17 July 2012

La comodissima verità sui prestiti

Ci sono verità scomode e verità comode. [...] Le verità comode [...] sono quelle che un po’ tutti già sanno, ma siccome sono comode la gente pensa che ci sia sotto una fregatura (“troppo comodo!”), così si comporta come se non fossero vere e alla fine, dopo qualche secolo, se le dimentica. [...] Poi c’è una terza categoria di verità: le verità comodissime. Vere e proprie pantofole per le orecchie.
Smeriglia, Tre verità comodissime
Un'altra di queste verità comodissime è la questione di come funzionano i debiti: ho qualche bisogno (o progetto) per cui mi servirebbero soldi subito e mi impegno, pian piano, a ripagare il prestito con gli interessi pattuiti (o scommetto che il progetto avrà successo e mi permetterà di ripagare debito ed interessi).
Sembra semplice, non pare ci sia bisogno di un corso di economia per capire la faccenda.
Almeno finché non si parla, appunto, di economia.
Prendete questo post, Positive feedback, di Giuseppe Lipari, persona intelligente ancorché non esperto di economia.
Nel descrivere la situazione stazionaria del "sistema dinamico" bilancio statale, scrive placidamente che fra le entrate di uno Stato, oltre alle tasse, possiamo annoverare anche la vendita di titoli, come se si trattasse di vendita di un patrimonio e non della contrazione di un debito. Scacciamennule è intelligente, si diceva, è non dimentica quindi di riportare, fra le uscite, anche la restituzione del debito, oltre alle spese correnti e al pagamento degli interessi. Ma si tratta di un errore (s'era detto che non è un esperto di economia), perché nessun economista vero si sognerebbe mai di pensare alla restituzione del debito: ad ogni scadenza di un blocco di titoli, lo Stato scende sui mercati obbligazionari per acquistarne altrettanti e più. Le due equazioni che scrive peccano del suo background scientifico, perché un vero economista semplificherebbe il debito da entrambi i lati dell'equazione entrate = uscite e scriverebbe:
 
uscite = spesa + interessi sul debito
 
entrate = tasse + ricavato vendita di ulteriori titoli (ulteriori rispetto al rinnovo automatico dei titoli in scadenza)
 
da cui si vede che il debito è semplicemente sparito (sì, compare come dipendenza degli interessi nelle uscite, ma si tratta di un tecnicismo matematico).
Fuor d'ironia, ammettiamo pure, per amor di discussione, che si sia di scuola keynesiana: ma non si deve forse prevedere un certo debito (per il fantomatico stimolo all'economia) solo per un limitato periodo di tempo, giusto appunto per superare una crisi e poter poi, col boom, ripagare quel debito contratto?
Quale logica perversa si cela dietro l'assunzione che uno Stato possa contrarre debito perenne... ma cosa dico: contrarre debito in maniera perennemente crescente?
Attenzione: la risposta non deve contenere la parola "inflazione".

15 comments:

Giuseppe Lipari said...

Ciao, grazie per l'attenzione e per la benevolenza! A dire la verità è vero, di economia ne capisco poco. In particolare, non ho mai studiato e quindi mai capito veramente la partita doppia, stato patrimoniale e stato economico, e bilancio. Faccio i conti della serva e spero di capirci qualcosa. E nella tua equazione c'è qualcosa che non capisco: "Il rifinanziamento automatico" dei titoli.

Non mi pare che i titoli siano automaticamente rifinanziati. Se lo stato vendo un titolo a 6 mesi, dopo 6 mesi deve restituire soldi + interessi, ma il titolo non è automaticamente ri-finanziato. Quindi non si semplifica proprio una bel niente (a quanto ne so). Se per caso lo stato non riesce a piazzare un'altra volta quel titolo, semplicemente quelle entrate non ci sono più, sparite. Dove stanno queste nella tua equazione?

Ovvio che se le uscite superano le entrate, per pagare le spese ho bisogno di contrarre nuovo debito, quindi vendere più titoli della volta precedente. Ma non è detto che riesca a piazzarli sul mercato allo stesso interesse di quelli precedenti. Non ti torna?

hronir said...

