Showing posts with label mises. Show all posts
Showing posts with label mises. Show all posts

01 May 2013

[5] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

[1][2][3][4][5]
(...continua)
 
Però il 6 febbraio 2010 viene istituito Bitcoin Market e il 17 luglio MtGox: mercati di cambio in cui era possibile effettuare transazioni fra bitcoin e dollari, in entrambi i sensi. Su bitcoincharts potete trovare in dettaglio l'andamento del prezzo dei bitcoin insieme al volume di scambi effettuati su MtGox, il principale mercato di cambio di bitcoin.
Aveva dunque un valore, il Bitcoin, il 6 febbraio 2010? era un valore d'uso? di scambio? entrambi?
 
Per comprendere le dinamiche delle fasi di innesco iniziali del valore del Bitcoin è essenziale considerare il fatto che esso nasce col preciso scopo di costituire una moneta, e dunque gli viene applicato, a priori, tutto l'armamentario concettuale associato ad una valuta (riserva, liquidità...). Questo contesto rende evidente, in tutta la sua limpidezza teorica, la circolarità che Mises aveva affrontato con la sua regressione: i membri della comunità Bitcoin vorrebbero comprare bitcoin, o vendere i propri beni/servizi per bitcoin, per poterli poi usare come pagamento per comprare in futuro altri beni/servizi: ma quanto pagare per essi dipende in maniera cruciale da quanto potranno poi, con essi, comprare.
In questo caso la circolarità viene risolta da una regressione sottilmente diversa da quella proposta da Mises, in cui il perno di supporto che pone un limite alla regressione è costituito, paradossalmente, proprio dal valore-lavoro per la produzione di un bitcoin.
Il valore "d'uso" che la comunità Bitcoin vedeva per essi era legato al suo possibile utilizzo futuro come mezzo di scambio, ma tale valore non poteva essere quantificato. Poteva essere quantificato, invece, lo sforzo necessario per procurarsene uno, di bitcoin, in termini di risorse (tempo, hardware, corrente, competenza, etc...) da dedicare all'estrazione di bitcoin. E qui entra in gioco in maniera determinante l'idea di Satoshi Nakamoto di agganciare al(l'estrazione di) bitcoin una prova di lavoro.
In questo modo, pur non essendo in grado di quantificarne il valore di scambio di domani, posso quantificare le risorse che dovrei mettere in campo oggi per procurarmi, via estrazione, un bitcon; e posso dunque considerare la possibilità di offrire un ammontare equivalente, in dollari "sonanti", per acquistare un bitcoin già estratto.
Il fatto che tale valore non includa, in maniera quantificabile, la possibilità di acquisti futuri, sembrerebbe una ragione sufficiente a derubricarlo a mero "valore d'uso", per nulla "di scambio". Resta l'ambiguità di fondo che il motivo per cui si acquistano bitcoin è quello di poterli spendere in futuro, ragione per la quale sin dall'inizio, potrei essere disposto ad offrire per un bitcoin anche più del suo mero valore-lavoro.
Cercare di risolvere tale ambiguità, però, rischia di diventare una questione puramente formale: i fatti bruti sono che c'è un bene (scarso, rivale ed escludibile) per avere il quale alcune persone sono disposte a pagare una cifra quantificabile. Quale che sia il nome che volete dare a questo valore, sia esso "d'uso" o "di scambio", esso rappresenta in ogni caso il punto di partenza della regressione misesiana: a partire da quel momento, risolvendo l'indeterminazione del primo passo col "regolo" quantificatore imposto a tavolino dalla prova di lavoro, il Bitcoin acquisisce un valore "di mercato" misurabile attraverso gli scambi con altre valute. Il che non vuol dire che tale valore ce l'avrà per sempre: se la fiducia nel "futuro" del Bitcoin dovesse crollare, il suo valore potrebbe crollare fin sotto il suo "valore-lavoro" (il quale già scenderebbe per la regola dell'"un blocco ogni 10 minuti"), dal momento che quando nessuno più volesse acquistare bitcoin, anche il tempo e la corrente dedicate all'estrazione sarebbero privi di valore. Il partire, poi, da un valore di riferimento del tutto scorrelato dal valore d'uso previsto/sperato per il futuro e tutto ancora da allestire, ha anche un'altra conseguenza rilevante in termini di volatilità: finché non ci saranno scambi commerciali diversi dal mercato dei cambi — finché, cioé, non si sarà creato un vero mercato di beni e/o servizi per i bitcoin — è comprensibile che il suo valore oscilli molto.
In definitiva, come si diceva all'inizio, il ruolo di moneta un bene deve "conquistarselo" con tutta una serie di prorpietà che il bitcoin deve ancora maturare, se mai ce la farà. Solo la suddivisibilità è stato possibile dargliela "a tavolino". Anche la trasportabilità, che potrebbe sembrare una caratteristica del protocollo p2p, dipende in realtà da quanto sono/saranno pervasive e di facile uso le tecnologie capaci di gestirlo: ho letto critiche al bitcoin che puntavano il dito proprio sul fatto che un crollo improvviso delle capacità tecnologiche distruggerebbero un bitcoin ma non un lingotto d'oro; critiche ragionevoli, ma una moneta è una questione d'uso e di fiducia, non di mera possibilità teorica: se la tecnologia sembrerà affidabile, la gente si fiderà (a parità di tutto il resto). Anche per quanto riguarda la stabilità, le premesse tecnologiche ci sono (vedi i feedback implementati sulla velocità di estrazione), ma bisognerà prima superare lo scoglio iniziale di volatilità di cui dicevamo poco sopra (le critiche sul potenziale carattere deflattivo della moneta invece non le considero: dovete prima convincermi che la deflazione sia un male).
 
