29 April 2013

[1] Bitcoin e il "teorema" di regressione di Mises, o dell'altro lato della matematica in economia

 
Questo post era nato come breve, facile ironia in chiave freudiana verso certe tendenze dei miei amici, si fa per dire, austriaci. Poi però il tema del Bitcoin e della sua natura economica mi ha appassionato più del previsto e nell'informarmi e formarmi un'opinione ne è venuta fuori una cosa molto più lunga.
Per questioni di digeribilità, in questo web frenetico abituato a non più di 140 caratteri, l'ho spezzato in cinque parti.
 
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Non sono prevenuto verso le analisi quantitative in ambito economico, per quanto condivida le critiche piuttosto generali di Hayek. Quello che trovo sbagliato è attribuire ad esse il ruolo di linea di demarcazione, di condizione necessaria di scientificità: si tratta di una forma ingenua di, potremmo chiamarla, invidia del pene verso i successi delle scienze dure, i quali successi l'economia spera di riuscire a riprodurre applicando pedissequamente i loro metodi.
Ma queste cose le ho già dette tante volte, questo post invece è per notare meccanismi di invidia tutto sommato analoghi messi in campo sovente dagli economisti di scuola austriaca. Da parte loro l'invidia si esprime in forma, per così dire, simmetrica, in emulazione dell'altra scienza dura per antonomasia, la matematica — sì, alcuni non considerano la matematica una scienza (vedi Vladimir Arnold, Quine, o più "popolarmente" il Sondaggio: che cosa è la scienza? su L'estinto), ma insomma ci siamo capiti.
Il loro approccio, in pratica, invece di scimmiottare i modi empirici e quantitativi della fisica, tende a scimmiottare i modi assiomatici, formalistici ed ipotetico-deduttivi della matematica.
Non ho letto quasi niente di originale di Mises, quindi non conosco direttamente il suo stile, ma ho sentito molte volte elogiare il suo metodo sedicente aprioristico. E in effetti il pretesto per questo post non me lo offre un rinomato economista austriaco, ma l'ultimo post su Il Lume Ritrovato, Perché Bitcoin può diventare moneta: l'impostazione sembra da manuale di algebra, con definizioni, teoremi, dimostrazioni e persino quantificatori logici; l'effetto complessivo, però, tende ad essere l'esatto opposto del rigore matematico.
Con ciò non voglio dire che le sue tesi siano sbagliate o stupide, ma certamente i modi e le argomentazioni appaiono proprio così.
Prendete la definizione di moneta: il Colucci elegge la proprietà di "unità di conto" a definizione di moneta, ma si tratta in gran parte di un arbitrio: innanzitutto perché ci sono molte altre proprietà che caratterizzano una moneta (liquidità, riserva e stabilità di valore, suddivisibilità, trasportabilità, universalità, etc), e nessuna di esse è "on/off" (o un bene ce l'ha, o non ce l'ha), ma al contrario ogni bene può manifestare una o più di quelle proprietà in gradi diversi. L'elezione dell'unità di conto a proprietà definitoria è dunque in gran parte arbitraria perché un bene mostrerà tanto più le caratteristiche di una moneta quante più proprietà, fra quelle, possiede, e con più alto grado, e non sarà sufficiente che perda (un po' di) una sola di quelle proprietà perché non possa essere più considerato moneta.
Tutto questo per dire che le conseguenze che vogliamo trarre dalla costatazione che un bene funge da moneta non sono deduzioni "on/off", ma di grado, e saranno valide precisamente nella misura in cui — saranno tanto più valide quanto più — il bene gode di quella proprietà da cui volevamo far discendere la conseguenza.
 
Lo stesso teorema di regressione di Mises, tanto per fare un esempio più autorevole, non mi è per niente chiaro perché si chiami, appunto, teorema: quali sarebbero le ipotesi e quale la tesi? Quelle della schematizzazione di Colucci (punti 1 e 4) prestano il fianco a diverse critiche.
(continua...)

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