Non hai colto l'ironia: facevo finta di prendermela con te e il tuo approccio scientifico dal punto di vista dell'economista: è lui che ignora che un prestito va restituito, che la scadenza del prestito non è l'occasione per richiedere altro denaro, oltre a quello che dovrei restituire. E' l'economista che fa quella semplificazione che ti sembra illegittima, che è illegittima: nella prassi, certo, non nella teoria, non scriverà mai su una lavagna quella semplificazione. Però hai mai sentito di uno Stato che si avvicini alla scadenza di un prestito con esattamente i soldi che gli servono per saldare il conto, pronto ad andare avanti senza quei soldi?!?
Il mio punto è che il formalismo degli economisti cerca di complicare una cosa semplice, per fornire una maschera di legittimità ad un approccio intrinsecamente sbagliato, quello degli Stati, di considerare il debito come una legittima fonte di entrate illimitata.

Giuseppe Lipari said...

Alla fine quindi diciamo la stessa cosa, più o meno! :) Bene, però voglio farti un'altra domanda, stavolta un po' più ideologica: : secondo te "dovremmo fallire"? Sarebbe meglio far andare il sistema in crack adesso, o dobbiamo cercare in tutti i modi di rientrare?

Maurizio Manetti said...

Secondo il mio modestissimo parere, e semplificando al massimo, credo che stiamo vivendo in un colossale schema Ponzi... anche a diversi livelli.
Se anche, oltre la lunga catena di debito rifinanziato con altro debito, vi fosse alla fine l'economia reale (investimento in attività produttive che originano "ricchezza"), il modello di "crescita infinita" per risaldare un debito "infinitamente crescente" può funzionare solo in un pianeta infinito con popolazione infinita. In un tale sistema, anche lo schema Ponzi classico funzionerebbe bene. Potremmo diventare ricchi semplicemente facendoci dare soldi da altri, all'infinito.
A volte ho l'impressione che il modello economico attuale abbia preso questa brutta china... tutte le volte che sento parlare di "crescita" ho delle visioni catastrofiche di un mondo del tipo ipotizzato da "Soylent Green". Spero che sia solo il mio innato pessimismo e che ci risveglieremo in maniera meno traumatica abbracciando un modello di sviluppo diverso prima che sia troppo tardi.

Giuseppe Lipari said...

Sul tema della crescita infinita siamo perfettamente d'accordo. Io credo che il crack di questo sistema sia in qualche modo inevitabile, proprio perchè si scontra con limiti fisici ineludibili. Penso dovresti davvero leggere il lavoro della Meadows, e del gruppo di "Limits to growth", penso che lo troveresti davvero interessante (sopratutto perché completamente avulso da qualunque tipo di modello politico/economico di fondo).

Giuseppe Lipari said...

PS: anche Ricolfi è diventato Keynesiano, http://www.linkiesta.it/monti-mercati-manovra-recessione

hronir said...

Rieccomi, scusate il (solito) ritardo!

Sì, lo schema Ponzi è un paragone molto calzante (un po' tutti i vari sistemi previdenziali sono precisamente uno schema Ponzi in un senso tutt'altro che metaforico...).

Sulla questione della (de)crescita, io non trovo che sia legata a questa crisi del debito dei paesi sovrani: la crisi del debito nasce dall'esasperarsi di un meccanismo perverso di espropriazione trans-generazionale per cui una generazione spende più di quel che può permettersi riversando sulle generazioni future il costo di tali spese. Certo, le politiche monetarie inflazionistiche e l'enfasi su PIL come indicatore di benessere (economico) portano all'abuso dei concetti di crescita "econometricamente" intesa, ma se si pensa alla crescita di un paese come al miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti, be', non è affatto questo il problema, né tantomeno una soluzione sarebbe tornare indietro ad un ipotetico mondo bucolico del passato (mai esistito, se non nelle fantasie dei moderni radical chic). Il problema è non "finanziare" tale miglioramento su basi immorali, prima che strutturalmente fragili e destinate a non poter durare all'infinito.