Il "teorema" di Mises — per conlcudere — è certamente una qustione rilevante per il caso Bitcoin, o forse sarebbe più appropriato esprimersi al contrario: quello del Bitcoin rappresenta un caso notevole per il "teorema" di Mises; si può discutere se siamo di fronte ad una banale regressione di Mises o ad una sua sottilmente diversa variante, ma si potrebbe anche sostenere che si tratterebbe di una discussione nominale; quel che è certo è che — in questo caso, come in generale — un'approccio formale ed analitico sia quantomeno eccessivo, se non addirittura fuori luogo.

[4] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

[1][2][3][4][5]
(...continua)
 
Non è necessario entrare nei dettagli di cos'è un bitcoin (argomento peraltro molto affascinante, da pèrdercisi: ho lasciato in calce a questo post [§] un breve riassunto delle cose che ho letto a riguardo, ché altrimenti si divagava una volta di più): sarà sufficiente sapere che il suo protocollo garantisce per esso le tre proprietà tipiche di un bene privato: scarsità, rivalità ed escludibilità. Ovviamente queste tre proprietà non sono affatto sufficienti a fare del Bitcoin un bene economico: anche i disegni di mio fratello sono, in senso tecnico, scarsi, escludibili e rivali, eppure non c'è alcun mercato per essi, giacché gli manca la cosa essenziale: un valore.
Come si diceva, per il Bitcoin abbiamo a disposizione un'informazione dettagliatissima sulla sua storia, e un buon punto di partenza per capire la questione del suo valore potrebbe essere proprio la sua cronologia, con un occhio di riguardo alle transazioni di bitcoin.
Progettato da Satoshi Nakamoto a fine 2008, "nasce" a gennaio 2009, in cui viene generato il primo blocco di 50 bitcoin e viene effettuata la prima transizione di bitcoin fra due portafogli, come test, da Satoshi a Hal Finney: una prova tecnica, nessuno scambio, nessun indizio di valore.
Dieci mesi dopo, a partire dal 5 ottobre di quell'anno, New Liberty Standard comincia a pubblicare il primo sedicente tasso di conversione bitcoin-dollari, secondo il seguente criterio: During 2009 my exchange rate was calculated by dividing $1.00 by the average amount of electricity required to run a computer with high CPU for a year, 1331.5 kWh, multiplied by the the average residential cost of electricity in the United States for the previous year, $0.1136, divided by 12 months divided by the number of bitcoins generated by my computer over the past 30 days.
Dico sedicente perché esso non rappresenta né un vincolo imposto ad eventuali compravendite (come i tassi valutari in regime di cambi fissi), né un valore di cambio "di mercato", misurato su transazioni reali: fino a quel momento, del resto, non sono segnalate transazioni di bitcoin compensate da contropartite in dollari o in qualunque altro bene o servizio. Pertanto quel criterio adottato per "quantificare" il valore di un bitcoin non rappresenta altro che l'ennesimo strascico, inconscio, della teoria del valore-lavoro: interessante come riferimento-in-mancanza-di-altro (conviene più "minare" un bitcoin o comprarlo?), ma lungi dal costituire una misura del valore di un bitcoin.
Però...
 
