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02 October 2016

...non hanno bisogno nemmeno del cestino!

 
 
Ecco, se c'è una cosa che odio è la filosofia solo "per parlare", eristica, mero gioco dialettico.
 
C'è un problema su cui i filosofi hanno dibattuto a lungo senza approdare ad una soluzione condivisa[1]? e nemmeno tu hai una soluzione? ti prego, non dire "questo è il bello della filosofia"! Perché che senso ha, se non quello di dichiarare che della questione, in fondo, non te ne fregava molto e che cercavi solo materiale di conversazione per il circolo del te e dei pasticcini?
 
E comunque, caro Nicola Misani, per tua informazione, il problema dei nomi, della sinonimìa, della dicotomia significante/significato, dell'imperscrutabilità del riferimento, dell'indeterminatezza della traduzione, del mito di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette, etc, etc, sono stati tutti chiariti una volta per tutte da — indovinate, miei lettori abituali? — Quine.

[1] come? tutti?
 

10 November 2012

   [1] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
(...continua)
§  Positivismi
Uno dei motivi per fare il salto da un positivismo all'altro, in realtà, è piuttosto personale e deriva dal fatto che per me, prima d'ora (quando d'economia non capivo nulla e, essenzialmente a causa di ciò, nemmeno mi piaceva, lei e le scienze sociali sue cugine), il termine positivismo costituiva un automatic redirect al termine neopositivismo.
La pagina di disambiguazione di wikipedia per il termine positivismo, invece:
  • riporta l'ambito delle scienze sociali come il principale riferimento del termine;
  • considera il neopositivismo come "positivismo in filosofia";
  • annovera il positivismo giuridico (in contrapposizione al giusnaturalismo);
  • cita il positivismo come corrente letteraria;
  • *non* disambìgua alcuna caratterizzazione del termine in ambito specificatamente economico, da far rientrare dunque nell'ambito delle scienze sociali.
Ho fatto riferimento ad it.wikipedia perché la versione inglese ha l'aria molto meno affidabile, visto che mette la conoscenza scientifica in contrapposizione(?) all'empirismo puro(?!?) e cita un certo positivismo politico che sembra banale pubblicità a questo tal Ljubiša Bojić...
Il miglior punto di partenza potrebbe essere invece en.wiktionary, che prova a delineare il denominatore comune all'applicazione dello stesso termine in ambiti diversi: il rigetto per la metafisica e l'appello (eventualmente velleitario) al metodo scientifico come strumento principe di conoscenza. Ed è proprio descrivendo il positivismo in questi termini che si possono intravedere, pur nella loro ingenuità, i tratti che suscitano la mia simpatia.
Tuttavia la diversità degli ambiti di applicazione del termine e le contingenze storiche fanno sì che lo stesso termine venga usato, nei diversi ambiti, per caratterizzare punti di vista spesso difficilmente conciliabili fra di loro. A cominciare dal positivismo giuridico, che prende in prestito il termine solo per questioni etimologiche, ad indicare che la legge sarebbe posta dal legislatore, e non trovata in natura, com'è invece la tesi del punto di vista opposto, il giusnaturalismo, il quale potrebbe invece esso stesso pretendere a buon diritto di collocarsi più vicino allo spirito naturalista, appunto, del positivismo in ambito epistemologico.
(continua...)

08 November 2012

   [0] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

[0][1][2][3][4][5][6][7][8][9]
§  Dichiarazione del tema
Post di vaste pretese, questo.
Tutto nascerebbe da una questione apparentemente marginale, ovvero il rapporto degli austriaci col positivismo. I primi da intendersi, ovviamente, non come popolazione di lingua tedesca localizzata in Austria, ma come metonimia per una tradizione di pensiero in campo economico; il secondo da intendersi, inizialmente, come approccio metodologico ai temi economici. Ho detto "inizialmente" perché il passo dal positivismo economico al positivismo scientifico è breve, soprattutto per chi come me ha un tenero rapporto d'affetto con quest'ultimo.
Il fatto è che questi economisti di scuola austriaca hanno invece un pessimo rapporto col positivismo, e per me le critiche al positivismo rappresentano, in genere, il primo campanello di allarme per sospetto idealismo tedesco (latente). E poiché la gente pensa già che col libertarismo io abbia abbracciato una sorta di setta satanica à la Scientology, se si fanno anche l'idea che abbia sdoganato pure i continentali, penseranno le peggiori cose di me — il libertarismo ti rivolta come un calzino... ma Hegel resta Hegel!
E' urgente più che mai, dunque, fare chiarezza sulla questione.
 
