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29 August 2014

Deflazione

Basta post pretenziosi dai temi velleitariamente alti e nobili: torniamo a parlare un po' di attualità e cose concrete.
Ultimamente si fa un gran parlare, quasi con terrore, di questa fantomatica deflazione. Si sente ripete a più riprese il mantra che la deflazione sembrerebbe una cosa bella, ma in realtà non lo sarebbe. E si leggono tortuosi ragionamenti economici che, però, tutto fanno tranne che spiegare dove il senso comune si ingannerebbe. La retorica spesso è grossolanamente forzata, per cui in caso di inflazione "un euro non mi basta più per acquistare un chilo di carote, come era un anno prima", mentre in caso di deflazione "con un euro arrivo a comprare il doppio delle carote che compravo un anno prima" (enfasi mia).
Prendete l'argomento del rinvio degli acquisti: smettereste di mangiare perché fra un mese il cibo costerebbe di meno? Quindi il problema della deflazione non dovrebbe riguardare i beni primari e di consumo. Ma anche non prendendo in considerazione beni di consumo primario, avete forse notato una crisi perenne di Apple e Samsung da assenza di acquisti, per via che il prezzo degli smartphone dimezza, questo sì davvero, nel giro di un anno?
Del resto in un mondo dominato dell'innovazione, la deflazione è precisamente il pattern economico atteso, e un'eventuale inflazione artificiosamente creata non si configurerebbe altrimenti che come una forma di tassazione, con l'aggravante morale di essere occulta e l'aggravante economica di distorcere i segnali dei prezzi sulla corretta allocazione di risorse.
 
In tutto questo dare addosso alla deflazione, trovo soltanto due preoccupazioni "sensate": l'insostenibilità del debito (pubblico) e la wage-stickiness (in italiano sarebbe qualcosa come "vischiosità dei salari"). Ma, in entrambi i casi, mi sembra si accusi la deflazione di problemi che in realtà nascono e risiedono altrove.
Nel primo caso, lamentarsi di non poter svalutare il debito con l'inflazione significa lamentarsi di non poter derubare il creditore restituendogli meno di quel che si è ricevuto in prestito. Il problema è l'aver contratto un debito sapendo di non poterlo ripagare, non il fatto di doverlo restituire. Il problema è la spesa pubblica eccessiva, non la deflazione.
Anche nel secondo caso, si assume che i salari tendano intrinsecamente a salire e comunque a non scendere, ma mi sembra del tutto ragionevole ipotizzare che possa trattarsi in realtà di una conseguenza, più che di una causa, del regime pluricedennale di alta inflazione. Se la società non si aspettasse, non presupponesse un continuo aumento dei prezzi, sapere di avere un salario costante sarebbe ben percepito come un aumento del potere di acquisto. Al limite, in caso di deflazione prolungata, non è inverosimile immaginare delle rimodulazioni salariali al ribasso. In ogni caso l'aumento o la diminuzione del valore della moneta dovrebbe riflettere gli andamenti del mercato (la propensione al risparmio, la produttività, la produzione, gli investimenti...) e comunque l'aumento o la diminuzione del prezzo dei vari beni e servizi seguirebbero dinamiche specifiche legate all'andamento di domanda e offerta per singoli beni e servizi lungo tutta la catena di produzione, verticalmente e orizzontalmente. L'idea, invece, di manipolare artificialmente la massa monetaria significa sovrastare le richieste dei consumatori e provocare una ridistribuzione arbitraria di beni, risorse e denaro. Oltretutto, anche mettendosi in un'ottica redistributiva di ispirazione socialista, bisogna sottolineare che tali storture impattano abbastanza direttamente anche le disuguaglianze di reddito: poichè, infatti, l’immissione di nuova e fresca moneta non avviene in maniera uniforme, ma ha dei precisi canali di immissione e un deflusso con i suoi tempi, le politiche inflazionistiche e di espansione del credito vedono tipicamente nelle persone già ricche i privilegiati beneficiari di tali immissioni di nuova moneta (che poi la vera dicotomia non dovrebbe essere fra ricchi e poveri, ma fra guadagni legittimi e illegittimi, fra una ricchezza acquisita col lavoro, da una parte, o con arbitrari privilegi dall’altra).