[§] Cos'è Bitcoin, un bignami semi-tecnico.
Il protocollo Bitcoin gestisce automaticamente la "stampa" di bitcoin in maniera sequenziale, generando un nuovo blocco di bitcoin nonappena l'ultimo blocco che aveva generato viene assegnato ad un qualche portafoglio. Insieme al blocco di bitcoin da assegnare viene generata un'istanza specifica di un problema standard: il portafoglio del client bitcoin che per primo sottometterà la soluzione al problema diventerà, a mo' di premio, proprietario del blocco di bitcoin che era stato generato. In quel momento verrà generato un nuovo blocco di bitcoin, formulata un'altra istanza specifica del problema standard e si resterà in attesa del primo risolutore a cui assegnare il nuovo blocco; e così via.
Il tipo di problema da risolvere per ottenere l'assegnazione del blocco di bitcoin è una sorta di inversione di una funzione di hash (SHA-256). Al di là dei dettagli tecnici, la cosa essenziale è che si tratta di un problema (classicamente, i.e. non quantisticamente) difficile, di cui, cioè, non si conosce un algoritmo di risoluzione che scala polinomialmente nella dimensione del problema (la lunghezza della stringa hash da "invertire"). I migliori algoritmi noti di soluzione hanno un esponente di scala che è proporzionale ad n^(1/3)·log(n)^(2/3), ma se capisco bene il client bitcoin implementa un "banale" algoritmo di ricerca brute force, che esplora sistematicamente tutto lo spazio delle possibili soluzioni: in tal caso l'esponente di scala è proporzionale proprio alla lunghezza della stringa.
Fissata però una certa difficoltà del problema in termini di lunghezza della stringa di hash, non sarebbe comunque possibile stimare a priori il tempo medio necessario (wall clock time) per trovare una soluzione, perché questo dipenderebbe in maniera determinante dalla potenza di calcolo disponibile); meglio: dalla potenza di calcolo effettivamente dedicata alla generazione di bitcoin: più client bitcoin potrebbero decidere di collaborare parallelizzando l'esplorazione delle possibili soluzioni, riducendo così il tempo medio (wall clock time) fra la generazione di un blocco di bitcoin e il successivo. Tale tempo medio di generazione, insomma, sarebbe in qualche modo legato al valore attribuito ai bitcoin cercati, in termini di risorse di calcolo messe al lavoro nel processo di generazione di bitcoin: maggiori queste, minore il tempo medio di generazione, ovvero maggiore velocità di generazione.
Per compensare questo feedback, il protocollo Bitcoin non stabilisce la lunghezza della stringa di hash una volta per tutte, ma la imposta in maniera dinamica, aggiornandola ogni 2016 blocchi generati, aumentandola o riducendola in funzione di un obiettivo di riferimento prefissato che corrisponde ad un ritmo di generazione di un blocco ogni 10 minuti (2016 blocchi in due settimane).
Ogni blocco corrisponde attualmente a 25 bitcoin, ma il protocollo prevede un dimezzamento del numero di bitcoin associati ad un singolo blocco ogni 210 mila blocchi generati.
(continua...)

30 April 2013

[3] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

[1][2][3][4][5]
(...continua)
 
Questa precisazione, che la regressione di Mises potrebbe non essere l'unico meccanismo di acquisizione di valore di scambio, è certamente rilevante nelle discussioni sul Bitcoin, ma entra in gioco anche su questioni ben meno recenti. Il valore del Dollaro, o dell'Euro, o comunque di monete a corso legale forzoso senza alcun ancoraggio ad un bene fisico come l'oro, rappresenta precisamente il caso di un bene privo di alcun valore d'uso e dotato di mero valore di scambio: un'apparente contraddizione con la formulazione semplificata del "teorema" di Mises, che si risolve però semplicemente notando che è sufficiente lo stesso meccanismo di regressione di Mises per spiegare il mantenimento del valore di scambio di un bene anche quando dovesse perdere del tutto il valore d'uso. Questo varrebbe per l'oro stesso: se anche dovesse perdere il suo valore d'uso (ad esempio perché i gioiellieri hanno trovato sostituti migliori per i loro gioielli), i prezzi in oro di tutti gli altri beni sul mercato costituirebbero comunque un riferimento di valore per l'oro. Allo stesso modo per le monete legali, il rilascio dell'ancoraggio all'oro non distrugge ipso facto la struttura dei prezzi in dollari per gli altri beni e, se permangono le condizioni di fiducia del mercato (eventualmente aiutati dall'applicazione del monopolio legislativo/esecutivo), la "progressione" di Mises (la regressione vista in senso temporale opposto) può continuare.
Per il Bitcoin, dunque, la sua relazione col meccanismo di regressione di Mises si pone nei termini che seguono. Certamente, per il "teorema" di Mises, il Bitcoin non può acquisire valore di scambio dal nulla: o esso poss(i)ede(va) già un valore d'uso, su cui p(u)ò(trà) far coagulare un ulteriore valore di scambio, oppure deve "ereditare" un valore di scambio da un qualche altro riferimento di prezzo (oppure ancora, ovviamente, potrebbe succedere qualcosa di nuovo che impareremo a studiare).
Del resto la sedicente dimostrazione di Colucci si presenta formalmente come petizione di principio: "prendiamo la prima persona che ha accettato bitcoin in pagamento per i suoi beni o servizi" assume già quel che si vuole dimostrare, e cioé che il Bitcoint per qualcuno ha avuto del valore. Di più, assume tacitamente che quel valore non potesse essere di scambio.
 