Mi chiedi, infine, se sia meglio fallire o "rientrare".
E cosa mai vorrebbe dire "rientrare"? Far stampare soldi alla BCE? Così da salvare banche e immanicati, avallare un altro giro di azzardo morale per rialzare la posta e trovarci presto in una crisi ancora più grossa, e far pagare i poveri risparmiatori o lavoratori salariati una tassa occulta e profondamente anti-progressiva? Oppure vorrebbe dire costringere la Merkel ad emettere eurobond? Che è un po' come accettare, per spirito di mutualità, di pagare, ancora, per l'ennesima volta, i nuovi 20mila dipendenti pubblici assunti da Lombardo in Sicilia. O forse significherebbe aumentare ancora tasse, accise e balzelli, e chissenefrega del principio di progressività del prelievo fiscale?
Certo che se, invece, per "rientrare", si cominciasse a vendere il mattone di stato, cominceremmo a ragionare. L'ENI, c'è davvero bisogno che sia di proprietà statale?
E se fallissimo, invece? Ripudiando il debito? O magari tornando alla lira, ma avendo il coraggio di farlo lasciando libero corso anche all'euro, così da costringere la nuova/vecchia lira a dover restare sul mercato sulle sue gambe, invece di lasciare i politici italiani liberi di inflazionare a piacimento. Chissà se sarebbe davvero questa immane catastrofe che ci viene prefigurata. Certamente sarebbe un bel bagno di realtà e l'occasione per fare un po' di pulizia di risorse mal allocate. Ma c'è anche il rischio che l'occasione venga persa: se non c'è un substrato culturale nella popolazione capace di riconoscere i mali del sistema e le sue cause, la crisi può anche sfociare in un inasprimento del potere statale, in chiave statalista o fascista potrebbe fare poca differenza; l'azzeramento di tutti i conti servirebbe a poco se politica e corporativismi mantenessero la loro ubiquità.

Maurizio Manetti said...

@hronir: sono d'accordo che il tema della (de)crescita non sia direttamente legato al problema del debito sovrano, ma quando si afferma da più parti che la crescita possa essere l'unica soluzione a tale problema, non si fa forse riferimento alla ""crescita "econometricamente" intesa""? E se il debito continua a crescere infinitamente, quale crescita, se non quella infinita può cercare di colmarlo? E a quali spese umane ed ecologiche? Lasciando ovviamente stare ipotesi utopiche (o ucroniche) come fantomatiche e bucoliche "età dell'oro"... altrettanto utopiche e ucroniche di un mondo in cui regni un sistema economico capace di crescere infinitamente senza mai doverne pagare le conseguenze.

hronir said...

Esatto, i riferimenti alla crescita come panacea della crisi del debito sono riferimenti ad una crescita intesa in senso meramente "econometrico", mentre il problema della (de)crescita riguarda, riguarderebbe, una questione di risorse naturali e del loro esaurimento o comunque sovrasfruttamento.
Le due questioni sono distinte.
Nel primo caso sottolineo il termine "econometrico" ad indicare che non si tratta di una misura appropriata per la crescita "di benessere" della popolazione di una nazione, ma di valutazioni con significativi gradi di arbitrarietà. Innanzitutto il PIL andrebbe visto come un indicatore di volumi di scambio e non di ricchezza prodotta; certamente ai fini della misura di sostenibilità del debito pubblico il PIL è un buon indicatore, perché le tasse (con cui quel debito dovrebbe essere pagato) gli sono proporzionali, più o meno. Inoltre, essendo misurato in valuta legale a corso forzoso, è pesantemente influenzato dalle politiche monetarie delle banche centrali: se ci fosse una moneta non a corso forzoso, ad esempio ancorata al gold-standard, per effetto del progresso tecnico e tecnologico molti servizi e beni di consumo sarebbero caratterizzati da dinamiche di prezzo deflattive e un ipotetico PIL nazionale potrebbe figurare in significativa decrescita, se misurato appunto in gold-standard, in netto contrasto con un generale aumento del benessere (valutato in termini di beni e servizi effettivamente disponibili alla popolazione).
Ebbene, i problemi del debito pubblico sono fortemente legati a questioni monetarie, perché un debito in perenne crescita ha effetti analoghi a quelli di leva finanziaria della riserva frazionaria illimitata da azzardo morale.

(segue, blogger non mi fa mettere commenti troppo lunghi...)

hronir said...