Siccome però questo post cominciava a diventare più lungo del solito (il che è tutto dire), e poiché pare che sul web pubblicare cose lunghe non sia cortesia verso il lettore, ho pensato di spezzarlo in più parti.
E così per ora mi fermo qui, lasciandovi a crogiolare nell'attesa della prossima puntata.

11 May 2009

Deficit attentivo in filosofia: Cacciari contro Quine

Con un po' di ritardo, alla fine ho trovato il tempo per ascoltarmi la registrazione della puntata di Uomini e profeti di Radio 3 con l'intervento di Massimo Cacciari, segnalata da ToMaTe ormai qualche tempo fa.
Il deficit del titolo di questo post si riferisce a questo commento, sempre di ToMaTe, e, istintivamente, matura grossomodo nella prima metà della trasmissione, in cui il filosofo sindaco di Venezia ci rende edotti su questioni di incontri/scontri di civiltà, di culture, di elementi non-ordinabili. Matura istintivamente proprio in contrapposizione a quel commento sul mio blog, in contrapposizione alla filosofia di Quine. Per me, infatti, sono queste riflessioni generali sull'Uomo Europeo, sull'Occidente, la Storia, la Crisi dei Vincitori, che mettono a dura prova le mie capacità di concentrazione.
Intendiamoci, non ho nulla contro Cacciari, anzi, lo considero un filosofo di grandissimo spessore, mille miglia sopra, chessò, tanto per dire il primo che mi passa per la testa, Giovanni Reale. Cacciari ha sempre attirato la mia curiosità, e la seconda parte della trasmissione lo conferma in pieno, quando espone con incredibile lucidità l'insanabile contraddizione tra religiosità e secolarizzazione, tra culto e laicità, muovendo da una prospettiva teologica, storica e socio/politica che fa da contr'altare perfetto alle mie solite argomentazioni di stampo più squisitamente empirico/epistemologico.
E, lungi da me, non voglio nemmeno sostenere che sia io, nei miei post, ad essere più convincente ed accattivante di Cacciari. Nè che Quine sia di facile comprensione e che dunque siano ingiustificate le esitazioni di ToMaTe.
La differenza che vorrei sottolineare, invece, riguarda direttamente i temi trattati, che seppure chiamansi entrambi filosofia, non potrebbero, ai miei occhi, essere cose più diverse e distanti.
La filosofia di cui si occupa Quine è più "scientifica", più "fisica" rispetto a quella di Cacciari (e per questo mi assumo personalmente tutta la colpa di non riuscire ad affascinare a Quine un fisico come ToMaTe). Quando Quine discute quel che c'è e quel che non c'è (ontologia), quando discute su come si costruisce il processo di conoscenza (gnoseologia), quando discute sul dove sta, se sta, il confine fra fatti e convenzioni, è fondamentalmente molto vicino nello spirito a quell'Einstein che traccia la distinzione fra coordinate, tetradi e connessioni, da una parte, e, dall'altra, le proprietà geometriche degli oggetti fisici che con quelle coordinate, tetradi e connessioni cerchiamo di descrivere (e torniamo alla tesi, che condivido appieno, sulla morale "anti-relativista" della Relatività).
Per questo sono profondamente convinto che conoscere il pensiero di Quine, essere passati almeno una volta attraverso la sua devastante tempesta ed essere riemersi con lui, ancora vivi, rappresenti un'integrazione notevole del bagaglio culturale (nel senso più alto del termine) di uno scienziato, piuttosto che un semplice complemento "umanistico" (nel senso più ridotto del termine) alla sua cultura generale.
 
Non sono molto d'accordo con ToMaTe, invece, sull'adesione al Cacciari conclusivo che parla dell'impossibilità di una scienza unitaria, di un'unica legge e dell'ineluttabilità di una pluralità di leggi: secondo me la natura è una sola, e se ancora non riusciamo ad unificare le nostre visioni è solo per difficoltà tecniche contingenti.
Anche la storia dell'atlante di mappe privo di un'unica mappa globale, come metafora di un'essenziale frammentarietà del reale, non mi convince: le mappe si raccordano bene, localmente, l'un l'altra, ad indicare la perfetta consistenza delle singole descrizioni in un'unica varietà coerente, che semplicemente non può essere "appiattita" uniformemente.
L'irriducibilità è tutt'altra cosa. Come spiegava bene, in un contesto molto di verso, J. S. Bell a proposito dell'idea di Bohr di complementarietà.