Va già meglio in questo articolo di Nikolay Gertchev, The Money-ness of Bitcoins, in cui almeno si cerca di giustificare quest'assunzione: il Bitcoin, dice Gertchev, avrebbe avuto, limitatamente alla comunità "cripto-punk" in cui è nato, un valore in un qualche senso "artistico", che gli avrebbe garantito un livello di prezzo rispetto ad altri beni su cui innestare il successivo valore d'uso. Resta il fatto che anche detto così — e Gertchev non approfondisce più di così — sembra proprio un vedere ciò che si vuol vedere, un calare dall'alto, a priori, il "teorema" di Mises: davvero la gente si scambiava bitcoin come opere d'arte? in cambio di beni fisici o servizi?
 
Molto peggio, invece, questo articolo di Frank Shostak, The Bitcoin Money Myth: dopo aver esposto la sua versione del "teorema" di Mises, tutto sommato correttamente, passa ad affrontare il caso Bitcoin cominciando con un'affermazione che ha dell'assurdo per la sua ingenuità: Observe that a bitcoin is not a thing; it is a unit of a non-material virtual currency. A bitcoin has no material shape; hence from this perspective the notion that it could somehow replace fiat money is not defendable. Come se il dollaro fosse una cosa, avesse una forma materiale, e non fosse un'unità di una valuta virtuale immateriale; come se il dollaro non avesse già sostituito una moneta "fisica" come il gold-standard. Anche il commento successivo non è chiaro: Besides, Bitcoin is not a new form of money that replaces previous forms, but rather a new way of employing existent money in transactions. Because Bitcoin is not real money but merely a different way of employing existent fiat money, obviously it cannot replace it. Una critica simile, infatti, andrebbe bene per forme di sedicenti valute alternative, come il Sardex, in cui c'è un cambio fisso con un'altra valuta che ne vincola valore e utilizzo: in quel caso sì, si tratterebbe di una forma alternativa di utilizzo di una valuta pre-esistente, l'Euro; ma il punto rilevante del Bitcoin è che invece per esso esiste un mercato valutario libero di fluttuare, in cui c'è gente che compra e gente che vende in transazioni libere in cui i volumi scambiati non sono vincolati dall'esterno. Il fatto che si possano comprare dollari con bitcoin e viceversa non significa infatti che siano la stessa cosa, esattamente come il fatto di poter comprare e vendere con dollari dei quadri di valore non significa che i quadri siano una forma diversa di utilizzare i dollari per gli scambi (nonostante certi quadri possano avere alcune caratteristiche tipiche di una moneta come la trasportabilità e l'essere riserva di valore). La stessa conclusione finale dell'articolo, the fact that the price of bitcoins has jumped massively lately implies that people assign a high value for the services it offers punta precisamente nella direzione opposta alla tesi che Shostak cerca di difendere: i bitcoin hanno (un qualche tipo di) valore.
 
Lasciamo dunque perdere i Mises Daily e il Colucci, e torniamo a porci il problema della relazione fra Bitcoin e meccanismo di regressione di Mises: i bitcoin hanno davvero valore? un valore di scambio? solamente di scambio? e in tal caso, come l'hanno conquistato?
Per fortuna, a differenza di tutte le altre monete che conosciamo, la nascita del Bitcoin è accaduta in epoca iperstorica: non semplici documenti scritti, su di esso abbiamo internet. E così, invece di pontificare aprioristicamente, possiamo andare a leggere cosa è accaduto davvero, in pieno spirito galileiano e scientifico, nonostante non faremo correlazioni statistiche né dimostreremo teoremi analitici.
(continua...)