(...come dicevo, segue dal commento precedente)

Il concetto di crescita così come viene inteso nelle discussioni che vorrebbero nella "decrescita" una soluzione ai problemi dell'umanità è profondamente diverso, anche se spesso viene confuso con la crescita misurata dal PIL. In questo contesto si vorrebbe sostenere la nozione che il benessere delle popolazioni è legato allo sfruttamento delle risorse naturali, e che il livello di sfruttamento corrente sia insostenibile a lungo termine e dunque bisognerebbe necessariamente rinunciare a un po' di benessere per non "esaurire" le risorse naturali e ritrovarsi "costretti" ad una riduzione drastica del benessere.
Ebbene, personalmente trovo molti punti deboli in questo filone di ragionamento. Innanzitutto il benessere di una popolazione non è una torta finita direttamente proporzionale alla quantità fisica (in litri e kg) di risorse utilizzate. Il benessere migliora anche con i miglioramenti tecnologici e le innovazioni, capaci di produrre beni e servizi sempre migliori a costi sempre più bassi. In secondo luogo, certamente, alcune risorse naturali sono finite ed esauribili, ma solo se prese singolarmente e misurate in unità fisiche (quanto petrolio c'è, il litri? quanto rame c'è, in kg? quanto ferro? etc, etc), mentre dal punto di vista economico (economico, non econometrico) non è la loro quantità fisica ad essere rilevante. In termini economici conta il loro valore, e il loro valore non è fisso nel tempo e dipende appunto dalla loro disponibilità, assoluta (in unità fisiche) e relativa (rispetto ad altre risorse che competono per utilizzi simili). Inoltre, come sottolineavo, le risorse sono lì tutte insieme, e se il petrolio comincerà a diventare troppo caro (perché in via di esaurimento), si comincerà a cercare qualche materiale che possa farne le veci, ove possibile, o fonti di energia alternativa, per lasciare che quel poco che rimane venga usato dove non può essere sostituito con altro (un altra declinazione di questa critica è che la quantità di petrolio, in litri, disponibile, è funzione di quanto si è disposti a spendere per scavare ed estrarlo, e certamente se il petrolio diventa più scarso, e dunque più caro, diventerà conveniente spendere di più per estrarne da pozzi che prima non era conveniente scavare e dunque si stava escludendo dal conteggio, in litri). Eppoi, come dicevo, c'è l'innovazione tecnologica, che migliora la produzione e riduce il consumo di risorse per essa.

Ora, non voglio dire che i due temi sia assolutamente e completamente scorrelati. Però la correlazione non può essere l'uso di uno stesso termine, crescita, che in realtà viene usato per concetti comunque ben diversi. La correlazione andrebbe magari cercata nelle conseguenze che una politica monetaria di debito pubblico impazzita su scala planetaria potrebbe avere nel distorcere i segnali di disponibilità delle risorse che normalmente i prezzi inviano ai diversi attori del mercato. Però in che direzione puntino questi effetti e che entità abbiano non mi è per nulla ovvio.

Maurizio Manetti said...

Ok... it's more complicated that that... va bene...

...tuttavia sono ancora convinto che i due concetti di crescita siano molto legati tra di loro.

Sia che intendiamo il PIL come indicatore di volumi di scambio che come ricchezza prodotta, non mi sembra che ci siano molte alternative al suo aumento se non attraverso uno sfruttamento maggiore delle risorse o un aumento generale della popolazione.
Ok, c'è l'innovazione tecnologica, ma di quanta ce n'è bisogno per ottenere gli stessi benefici diminuendo in maniera fortemente significativa lo sfruttamento delle risorse?... Ma non è finita qui... (continua fra qualche giorno)

hronir said...

A volte le innovazioni tecnologiche hanno effetti inimmaginabili: hai mai sentito parlare della green revolution? Qual era la popolazione massima che la Terra avrebbe potuto sostenere, secondo le tipiche analisi malthusiane, prima degli anni '60?

