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30 November 2012

   [9] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La scuola austriaca
Con la scuola austriaca è tutt'un altro mondo, hai la genuina sensazione di comprensione: si parte da situazioni semplici e si acquisiscono principi e metodologie che appaiono subito come generali e facilmente applicabili in mille situazioni diverse. Di più, i vari pezzi combaciano perfettamente gli uni con gli altri a formare un quadro dotato di senso. Il che non significa, certamente, aver capito tutto subito, ma significa che per nuove situazioni sai individuare le variabili rilevanti, riesci a capire le direzioni in cui guardare per cercare una risposta, ma soprattutto sai giudicare cosa, invece, rappresenta un dettaglio del tutto irrilevante. Le situazioni reali restano involute, e ci mancherebbe, ma le interpretazioni austriache non si basano su modelli specifici, che assumono relazioni di causa-effetto semplici nonostante il contesto complesso; esse si basano su principi generali che valgono indipendentemente dai dettagli contingenti che invece sono il tipico oggetto di studio dei modelli economici mainstream.
 
Cosa dovremmo pensare, se non che non hanno capito nulla del processo evolutivo, di quei critici (della scientificità) dell'evoluzionismo che sfidassero a fare una previsione specifica su, chessò, quando precisamente quella tal specie cambierà qualche suo fenotipo, e quale, e come? Allo stesso modo le critiche alla teoria austriaca sulla sua mancanza di previsioni precise e falsificabili, sulla sua reticenza all'uso di modelli quantitativi, econometrici e verificabili sperimentalmente, rivelerebbero semplicemente di non aver colto il senso e la portata del suo quadro concettuale.
 
Faccio un esempio, per non lasciare che le mie apologie siano sempre vuote. Prendiamo le politiche monetarie delle banche centrali in regime di monopolio di emissione di moneta a corso legale forzoso: l'aver compreso il ruolo di coordinamento giocato dai prezzi di mercato, e in particolare di quel prezzo che è il tasso di interesse sui prestiti, ha come naturale conseguenza che le politiche monetarie, in qualsiasi direzione cerchino di spingere, devono essere considerate semplicemente delle distorsioni nei segnali che il livello dei prezzi altrimenti invierebbe a tutti gli attori del mercato, dirottando risorse verso progetti e investimenti non richiesti dal mercato, e dunque destinati al fallimento, sottraendole a quelli che potrebbero avere successo. Detto questo, non ha senso mettersi ad argomentare tirando in ballo l'entità della bilancia commerciale o le quotazioni della valuta sul mercato dei cambi o i tassi di prestiti interbancari o qualsiasi altro dettaglio contingente: l'effetto di distorsione ci sarà comunque, anche se l'effetto potrà assumere forme quantitative diverse, a seconda di quelle variabili e di mille altre che non saremmo mai in grado di misurare.
Per fare un parallelo con la fisica, è come se i modelli mainstream cercassero di analizzare in dettaglio la dinamica di una macchina del moto perpetuo, cercando il punto esatto in cui il modello si discosta dalla realtà, sperando così di poterlo migliorare ed ottere davvero, finalmente, il moto perpetuo; mentre gli austriaci, di fianco, magari non sanno dirti bene dove la dinamica del modello comincerà a discostarsi dalla realtà (perché la dinamica è davvero complessa, gli austriaci non lo negano), però provano a ragionare in termini di bilancio energetico e scoprono che no, non può essere: indipendentemente dai dettagli cinematici, alla fine il moto si smorzerà.
 
Insomma, la forza, notevole, dell'approccio austriaco è tutta qui: nel fornire un quadro di interpretazione coerente dei fenomeni economici, evidenziandone i meccanismi rilevanti, gli attori principali e quelli irrilevanti. Molto spesso lo fa senza appoggiarsi a quelle analisi quantitative che tanto piacciono agli economisti mainstream, utilizzando argomenti del tutto generali, capaci di giudicare la bontà o meno di una schematizzazione matematica prima ancora di controllarne l'aderenza empirica a determinati casi concreti.
Volete usare un nome specifico, prasseologia, per questo approccio? Liberissimi di farlo, ma si tratterebbe di una caratterizzazione di ambito, non di metodo. Il metodo, epistemologicamente parlando, è uno solo, quello scientifico, buono tanto per la fisica, quanto per la biologia e l'economia, ed è precisamente lo stesso, à la Quine, usato nella vita quotidiana per oggetti e persone. Le diverse declinazione che i diversi ambiti richiedono differiscono per prassi legate alle specificità dell'oggetto di studio, non per status epistemologico. E per la sedicente prasseologia l'ambito è lo stesso dell'economia classica.
 