23 April 2009

Quine - 4 - Affresco (3/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 2/3)
 
Lo vedete anche voi, ci sono macerie ovunque.
C'è qualcosa che si salva? Siamo davvero costretti al relativismo più indifferente, liberi di cambiare a piacimento la nostra ontologia ogni secondo martedì del mese? Certamente no. Quine si limita a spogliare dell'aura di assolutezza molti concetti fondamentali, ma per mettere a nudo la loro vera natura. Rendersi conto che il riferimento è imprescrutabile non significa doverlo estirpare dai nostri discorsi ma significa "semplicemente" essere consapevoli che esso ha senso solo sullo sfondo di uno schema concettuale complessivo. Il relativismo ontologico non è indifferenza ontologica e non ci esime dall'importante compito di capire come e perchè alcuni schemi concettuali, da quelli del senso comune fino a quelli più raffinati della scienza, sono migliori di altri.
Cosa esiste davvero, dunque, e cosa no? La risposta di Quine, pragmatista da buon americano, è semplicemente "qualsiasi cosa, se ci serve". Abbiamo solo gli stimoli sensoriali come punto di partenza, e ad essi dobbiamo tornare: accettare corpi, classi, numeri, atomi, in questo viaggio di andata e ritorno, ha solo un valore strumentale — essere è essere il valore di una variabile.
E allora anche un empirista non proverà più fastidio se l'ontologia della fisica comprende irriducibilmente enti astratti come i numeri e le classi, e se il rischio di paradossi è sempre dietro l'angolo. Ci siamo già svezzati dal mito della distinzione analitico-sintetico, ormai sappiamo che l'apparente solidità e certezza della matematica è dovuta semplicemente alla sua centralità nella rete delle nostre conoscenze, nel sistema complessivo delle scienze; alla sua "lontananza" dai bordi del nostro campo di forze i cui limiti sono l'esperienza.
E concludo direttamente con Luca: quel che resta saldo e intoccabile, alla fin fine, sono gli stessi dati dai quali era partito il nostro bambino nel suo viaggio verso il mondo: stimoli dei recettori sensoriali. La scienza, pure se si situa a un livello di complessità filogenetica e ontogenetica immensamente più alto, non deve rendere conto ad alcuna entità di ordine superiore. L'unico dogma residuo dell'empirismo, la fedeltà agli stimoli sensoriali, è vendicato.

22 April 2009

Quine - 4 - Affresco (2/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 1/3)
 
