione esattamente di quanto serve perché la "falsa" geometria che deduciamo sia quella euclidea!
 
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Sembra una presa in giro, ma l'autore del libro pare crederci davvero. Si sospetta un consapevole tiro mancino al lettore, dal momento che il nostro Amico-Roxas impiega tutta la prima parte del suo libro (circa un terzo della sua mole) per fare considerazioni perfettamente sensate sul rapporto fra geometria astratta e geometria del mondo fisico, tra modelli e realtà, quasi paragonabili (ho detto quasi!) a quelle di Russell. Sennonché, dopo decine e decine di pagine passate nel tentativo di convincerci della perfetta equivalenza sperimentale dello spazio euclideo tradizionale e quello endosferico (qualsiasi esperienza a favore di un mondo euclideo tradizionale comproverebbe identicamente la sua teoria endosferica "per come è stata definita"), ce lo ritroviamo a riversare altrettante decine e decine di pagine nella speranza di convincerci — contemporaneamente — che tale teoria permette di giustificare cose inspiegabili classicamente. Un'ulteriore conferma del fatto che, forse, Amico-Roxas fosse genuinamente e irrimediabilmente convinto delle cose che tenta di comunicare in quel libro, può essere ritrovata nell'atmosfera di esoterismo e di cabala che pervade molte parti del libro (le "coincidenze" classiche che trovano piena giustificazione nella sua teoria endosferica ricordano molto da vicino le regolarità geometriche che già Keplero trovava nel sistema solare...), lasciando quasi la sensazione di star leggendo un codice di Picatrix, il celebre manuale di magia e negromanzia.
Una lettura curiosa.
Non mi azzardo, però, a consigliarla.