[2] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

[1][2][3][4][5]
(...continua)
 
L'argomento di regressione di Mises è essenzialmente una soluzione all'apparente circolarità della spiegazione sull'origine del valore (di scambio) di una moneta: Robert Murphy ne parla in questo suo vecchio Mises Daily del 2003: The Origin of Money and Its Value.
Provo ad esprimere il paradosso usando l'esempio dell'oro (facciamo finta per un attimo di usare ancora valute in regime di gold-standard): l'oro ha un determinato valore d'uso (ad esempio per la fabbricazione di gioielli), ma il suo valore di mercato sarà molto più alto del suo valore d'uso perché ad esso contribuisce anche il suo essere "moneta" (ovvero un bene liquido, riserva di valore, facilmente divisibile, facilmente trasportabile e soprattutto/quindi il suo essere comunemente usato come bene intermediario per transazioni commerciali). Il suo valore aumenta, cioè, perché la domanda di oro non originerà solo dai gioiellieri, ma essenzialmente da tutti gli attori del mercato, proprio per il suo ruolo di bene intermediario per il commercio.
Ma di quanto aumenterà il suo valore?
Se nella vendita di miei beni o servizi accettassi pagamenti direttamente in beni che uso, la risposta sarebbe ovvia: accetterò una quantità di beni in base al valore d'uso che assegno a quei beni; se accettassi beni che intendo rivendere, li valuterò sulla base del valore attribuito da coloro a cui cercherò di rivenderli, e costoro li valuteranno, come me prima, in base all'uso che ne faranno. Ma nel momento in cui decido di accettare l'oro, il suo valore non può essere fatto risalire al giudizio dei suoi utilizzatori finali, perché la gran parte dei compratori d'oro ne farà mero uso di intermediazione.
Ebbene, il ruolo chiave del meccanismo ricorsivo di Mises è proprio quello di ricondurre anche il valore di scambio dell'oro al giudizio dei suoi consumatori finali. Mises nota che il valore che sarò disposto a pagare per un bene che non consumerò direttamente, ma che userò per un ulteriore scambio, è essenzialmente un valore di mercato, ovvero una stima di quanto quel bene viene valutato da chi è disposto a comprarlo, e questa stima si basa sui prezzi applicati a quel bene fino a quel momento. La stima di quanto riuscirò a prezzare un bene domani si basa sul prezzo di mercato corrente. Il valore di scambio dell'oro oggi, dunque, si basa sul suo valore di ieri, e quello di ieri sul suo valore del giorno prima, e così via in una regressione che, però, non è senza fine, ma si appoggia sul valore che aveva l'oro prima di diventare un bene di scambio, quando il suo valore, cioè, era determinato dal giudizio dei suoi consumatori finali.
 
Notate bene che la circolarità di questo paradosso è sottile (o almeno io ci ho messo un po' a coglierla appieno) ed è di natura essenzialmente teorica: del resto il percorso storico attraverso il quale l'oro aveva via via acquisito valore di scambio in aggiunta al suo valore d'uso era già stato spiegato da Menger (vedi il Murphy linkato sopra).
Un modo per rendere più evidente il paradosso (e la sua soluzione) è quello di guardare alla regressione di Mises da una prospettiva invertita e di rimuovere contemporaneamente il perno che garantisce il termine alla ricorsione. Proviamo ad osservare la regressione di Mises, cioè, a partire dal momento in cui l'oro sta per acquisire valore di scambio, ma immaginiamo di togliergli il suo valore d'uso. Siamo in una situazione, cioè, in cui vorremmo utilizzare un bene, l'oro, come bene intermediario per il commercio, ma che di per sé non interessa a nessuno, non vale nulla. L'idea di bene intemediario è che io lo accetto in pagamento quando vendo un bene, sapendo di poterlo usare come pagamento quando vorrò acquistarne un altro, di bene. Ma se l'oro, come stiamo ipotizzando, non vale alcunché, il paradosso si manifesta in tutta la sua evidenza: quanto oro dovrò chiedere per la mia mucca? dipende ovviamente da quanto oro mi chiederanno per il maiale. Un certo quantitativo d'oro, o il suo doppio, o la sua metà, sarebbero del tutto equivalenti a patto che il valore del maiale venga poi prezzato in oro in maniera conseguente. Per "partire" nell'uso di un bene senza valore come bene di scambio serve un accordo a tavolino, una scelta arbitraria sul suo valore, che venga accettato istantaneamente da tutti gli attori del mercato. Se invece rilasciamo l'ipotesi artificiale e torniamo al caso in cui l'oro ha un suo valore d'uso, ci rendiamo conto che i primi acquisti d'oro al solo scopo di usarlo come bene intermedio per ulteriori commerci erano privi dell'ambiguità del valore, perché potevano partire precisamente dal suo valore d'uso.
 