Un'altra vittima illustre di questa riformulazione è proprio la stessa filosofia. Vittima almeno nella misura in cui era sempre stata concepita fino ad allora, una filosofia prima che si occupasse della domanda transcendentale delle condizioni di conoscenza. Una tale domanda presuppone una forte distinzione sintetico/analitico, ma Quine ha mostrato che tale differenza è apparente, non essenziale. La ricerca dei modi di conoscenza, cioè, è anch'essa una ricerca empirica, da portare avanti, dunque, con gli stessi metodi della scienza. E' questo il senso della metafora di Neurath, tanto cara a Quine, che ho citato in cima (e a cui si riferisce il Quine Fact numero 1): l'epistemologia è essa stessa un'impresa scientifica. Un circolo vizioso, apparentemente: la scienza usata per studiare le condizioni di costituzione della scienza stessa. Ma il punto è che non ci sono alternative: non possiamo tirarci fuori e giudicare la scienza da un terreno più sicuro. In questo senso per Quine la filosofia è scientifica, non c'è soluzione di continuità fra filosofia e scienza, nè in termini di metodo nè in termini di valore: è questo il senso dell'espressione naturalismo epistemologico.
Il percorso conoscitivo, come dicevamo, è un viaggio di andata e ritorno. Il punto di partenza può essere uno solo: le nostre percezioni, i nostri stimoli sensoriali; ma questi rappresentano anche l'unico possibile approdo finale a cui si può ritornare, dopo il lungo viaggio della spiegazione. La scienza stessa ci mostra che il nostro unico canale di contatto col mondo non è costituito dagli oggetti che ci circondano, ma dagli stimoli più elementari che colpiscono i nostri recettori (sulla retina, sulla pelle, nel timpano, etc). Queste sensazioni, però, sono essenzialmente private: non abbiamo modo di verificare cosa stia percependo una persona in un dato momento. A parte, ovviamente, basarci sul suo comportamento, e cioè sulle correlazioni stimolo-risposta. L'empirismo, insomma, non può che declinarsi in termini di comportamentismo. E del resto, nota Quine, questo è precisamente il modo con cui, concretamente, procede il bambino nello sviluppo delle sue competenze linguistiche.
Con un approccio squisitamente scientifico, almeno negli intenti, Quine ripercorre "ontologicamente" le tappe di apprendimento linguistico del bambino, con l'idea che esso possa ricapitolare "filogeneticamente" la genesi del linguaggio nella specie umana, e con la convinzione che questa circostanza sia contestuale alla formazione dell'ontologia stessa del bambino. Questo è un tratto caratteristico di Quine, il legame strettissimo fra linguaggio e ontologia: non esistono concettualizzazioni della realtà indipendenti dal linguaggio ordinario.
Il bambino non può che partire con la semplice associazione fra gli stimoli verbali delle persone che gli stanno intorno, percepiti olofrasticamente, e gli stimoli non-verbali che esperisce in prima persona, secondo i condizionamenti tipici del comportamentismo. Quindi, attraverso questo continuo feedback di associazioni fra stimoli verbali e non-verbali, il bambino comincia contemporaneamente a risolvere la struttura tanto dei primi (comincia a distinguere i fonemi, a costruire soggetti, predicati, strutture (co-)referenziali, pluralizzazioni, anafore...) quanto dei secondi (comincia con la postulazione di oggetti concreti e prosegue con quella di entità via via più astratte come termini generici singolari, classi, numeri...). La differenza fra le prime fasi e il risultato finale di una fluente padronanza della lingua madre è notevole ma non essenziale, è solo questione di grado: all'inizio la relazione fra stimoli e suoni è evidente nella sua semplicità e nella sua verificabilità su base comportamentale; in seguito il significato non si trova più a dipendere solo da stimoli non-verbali diretti ma dalla fitta rete di interazioni che il linguaggio stesso contribuisce a tessere. In ogni caso tutto quel che possiamo osservare restano sempre e soltanto correlazioni fra stimoli sensoriali e risposte verbali o stimoli verbali e risposte verbali. E la stessa identica cosa accadrebbe a un ipotetico antropologo linguista che volesse imparare la lingua sconosciuta di una popolazione mai incontrata prima. Un ipotetico manuale di traduzione rimarrebbe essenzialmente indeterminato, anche se non arbitrario, dal momento che non saremmo in grado di determinare in quale delle diverse ontologie empiricamente equivalenti i parlanti della lingua ignota pensano realmente. Ma la critica di Quine è radicale: non c'è bisogno di immaginare una lingua ignota: anche quando parlo con persone nella mia stessa lingua è sempre in atto una sorta di traduzione, di interpretazione continua dei suoni nel mio privato spazio cognitivo: il riferimento stesso si dimostra indeterminato.
Qual è l'insegnamento di fondo, in tutto ciò? Il senso è che la dicotomia significante/significato evapora; l'indeterminatezza della traduzione, l'imperscrutabilità del riferimento, la relatività ontologica, non sono difficoltà pratiche, ma mettono in luce precisamente i limiti dell'approccio mentalistico: singoli significati dietro singole parole, le idee nella mente, sono tutti concetti vuoti. Di più, il famoso mito di un museo in cui gli oggetti esposti sono i significati e le parole sono le etichette, rappresenta il principale responsabile di molte insensatezze filosofiche.
 