Ma al di là dei temi cari ai sostenitori della decrescita, direi che non c'è dubbio che la crisi attuale è una crisi del debito, non della crescita. Certo, ci sono sedicenti economisti che vanno dicendo che la crescita sarebbe una soluzione, ma intendono una crescita meramente econometrica, tant'é che la loro arma preferita sarebbe l'inflazione o, che è lo stesso, la stampa di moneta fresca, ignorando, o facendo finta di ignorare, che anche una crescita prolungata del PIL non risolverebbe comunque la contraddizione di un debito in perenne crescita senza alcuna prospettiva di estinzione. In ogni caso, nessuno di loro penserebbe qualcosa del tipo: "dobbiamo bruciare più petrolio, solo così ne usciremo!".

Per questo insisto nel dire che le due cose, in questo momento, sono in gran parte scorrelate.

Maurizio Manetti said...

Rieccomi...
purtroppo non ho il tempo di dedicarmi ad una discussione che mi appassionerebbe anche molto, e tuttavia non vorrei nemmeno intavolare una polemica con te anche perché sicuramente sarei destinato a perdere miseramente per mancanza di argomentazioni e di abilità logica.
Tuttavia colgo di nuovo l'occasione per esprimere il mio parere anche perché questo scambio di opinioni per me è molto stimolante.

Secondo te, quando ai piani alti parlano di "crescita", che cosa intendono?

Francamente non penso che qualcuno dei governanti d'Europa abbia in mente una qualche rivoluzione tecnologica destinata ad aumentare la produzione in maniera eclatante... anche perché, come dici tu, "a volte le innovazioni tecnologiche hanno effetti inimmaginabili". Appunto... "a volte". Dobbiamo basare il nostro modello di sviluppo sulla speranza dell'avvento di qualche rivoluzione tecnologica che ci potrebbe "salvare" in futuro, e rimetterci sui binari giusti, o non sarebbe forse più saggio cercare di dare un'altra direzione allo sviluppo, e poi, se la rivoluzione arriva, tanto meglio?

D'altra parte sono d'accordo con il fatto che probabilmente nessun economista pensa seriamente che per risolvere il problema del debito bisogna "bruciare più petrolio". Se però la soluzione indicata è quella di aumentare il PIL attraverso l'aumento dello scambio di merci e l'aumento di produzione (e forse anche di popolazione), il fatto di "bruciare più petrolio" potrebbe essere una semplice conseguenza di questi aumenti (non voglio usare la parola "crescita" :)). E naturalmente "bruciare più petrolio" è solo una metafora per parlare di maggior consumo delle risorse naturali con conseguenze ambientali. Il petrolio, sono d'accordo con te, è in primo luogo una questione di convenienza, e il possibile esaurimento o anche solo l'aumento dei costi di estrazione dei carburanti fossili purtroppo è solo uno dei numerosi problemi che il pianeta deve affrontare. Tra i danni ecologici provocati dall'industria mineraria, l'esaurimento (o aumento dei costi di estrazione) di molte materie prime, la distruzione degli habitat naturali, l'impoverimento della fauna marina, l'estinzione di specie animali e vegetali, l'erosione del suolo agricolo, la costante diminuzione di disponibilità di acqua dolce, l'inquinamento dalle attività dell'industria chimica, l'introduzione di specie non autoctone, l'incremento demografico globale, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Ok comincio a essere catastrofista e sono uscito decisamente fuori tema.
Ho fatto confusione? Non lo so.
Continuo a pensare che il l'indice del "benessere delle popolazioni" che misuriamo oggi in maniera decisamente distorta attraverso il PIL, sia strettanente legato allo sfruttamento (e devastazione) delle risorse naturali.
Quindi appunto, non è che io auspichi una diminuzione del benessere, ma semmai un indice diverso di misurazione di questo benessere che non sia il PIL, proprio perché, come dici tu, "il benessere di una popolazione non è una torta finita direttamente proporzionale alla quantità fisica (in litri e kg) di risorse utilizzate". Ma il PIL non lo è?

hronir said...

   Felicissimo che tu non abbia tempo! Non avevo fatto due più due... :-)
   Intanto io rispondo lo stesso, tanto i tempi di questo blog non sono mai stati serrati: qui il dont-read non segue al too-long, ma proprio al too-often).