27 November 2012

   [7] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La prasseologia, senza chiedersi prima perché.
Nonostante il nome che puzza, dicevo, di scienze sociali, la prasseologia non cerca di entrare nel merito della natura umana, dei suoi bisogni, delle sue necessità, dei suoi desideri; non cerca di individuare le spinte che portano tipicamente a certe scelte, non si chiede perché la maggior parte degli uomini agiscono in certi modi, perché alcuni invece fanno eccezione, e perché, e come, e quando, e se...
L'originalità, la solidità e la forza esplicativa del suo approccio consiste invece nel limitarsi a prendere in considerazione gli aspetti, per così dire, formali, strutturali — e minimali — dell'agire umano: il fatto, essenzialmente, che si tratta di gesti effettuati da singoli individui e finalizzati ad uno scopo (eventualmente contingente, specifico, isolato). E badate che, scoprireste, l'uso della parola "scopo" è usato nel senso meno "idealista" e più galileiano possibile: non è uno "scopo ultimo", non è un progetto elaborato con cura e consapevolezza, non presuppone un ideale astratto a cui tendere; ho usato il termine "galileiano" nel senso dell'io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che 'l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna, di un'aderenza al dato empirico in un senso più profondo del cercare un riscontro statistico a posteriori su casi specifici e contingenti.
Ma a dispetto dei presupposti minimali, proprio come con Galileo, il vero, benché di cosa leggiera fornisce, a posteriori, precisamente i mattoni più solidi con cui prende forma un edificio coerente proprio per quelle massime questioni considerate tanto nobili. Fuor di metafora: a dispetto dei presupposti minimali, i risultati dell'approccio misesiano sono incredibilmente vasti e fecondi.
L'idea, ad esempio, di una definizione "fattuale" di scelta economica, avulsa da qualsiasi valore morale, motivazione, obiettivo dichiarato o addirittura consapevolezza di chi la compie, consente loro di evitare di impelagarsi in discussioni con inevitabile tendenza alla metafisica sui concetti di benessere individuale e pubblico, sui verbi modali "volere" e "dovere"...
Similmente per il concetto di valore economico: l'evidenza della sua irriducibile soggettività (variabile non solo da individuo a individuo, ma anche per lo stesso individuo in momenti diversi e addirittura giudicato differente, dallo stesso individuo nello stesso momento, per due oggetti identici) mina, in generale, qualsiasi tentativo di darne una rappresentazione quantitativa, fosse anche in senso debole di mera relazione di ordinamento, e consente loro, in particolare, di elaborare il concetto di marginalità (che ora va tanto di moda anche fra gli economisti mainstream, ma che viene elaborato in maniera chiara e formale per la prima volta proprio da Menger, il capostipite della scuola austriaca), gettando una luce rivoluzionaria sul concetto di scambio economico, in cui viene distrutta per sempre l'ingenua concezione del prezzo come quantificazione del valore del bene scambiato.
(continua...)

26 November 2012

   [6] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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§  La prasseologia: perché?
Una delle cose che colpisce maggiormente avvicinandosi alla scuola austriaca in maniera anche solo minimamente sistematica è proprio questo suo carattere organico.
 
Mises conia un termine specifico, la prasseologia, per identificare il suo oggetto di studio, e marcare in qualche modo le distanze con l'economia classica, e devo confessare che questa cosa mi insospettiva parecchio: questa presunta nuova scienza in -logia ricordava troppo le altre scienze sociali, e ad aggravare la cosa c'era questo suo sedicente carattere ipotetico-deduttivo, questo suo richiamarsi alla logica e alla matematica, di cui però non condivideva il linguaggio formalizzato, e questo ispirava innegabilmente pochissima fiducia: di quante teorie strampalate avete sentito parlare che si appellavano all'auto-evidenza, a partire nientepopodimenoché da Cartesio?
Oltretutto se vi capita di leggere su internet delle difese della scuola austriaca che non si limitano ad Hayek, ma che si rifanno espressamente a Mises, con grande probabilità vi ritroverete precisamente a leggere delle ingenue ricapitolazioni e ridefinizioni di metodo scientifico che fanno sorridere chiunque mastichi un po' di filosofia della scienza, annacquando completamente la reale portata del contributo misesiano.
E non sto parlando solo di semplici, comuni "blogger": prendete questo brano di Rothbard sull'uso della matematica in economia, A Note On Mathematical Economics (Una nota sulla matematica in economia): i concetti su cui insiste — le particelle fisiche unmotivated da una parte e le azioni umane motivated dall'altra, le leggi fisiche meaningless da un lato e quelle prasseologiche meaningful dall'altro, il mero "significato operativo" (operational meaning) delle leggi fisiche da confrontare con le leggi prasseologiche che sarebbero invece significativamente vere (meaningfully true) — fanno venir voglia di fuggire a gambe levate e smettere di leggere dopo i primissimi paragrafi!
 
Ma se si mettono completamente da parte le solite ragioni epistemologiche — cioè quelle rivendicate dai tipici libertari, a cominciare da Rothbard stesso, e non quelle rivendicate da Quineiani come me :-) — se si mettono da parte, dicevo, le solite ragioni epistemologiche che dovrebbero, a priori, condannare gli approcci positivisti e consacrare solo quelli misesiani, e si procede in maniera sistematica dal principio (io continuo ad indicare sempre lo stesso testo, l'Economics for Real People di Gene Callahan, solo perché è l'unico che ho letto, ma chissà quali testi migliori esistono là fuori), si scopre un approccio del tutto originale, purtroppo oggi come allora, ai temi economici.
(continua...)