Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
Il primo passo del percorso di Quine, il primo e più importante crollo che si trascinerà dietro quasi tutto il tempio della filosofia, è la critica alla distinzione analitico/sintetico. Quest'ultima è una terminologia kantiana, ma si tratta di un filo rosso che percorre tutta la filosofia: è, in fondo, quel che Leibniz chiamava distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, e che Hume, il mitico Hume, distingueva come relazioni fra idee, da una parte, e materia di fatto, dall'altra. Per dirla con esempi, si tratta della differenza tra frasi come "piove o non piove", o "se sei scapolo, non sei sposato" da un lato, e, dall'altro, frasi come "Giovanni è a messa".
La differenza, lo capite benissimo, è allo stesso tempo evidente e fondamentale. Tanto evidente che, sono pronto a scommetterci, se non avevate mai sentito parlare di Quine, non avreste mai pensato ci fosse qualcuno che osasse metterla in dubbio. Tanto fondamentale che su di essa si basa proprio tutto il programma riduzionista: da una parte c'è la logica e la matematica, certa senza alcuna ombra di dubbio, e dall'altra ci sono i fatti "nudi e crudi" della realtà, e compito del filosofo è proprio quello di separare, nella nostra immagine del mondo, ciò che è linguaggio, convenzione, da ciò che è "là fuori" (e poter così eliminare, nel cestino della metafisica, quel che resta).
Le prime formulazioni delle sue critiche risalgono agli anni trenta del secolo scorso, ma il saggio di riferimento, Due dogmi, viene pubblicato nel 1951. Quine mostra che tutti i tentativi proposti fino ad allora di salvare la distinzione analitico/sintetico (giusto per citarne qualcuno: la nozione di necessità, le descrizioni di stato di Carnap, regole semantiche, regole linguistiche come la sostituzione dei termini salva veritate...) tutti questi tentativi, mostra Quine, non sono altro che petizioni di principio o spiegazioni obscura per obscuriora. Di più: Quine afferma che qualsiasi tentativo in questo senso è destinato a fallire.
L'argomentazione di Quine è duplice e possiamo pensarla come un viaggio di andata dall'esperienza alla conoscenza, e poi un ritorno di nuovo all'esperienza.
La prima tappa è il famoso olismo epistemologico: ogni teoria scientifica, ogni visione del mondo, anche quella dell'uomo comune, si presenta al vaglio dell'esperienza non pezzo per pezzo, ma come un tutto unitario. Non esiste un unico strato empirico che un singolo enunciato può indicare come "suo". La seconda tappa è una concezione del significato secondo cui l'unico modo sensato di attribuire un contenuto ad un enunciato è solo in termini delle sue conseguenze, se vero, nel nostro mondo di esperinza: capisco che Giovanni è a messa perchè se l'enunciato è vero attravero la strada, entro in chiesa e ci trovo Giovanni.
Se ammettiamo queste due circostanze, dunque, Quine dimostra che non ci è concesso di poter determinare univocamente se il significato e la verità di un enunciato dipendono dall'esperienza o da convenzioni linguistiche. La componente fattuale e quella linguistica di ogni enucniato, e dunque di tutta la nostra descrizione del mondo, fino a quella scientifica, risulteranno inestricabilmente intrecciate. E' la famosa stoffa grigia di enunciati, nera di fatti e bianca di convenzioni, ma priva di fili del tutto neri e altri del tutto bianchi.
Le conseguenze sono pesanti e vaste, costringendo a ripensre praticamente tutti i temi della tradizione filosofica: dalla giustificazione della matematica alla teoria del significato, dall'ontologia all'epistemologia fino alla concezione stessa della filosofia.
Crollano dunque molti piani dell'edificio positivista, e Quine ci costringe a riconoscere che la nostra immagine del mondo, scienza compresa, non si costruisce attraverso un rispecchiamento fedele della realtà, ma è essa stessa un costrutto teorico non univoco e impossibile da ridurre a una base empirica predeterminabile. Ma, sottolinea Quine, questo non significa affatto affermare che tutto è equivalente e qualsiasi cosa può andar bene. I muri portanti dell'empirismo restano ben piantati: Quine diffiderà sempre di criteri ontologici troppo liberali e anzi riconosce un legame molto stretto fra esperienza e scienza, e considera quest'ultima di fondamentale importanza nella nostra cultura.
In effetti, quello di Quine rappresenta il più profondo e fecondo tentativo compiuto nel nostro secolo di riformulare il programma empirista su nuove basi.