   Ritratto la citazione sulla rivoluzione verde: voleva essere un esempio estremo, non tipico, e in ogni caso volevo appellarmi a sviluppi tecnologici molto più "normali", di quelli che fanno sì che beni di lusso (o inimmaginabili) un secolo fa siano diventati beni 'normali' oggi (acqua corrente, acqua calda, riscaldamento, carne, frigoriferi, automobili, telefoni, computer...); di quelli che aumentano la ricchezza complessiva del pianeta, alzando la soglia di povertà o riducendo la quantità di popolazione "povera", a dispetto di quel luogo comune che vede la ricchezza del mondo occidentale basato (unicamente) su un crescente sfruttamento del terzo mondo.

   Rinuncio anche, qui e ora, ad affrontare l'argomento ecologico, che richiede tempo e ci costringerebbe a risalire verso argomentazioni molto distanti, di natura più etica.

   Provo invece a risponderti sulle questioni più inerenti il post, e cioè della natura di questa crisi: PIL, crescita, economia.
  Quando "ai piani alti" parlano di crescita, si riferiscono unicamente al PIL, perché il debito si paga con le tasse, e le tasse sono, roughly, proporzionali al PIL.
   Sul *come* far crescere il PIL, invece, ci sono le posizioni più disparate, figlie di concezioni economiche le più disparate. Ecco una possibile classificazione molto stilizzata.
   I libertari disinnescherebbero la discussione sul nascere: l'accumulo di debito all'infinito non si può risolvere con una crescita (del PIL, sottinteso d'ora in poi a meno di esplicita indicazione diversa) infinita, perché si presuppone comunque di non ripagarlo mai, il debito, e questo é sbagliato a livello logico, prima ancora che economico o politico (e questo era un po' il senso del mio post).
   I liberali direbbero che la crescita si ottiene liberalizzando, la qual cosa ridurrebbe gli sprechi e le inefficienze, oltre che ridistribuendo le risorse verso gli usi più richiesti; nota bene che questo tipo di indicazioni non implicano, di per sé, un aumento nello sfruttamento delle risorse (naturali), dal momento che deriverebbe la crescita da una maggiore produttività e una maggiore efficienza (un concetto, di principio, gradito a chi ha care le questioni ambientali).
   I keynesiani direbbero invece che per crescere serve spendere. L'apparente ('spe che smetto di ridere) assurdità della cosa viene mascherata con sofisticata (ah ah ah) matematica (ih ih ih), la quale dimostra (uh uh uh) l'esistenza di un fattore di moltiplicazione (maggiore di uno, dicono addirittura molto) fra quanto si spende e quanto si ottiene. In quest'ultimo caso il legame fra crescita ed eccessivo sfruttamento delle risorse naturali potrebbe esserci, perché sovra-spendendo --- a debito (illimitato) o stampando moneta --- puoi effettivamente ridurre artificiosamente (i.e. arbitrariamente) il costo di certe materie prime, incentivandone uno sfruttamento eccessivo: ma il discorso sarebbe complesso, la relazione di causa-effetto non così semplice e ovvia e per questo eviterei di sovrapporre in maniera naif i due concetti (crescita keynesiana e sovrasfruttamento delle risorse naturali).
   Più in generale, dunque, il legame solitamente associato fra PIL e sovrasfruttamento della natura mi pare in gran parte illegittimo.

(Uff... faccio commenti troppo lunghi... segue...)

hronir said...

(...segue)

   Ah, non sono sicuro che quello fosse il senso della tua domanda finale, ma no, il PIL non è una torta finita e non è proporzionale alla quantità fisica di risorse utilizzate. E una delle primissime ragioni per cui non lo è è proprio per il fatto di includere conteggi di "scambio" e di servizi offerti, e non solo di "produzione materiale di beni" (ma quali ingenuità nelle concezioni di valore, bene materiale e lavoro si celano dietro queste affermazioni). Ma quel che volevo sottolineare era che anche a voler cercare un indicatore più fedele del "benessere" o della "ricchezza" di una popolazione (ma da buon austriaco so che un tale indicatore non potrebbe mai esistere), questo non sarebbe comunque un dato finito, una torta da spartire, e non sarebbe nemmeno proporzionale alle risorse sfruttate.