La situazione sembrava favorevole, il post simpatizzava con la McCloskey, che non solo si colloca fuori dal mainstream, ma, in un certo senso, potrebbe condividere con la scuola austriaca tutta una classe di critiche all'economia "ufficiale", quelle, almeno, che riguardano l'uso disinvolto dei modelli matematici. Ma, evidentemente, le cose si rompono proprio quando scoprono che sei un simpatizzante della scuola austriaca: come parlare di disegno intelligente in casa di un paleontologo.
Un paragone appropriato, secondo me, me lo ripropongo spesso: come faccio ad essere così sicuro che in questo caso, quello economico, sia proprio l'eresia ad essere nel giusto, e non il mainstream, come nel caso delle scienze?
Le ragioni, ovviamente, ci sono, e risiedono proprio nell'approfondimento delle tematiche economiche, che è sempre rimasto, l'approfondimento, in moto browniano, finché non è sbucata la scuola austriaca, che ha messo improvvisamente ogni cosa al suo posto. Questa cosa del moto browniano, però, non è solo mia: l'economia stessa, che progressi ha fatto, in tutti questi decenni? E' facile dire mainstream, ma qual è il core di conoscenze comune a tutti i dipartimenti di economia? Nonostante l'ostentata matematica, si ha molto la sensazione di essere come in filosofia: c'è tanta gente, ci sono tante cose interessanti (assieme ad una maggior pletora di fumo), ma non c'è un "modello standard". Anzi, la scuola austriaca è l'unica, che io sappia, ad avere un impianto teorico coerente, capace di fungere proprio da nucleo di aggregazione a mo' di "modello standard" di teoria economica.
Il paleontologo di fronte al disegno intelligente ha nientepopodimenoché Darwin, da mostrare. Contro gli austriaci, cosa c'è?
Ma il punto è: perché il mainstream non si accorge della scuola austriaca come di Darwin e di Einstein?
Oh, si prova a discuterne, eh? Ma giudicate anche voi e ditemi dove sbaglio.
Allora, il tema è questa teoria austriaca del ciclo economico, che è una sorta di applicazione pratica particolare, rispetto all'impianto del tutto generale della sua visione dell'economia (che forse non è un buon punto di partenza per un confronto proprio perché, invece di partire dalle fondamenta, si rivolge a situazioni concrete e reali; che però, ancora proprio per questo, diventa un frequente oggetto di confronto fra la scuola austriaca e il resto del mondo).
Gli argomenti che giustificano la teoria austriaca dei cicli economici risiedono, si diceva, nell'impianto teorico che ne sta alla base: il ruolo dei prezzi dei beni nel coordinamento per l'allocazione delle risorse, il tasso di interesse come "prezzo" di quel particolare bene che è la moneta, misura, il tasso di interesse, della propensione al risparmio e della preferenza temporale rispetto ai beni di consumo finali (ovvero della quantità di guadagno sottratta al consumo immediato e accantonata per consumi differiti nel tempo); su queste basi, la manipolazione arbitraria dei tassi di interesse e della massa monetaria da parte delle banche centrali costituisce una distorsione dei segnali dei prezzi, capace in particolare di frodare il naturale bilanciamento fra risparmio e consumo, e quindi di falsare le esigenze del mercato verso una maggiore o minore profittabilità di investimenti in progetti a lungo termine o meno.
Non c'è un meccanismo di causa-effetto quantitativamente semplice e diretto, ma una sintesi piuttosto comune della teoria austriaca del ciclo economico suona più o meno così: la tendenza a ridurre artificialmente il costo del denaro genera un eccesso di investimenti (fase di boom) su progetti che si riveleranno poi non sostenibili (bust).
E' una semplificazione e va presa per quello che è: se hai delle critiche, vanno dirette alla teoria austriaca, non alla sua semplificazione. Dire che la teoria non è convincente perché sì, ci sono stati gli interessi bassi che avrebbero causato il boom, ma poi quei tassi non si sono rialzati per generare la crisi che invece c'è stata, significa aver introiettato una propria idea della teoria austriaca, verosimilmente basata sulla diffusa semplificazione.
Ma, oh, può succedere: non siamo obbligati tutti ad essere esperti mondiali di scuola austriaca! Però se a questa critica si risponde uscendo (e sottolineando il fraintendimento generato) dalla semplificazione della sintesi, e si entra nei dettagli, poi a questa risposta bisogna controbattere su quei dettagli, non chiudersi a riccio.
E badate che non è questione di pochi casi isolati, di un blogger "sfigato" (che non è certamente il caso de La teiera, ché nientemeno che di un ricercatore e docente universitario di economia alla Bocconi si tratta), perché questa dinamica dialettica si trova pressoché ovunque si parli, in ambiti più o meno istituzionali, di scuola austriaca.
Prendete questa serie di video di Tyler Cowen,
Business Cycles Explained, peraltro abbastanza carini (ma non sono ancora riuscito a vedere tutte le puntate) sui differenti approcci al problema dei cicli economici. La scuola austriaca, più o meno comprensibilmente, considerando anche le ragioni di sintesi, viene presentata attraverso l'usuale semplificazione appena descritta. Qui (siamo nel
quarto video), quando si arriva a descrivere le (presunte) debolezze della teoria austriaca, si gioca la carta dell'altra obiezione citata da
La teiera: l'intelligenza degli imprenditori che, diamine, non sono degli ingenui, e se intuiscono che i tassi sono artificialmente bassi, non si lasceranno ingannare e dirigeranno bene i loro investimenti in maniera da compensare i falsi segnali inviati dalla FED (c'è questa buffa scenetta in cui si ride pensando ad imprenditori che, ah ah ah, non leggono il FT o il WSJ o addirittura Fox News per controllare le previsioni del tem… ehm, dell'inflazione). Anche qui, la teoria austriaca risponde uscendo dalla semplificazione e spiegando come sia l'obiezione ad essere ingenua: se, a differenza del
la teiera, non vi lasciate spaventare dalla lunghezza — che nondimeno è realmente eccessiva, al mises sono sempre verbosissimi (senti chi parla, ndl) — potete trovare una versione più o meno approfondita della risposta su questo vecchio
Mises Daily di Brian J. Stanley:
Why Don't Entrepreneurs Outsmart the Business Cycle?Badate che la risposta di Stanley non esaurisce le ragioni della teoria austriaca contro le manipolazioni centrali della massa monetaria e le ragioni profonde dei cicli economici, essa si limita a rispondere alla critica sull'ingannabilità o meno degli imprenditori: in breve, per citare due punti soltanto fra molti, è ingenuo pensare che l'imprenditore sappia discernere la componente artificiale da quella naturale dei tassi, ed è ingenuo ignorare che i tassi artificialmente bassi rappresentano comunque un'opportunità economica che sarebbe stupido per l'imprenditore non sfruttare.
L'obiezione, nella sua ingenuità, è facilmente smontata. Forse che, così come viene formulata, così come viene intesa dagli austriaci che la contestano nel merito, l'obiezione ha una sostanza meno ingenua dietro quella che sarebbe dunque, analogamente, una semplificazione?
E quale sarebbe, di grazia, questa sostanza?