Questo, dunque, è il senso dell'argomento di Mises. Lungi dall'avere il carattere di un teorema formale, può essere in effetti riassunto in molti modi, che spesso, però, ne rappresentano una semplificazione. In genere tali semplificazioni prendono la regressione di Mises e la eleggono ad unico possibile meccanismo per l'acquisizione del valore di scambio. Da questo passo illegittimo discendono le due tipiche formulazioni del "teorema" di Mises: se un bene ha valore di scambio, deve aver avuto un valore d'uso in passato (il punto 1 di Colucci); se un bene non ha valore d'uso, non potrà in futuro acquisire valore di scambio (il punto 4 di Colucci).
Quello di Mises rappresenta in realtà un possibile meccanismo attraverso il quale un bene può acquisire valore di scambio. Se proprio vogliamo tradurre l'argomento di Mises in forma negativa ("non è possibile che..."), esso va riformulato come "se un bene non ha valore d'uso, esso non può aver acquisito valore di scambio attraverso il meccanismo descritto nella regressione di Mises".
(continua...)

29 April 2013

[1] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

 
Questo post era nato come breve, facile ironia in chiave freudiana verso certe tendenze dei miei amici, si fa per dire, austriaci. Poi però il tema del Bitcoin e della sua natura economica mi ha appassionato più del previsto e nell'informarmi e formarmi un'opinione ne è venuta fuori una cosa molto più lunga.
Per questioni di digeribilità, in questo web frenetico abituato a non più di 140 caratteri, l'ho spezzato in cinque parti.
 
[1][2][3][4][5]
 
Non sono prevenuto verso le analisi quantitative in ambito economico, per quanto condivida le critiche piuttosto generali di Hayek. Quello che trovo sbagliato è attribuire ad esse il ruolo di linea di demarcazione, di condizione necessaria di scientificità: si tratta di una forma ingenua di, potremmo chiamarla, invidia del pene verso i successi delle scienze dure, i quali successi l'economia spera di riuscire a riprodurre applicando pedissequamente i loro metodi.
Ma queste cose le ho già dette tante volte, questo post invece è per notare meccanismi di invidia tutto sommato analoghi messi in campo sovente dagli economisti di scuola austriaca. Da parte loro l'invidia si esprime in forma, per così dire, simmetrica, in emulazione dell'altra scienza dura per antonomasia, la matematica — sì, alcuni non considerano la matematica una scienza (vedi Vladimir Arnold, Quine, o più "popolarmente" il Sondaggio: che cosa è la scienza? su L'estinto), ma insomma ci siamo capiti.
Il loro approccio, in pratica, invece di scimmiottare i modi empirici e quantitativi della fisica, tende a scimmiottare i modi assiomatici, formalistici ed ipotetico-deduttivi della matematica.
Non ho letto quasi niente di originale di Mises, quindi non conosco direttamente il suo stile, ma ho sentito molte volte elogiare il suo metodo sedicente aprioristico. E in effetti il pretesto per questo post non me lo offre un rinomato economista austriaco, ma l'ultimo post su Il Lume Ritrovato, Perché Bitcoin può diventare moneta: l'impostazione sembra da manuale di algebra, con definizioni, teoremi, dimostrazioni e persino quantificatori logici; l'effetto complessivo, però, tende ad essere l'esatto opposto del rigore matematico.
Con ciò non voglio dire che le sue tesi siano sbagliate o stupide, ma certamente i modi e le argomentazioni appaiono proprio così.
Prendete la definizione di moneta: il Colucci elegge la proprietà di "unità di conto" a definizione di moneta, ma si tratta in gran parte di un arbitrio: innanzitutto perché ci sono molte altre proprietà che caratterizzano una moneta (liquidità, riserva e stabilità di valore, suddivisibilità, trasportabilità, universalità, etc), e nessuna di esse è "on/off" (o un bene ce l'ha, o non ce l'ha), ma al contrario ogni bene può manifestare una o più di quelle proprietà in gradi diversi. L'elezione dell'unità di conto a proprietà definitoria è dunque in gran parte arbitraria perché un bene mostrerà tanto più le caratteristiche di una moneta quante più proprietà, fra quelle, possiede, e con più alto grado, e non sarà sufficiente che perda (un po' di) una sola di quelle proprietà perché non possa essere più considerato moneta.
Tutto questo per dire che le conseguenze che vogliamo trarre dalla costatazione che un bene funge da moneta non sono deduzioni "on/off", ma di grado, e saranno valide precisamente nella misura in cui — saranno tanto più valide quanto più — il bene gode di quella proprietà da cui volevamo far discendere la conseguenza.
 
