(...continua)
Però il 6 febbraio 2010 viene istituito Bitcoin Market e il 17 luglio MtGox: mercati di cambio in cui era possibile effettuare transazioni fra bitcoin e dollari, in entrambi i sensi. Su bitcoincharts potete trovare in dettaglio l'andamento del prezzo dei bitcoin insieme al volume di scambi effettuati su MtGox, il principale mercato di cambio di bitcoin.
Aveva dunque un valore, il Bitcoin, il 6 febbraio 2010? era un valore d'uso? di scambio? entrambi?
Per comprendere le dinamiche delle fasi di innesco iniziali del valore del Bitcoin è essenziale considerare il fatto che esso nasce col preciso scopo di costituire una moneta, e dunque gli viene applicato, a priori, tutto l'armamentario concettuale associato ad una valuta (riserva, liquidità...). Questo contesto rende evidente, in tutta la sua limpidezza teorica, la circolarità che Mises aveva affrontato con la sua regressione: i membri della comunità Bitcoin vorrebbero comprare bitcoin, o vendere i propri beni/servizi per bitcoin, per poterli poi usare come pagamento per comprare in futuro altri beni/servizi: ma quanto pagare per essi dipende in maniera cruciale da quanto potranno poi, con essi, comprare.
In questo caso la circolarità viene risolta da una regressione sottilmente diversa da quella proposta da Mises, in cui il perno di supporto che pone un limite alla regressione è costituito, paradossalmente, proprio dal valore-lavoro per la produzione di un bitcoin.
Il valore "d'uso" che la comunità Bitcoin vedeva per essi era legato al suo possibile utilizzo futuro come mezzo di scambio, ma tale valore non poteva essere quantificato. Poteva essere quantificato, invece, lo sforzo necessario per procurarsene uno, di bitcoin, in termini di risorse (tempo, hardware, corrente, competenza, etc...) da dedicare all'estrazione di bitcoin. E qui entra in gioco in maniera determinante l'idea di Satoshi Nakamoto di agganciare al(l'estrazione di) bitcoin una prova di lavoro.
In questo modo, pur non essendo in grado di quantificarne il valore di scambio di domani, posso quantificare le risorse che dovrei mettere in campo oggi per procurarmi, via estrazione, un bitcon; e posso dunque considerare la possibilità di offrire un ammontare equivalente, in dollari "sonanti", per acquistare un bitcoin già estratto.
Il fatto che tale valore non includa, in maniera quantificabile, la possibilità di acquisti futuri, sembrerebbe una ragione sufficiente a derubricarlo a mero "valore d'uso", per nulla "di scambio". Resta l'ambiguità di fondo che il motivo per cui si acquistano bitcoin è quello di poterli spendere in futuro, ragione per la quale sin dall'inizio, potrei essere disposto ad offrire per un bitcoin anche più del suo mero valore-lavoro.
Cercare di risolvere tale ambiguità, però, rischia di diventare una questione puramente formale: i fatti bruti sono che c'è un bene (scarso, rivale ed escludibile) per avere il quale alcune persone sono disposte a pagare una cifra quantificabile. Quale che sia il nome che volete dare a questo valore, sia esso "d'uso" o "di scambio", esso rappresenta in ogni caso il punto di partenza della regressione misesiana: a partire da quel momento, risolvendo l'indeterminazione del primo passo col "regolo" quantificatore imposto a tavolino dalla prova di lavoro, il Bitcoin acquisisce un valore "di mercato" misurabile attraverso gli scambi con altre valute. Il che non vuol dire che tale valore ce l'avrà per sempre: se la fiducia nel "futuro" del Bitcoin dovesse crollare, il suo valore potrebbe crollare fin sotto il suo "valore-lavoro" (il quale già scenderebbe per la regola dell'"un blocco ogni 10 minuti"), dal momento che quando nessuno più volesse acquistare bitcoin, anche il tempo e la corrente dedicate all'estrazione sarebbero privi di valore. Il partire, poi, da un valore di riferimento del tutto scorrelato dal valore d'uso previsto/sperato per il futuro e tutto ancora da allestire, ha anche un'altra conseguenza rilevante in termini di volatilità: finché non ci saranno scambi commerciali diversi dal mercato dei cambi — finché, cioé, non si sarà creato un vero mercato di beni e/o servizi per i bitcoin — è comprensibile che il suo valore oscilli molto.
In definitiva, come si diceva all'inizio, il ruolo di moneta un bene deve "conquistarselo" con tutta una serie di prorpietà che il bitcoin deve ancora maturare, se mai ce la farà. Solo la suddivisibilità è stato possibile dargliela "a tavolino". Anche la trasportabilità, che potrebbe sembrare una caratteristica del protocollo p2p, dipende in realtà da quanto sono/saranno pervasive e di facile uso le tecnologie capaci di gestirlo: ho letto critiche al bitcoin che puntavano il dito proprio sul fatto che un crollo improvviso delle capacità tecnologiche distruggerebbero un bitcoin ma non un lingotto d'oro; critiche ragionevoli, ma una moneta è una questione d'uso e di fiducia, non di mera possibilità teorica: se la tecnologia sembrerà affidabile, la gente si fiderà (a parità di tutto il resto). Anche per quanto riguarda la stabilità, le premesse tecnologiche ci sono (vedi i feedback implementati sulla velocità di estrazione), ma bisognerà prima superare lo scoglio iniziale di volatilità di cui dicevamo poco sopra (le critiche sul potenziale carattere deflattivo della moneta invece non le considero: dovete prima convincermi che la deflazione sia un male).
Il "teorema" di Mises — per conlcudere — è certamente una qustione rilevante per il caso Bitcoin, o forse sarebbe più appropriato esprimersi al contrario: quello del Bitcoin rappresenta un caso notevole per il "teorema" di Mises; si può discutere se siamo di fronte ad una banale regressione di Mises o ad una sua sottilmente diversa variante, ma si potrebbe anche sostenere che si tratterebbe di una discussione nominale; quel che è certo è che — in questo caso, come in generale — un'approccio formale ed analitico sia quantomeno eccessivo, se non addirittura fuori luogo.
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