Lo stesso teorema di regressione di Mises, tanto per fare un esempio più autorevole, non mi è per niente chiaro perché si chiami, appunto, teorema: quali sarebbero le ipotesi e quale la tesi? Quelle della schematizzazione di Colucci (punti 1 e 4) prestano il fianco a diverse critiche.
(continua...)

27 November 2012

   [7] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
(...continua)
§  La prasseologia, senza chiedersi prima perché.
Nonostante il nome che puzza, dicevo, di scienze sociali, la prasseologia non cerca di entrare nel merito della natura umana, dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desideri; non cerca di individuare le spinte che portano tipicamente a certe scelte, non si chiede perché la maggior parte degli uomini agiscono in certi modi, perché alcuni invece fanno eccezione, e perché, e come, e quando, e se...
L'originalità, la solidità e la forza esplicativa del suo approccio consiste invece nel limitarsi a prendere in considerazione gli aspetti, per così dire, formali, strutturali — e minimali — dell'agire umano: il fatto, essenzialmente, che si tratta di gesti effettuati da singoli individui e finalizzati ad uno scopo (eventualmente contingente, specifico, isolato). E badate che, scoprireste, l'uso della parola "scopo" è usato nel senso meno "idealista" e più galileiano possibile: non è uno "scopo ultimo", non è un progetto elaborato con cura e consapevolezza, non presuppone un ideale astratto a cui tendere; ho usato il termine "galileiano" nel senso dell'io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna, di un'aderenza al dato empirico in un senso più profondo del cercare un riscontro statistico a posteriori su casi specifici e contingenti.
Ma a dispetto dei presupposti minimali, proprio come con Galileo, il vero, benché di cosa leggiera fornisce, a posteriori, precisamente i mattoni più solidi con cui prende forma un edificio coerente proprio per quelle massime questioni considerate tanto nobili. Fuor di metafora: a dispetto dei presupposti minimali, i risultati dell'approccio misesiano sono incredibilmente vasti e fecondi.
L'idea, ad esempio, di una definizione "fattuale" di scelta economica, avulsa da qualsiasi valore morale, motivazione, obiettivo dichiarato o addirittura consapevolezza di chi la compie, consente loro di evitare di impelagarsi in discussioni con inevitabile tendenza alla metafisica sui concetti di benessere individuale e pubblico, sui verbi modali "volere" e "dovere"...
Similmente per il concetto di valore economico: l'evidenza della sua irriducibile soggettività (variabile non solo da individuo a individuo, ma anche per lo stesso individuo in momenti diversi e addirittura giudicato differente, dallo stesso individuo nello stesso momento, per due oggetti identici) mina, in generale, qualsiasi tentativo di darne una rappresentazione quantitativa, fosse anche in senso debole di mera relazione di ordinamento, e consente loro, in particolare, di elaborare il concetto di marginalità (che ora va tanto di moda anche fra gli economisti mainstream, ma che viene elaborato in maniera chiara e formale per la prima volta proprio da Menger, il capostipite della scuola austriaca), gettando una luce rivoluzionaria sul concetto di scambio economico, in cui viene distrutta per sempre l'ingenua concezione del prezzo come quantificazione del valore del bene scambiato.
(continua...)

26 November 2012

   [6] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
(...continua)
§  La prasseologia: perché?
Una delle cose che colpisce maggiormente avvicinandosi alla scuola austriaca in maniera anche solo minimamente sistematica è proprio questo suo carattere organico.
 
Mises conia un termine specifico, la prasseologia, per identificare il suo oggetto di studio, e marcare in qualche modo le distanze con l'economia classica, e devo confessare che questa cosa mi insospettiva parecchio: questa presunta nuova scienza in -logia ricordava troppo le altre scienze sociali, e ad aggravare la cosa c'era questo suo sedicente carattere ipotetico-deduttivo, questo suo richiamarsi alla logica e alla matematica, di cui però non condivideva il linguaggio formalizzato, e questo ispirava innegabilmente pochissima fiducia: di quante teorie strampalate avete sentito parlare che si appellavano all'auto-evidenza, a partire nientepopodimenoché da Cartesio?
Oltretutto se vi capita di leggere su internet delle difese della scuola austriaca che non si limitano ad Hayek, ma che si rifanno espressamente a Mises, con grande probabilità vi ritroverete precisamente a leggere delle ingenue ricapitolazioni e ridefinizioni di metodo scientifico che fanno sorridere chiunque mastichi un po' di filosofia della scienza, annacquando completamente la reale portata del contributo misesiano.
E non sto parlando solo di semplici, comuni "blogger": prendete questo brano di Rothbard sull'uso della matematica in economia, A Note On Mathematical Economics (Una nota sulla matematica in economia): i concetti su cui insiste — le particelle fisiche unmotivated da una parte e le azioni umane motivated dall'altra, le leggi fisiche meaningless da un lato e quelle prasseologiche meaningful dall'altro, il mero "significato operativo" (operational meaning) delle leggi fisiche da confrontare con le leggi prasseologiche che sarebbero invece significativamente vere (meaningfully true) — fanno venir voglia di fuggire a gambe levate e smettere di leggere dopo i primissimi paragrafi!
 
Ma se si mettono completamente da parte le solite ragioni epistemologiche — cioè quelle rivendicate dai tipici libertari, a cominciare da Rothbard stesso, e non quelle rivendicate da Quineiani come me :-) — se si mettono da parte, dicevo, le solite ragioni epistemologiche che dovrebbero, a priori, condannare gli approcci positivisti e consacrare solo quelli misesiani, e si procede in maniera sistematica dal principio (io continuo ad indicare sempre lo stesso testo, l'Economics for Real People di Gene Callahan, solo perché è l'unico che ho letto, ma chissà quali testi migliori esistono là fuori), si scopre un approccio del tutto originale, purtroppo oggi come allora, ai temi economici.
(continua...)

17 November 2012

   [4] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
(...continua)
§  Le critiche degli austriaci: da Hayek alla prasseologia di Mises
Prendiamo, ad esempio, le critiche di Hayek, probabilmente le meno radicali e più circoscritte, e per questo forse le più facilmente condivisibili, ma non per questo meno incisive.
Un bel compendio (con beneficio di inventario: in realtà ho letto poco Hayek) lo si può trovare nel suo discorso di accettazione del Nobel (The Pretense of Knowledge). Le sue critiche non cercano di alzarsi sui massimi sistemi, tentando di definire un criterio di demarcazione per una conoscenza scientifica e bocciando il positivismo economico sulla semplice base della violazione di tali criteri. No, lui accetta di buon grado la possibilità, in linea del tutto teorica, di elaborare modelli quantitativi di sistemi socio-economici da cui trarre significativi insegnamenti e concrete ricette per modificare o stabilizzare l'evoluzione di tali sistemi in direzioni desiderate. Solo che poi arriva a negare la bontà di praticamente tutti i modelli usualmente proposti, sulla base di considerazioni nel merito di tali modelli, senza ovviamente contestare la bontà dello svolgimento matematico della modellizzazione, ma negando i presupposti di validità delle assunzioni che dovrebbero giustificare tali modelli come adeguate rappresentazioni della realtà. Le sue non sono argomentazioni "esterne", ma parlano la stessa lingua del positivismo economico; e tuttavia sono di natura così generale da avere come risultato pratico un rifiuto virtualmente sistematico dell'applicazione di metodi quantitativi nel tentativo di capire e governare l'economia.
Per poter giudicare la bontà e la forza delle argomentazioni di Hayek, dunque, bisogna in qualche modo entrare nel merito dell'economia e dell'econometria, bisogna adottare, cioè, lo stesso approccio positivista che si ritroverà alla fine enormemente depauperato.
 
In alternativa è possibile arrivare alle medesime tesi per vie ortogonali, criticando il positivismo economico su basi puramente epistemologiche, fornendo la propria visione di "giusto sapere" in campo socio-economico, cercando di mostrare che il "solito" metodo scientifico può andar bene per la fisica ma non per l'economia, e dando persino un nome, la prasseologia, al corretto approccio, sedicente aprioristico-deduttivo, per lo studio di dinamiche sociali.
Ebbene, è evidente che un tale approccio risulta estremamente delicato: cosa mai potranno, questi austriaci, su un problema, quello della demarcazione, su cui scienziati e filosofi della scienza a legioni si sono accaniti da prima ancora di Galileo, e a tutti, nei casi migliori, è sempre mancato qualcosa?
 
Meno che a Quine, ovviamente.
 
Ecco, le vaste pretese di questo post di cui parlavo in apertura stanno tutte, precisamente, nella spiegazione delle vere ragioni della bontà dell'approccio austriaco, perché mi toccherà riassumere l'epistemologia quineiana.
(continua...)