(continua: 3/3)

21 April 2009

Quine - 4 - Affresco (1/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
(continua da: 0/3)
 
Il primo passo del percorso di Quine, il primo e più importante crollo che si trascinerà dietro quasi tutto il tempio della filosofia, è la critica alla distinzione analitico/sintetico. Quest'ultima è una terminologia kantiana, ma si tratta di un filo rosso che percorre tutta la filosofia: è, in fondo, quel che Leibniz chiamava distinzione fra verità di ragione e verità di fatto, e che Hume, il mitico Hume, distingueva come relazioni fra idee, da una parte, e materia di fatto, dall'altra. Per dirla con esempi, si tratta della differenza tra frasi come "piove o non piove", o "se sei scapolo, non sei sposato" da un lato, e, dall'altro, frasi come "Giovanni è a messa".
La differenza, lo capite benissimo, è allo stesso tempo evidente e fondamentale. Tanto evidente che, sono pronto a scommetterci, se non avevate mai sentito parlare di Quine, non avreste mai pensato ci fosse qualcuno che osasse metterla in dubbio. Tanto fondamentale che su di essa si basa proprio tutto il programma riduzionista: da una parte c'è la logica e la matematica, certa senza alcuna ombra di dubbio, e dall'altra ci sono i fatti "nudi e crudi" della realtà, e compito del filosofo è proprio quello di separare, nella nostra immagine del mondo, ciò che è linguaggio, convenzione, da ciò che è "là fuori" (e poter così eliminare, nel cestino della metafisica, quel che resta).
Le prime formulazioni delle sue critiche risalgono agli anni trenta del secolo scorso, ma il saggio di riferimento, Due dogmi, viene pubblicato nel 1951. Quine mostra che tutti i tentativi proposti fino ad allora di salvare la distinzione analitico/sintetico (giusto per citarne qualcuno: la nozione di necessità, le descrizioni di stato di Carnap, regole semantiche, regole linguistiche come la sostituzione dei termini salva veritate...) tutti questi tentativi, mostra Quine, non sono altro che petizioni di principio o spiegazioni obscura per obscuriora. Di più: Quine afferma che qualsiasi tentativo in questo senso è destinato a fallire.
L'argomentazione di Quine è duplice e possiamo pensarla come un viaggio di andata dall'esperienza alla conoscenza, e poi un ritorno di nuovo all'esperienza.
La prima tappa è il famoso olismo epistemologico: ogni teoria scientifica, ogni visione del mondo, anche quella dell'uomo comune, si presenta al vaglio dell'esperienza non pezzo per pezzo, ma come un tutto unitario. Non esiste un unico strato empirico che un singolo enunciato può indicare come "suo". La seconda tappa è una concezione del significato secondo cui l'unico modo sensato di attribuire un contenuto ad un enunciato è solo in termini delle sue conseguenze, se vero, nel nostro mondo di esperinza: capisco che Giovanni è a messa perchè se l'enunciato è vero attravero la strada, entro in chiesa e ci trovo Giovanni.
Se ammettiamo queste due circostanze, dunque, Quine dimostra che non ci è concesso di poter determinare univocamente se il significato e la verità di un enunciato dipendono dall'esperienza o da convenzioni linguistiche. La componente fattuale e quella linguistica di ogni enucniato, e dunque di tutta la nostra descrizione del mondo, fino a quella scientifica, risulteranno inestricabilmente intrecciate. E' la famosa stoffa grigia di enunciati, nera di fatti e bianca di convenzioni, ma priva di fili del tutto neri e altri del tutto bianchi.
Le conseguenze sono pesanti e vaste, costringendo a ripensre praticamente tutti i temi della tradizione filosofica: dalla giustificazione della matematica alla teoria del significato, dall'ontologia all'epistemologia fino alla concezione stessa della filosofia.
Crollano dunque molti piani dell'edificio positivista, e Quine ci costringe a riconoscere che la nostra immagine del mondo, scienza compresa, non si costruisce attraverso un rispecchiamento fedele della realtà, ma è essa stessa un costrutto teorico non univoco e impossibile da ridurre a una base empirica predeterminabile. Ma, sottolinea Quine, questo non significa affatto affermare che tutto è equivalente e qualsiasi cosa può andar bene. I muri portanti dell'empirismo restano ben piantati: Quine diffiderà sempre di criteri ontologici troppo liberali e anzi riconosce un legame molto stretto fra esperienza e scienza, e considera quest'ultima di fondamentale importanza nella nostra cultura.
In effetti, quello di Quine rappresenta il più profondo e fecondo tentativo compiuto nel nostro secolo di riformulare il programma empirista su nuove basi.
 
(continua: 2/3)

20 April 2009

Quine - 4 - Affresco (0/3)

Noi siamo come naviganti che devono restaurare la loro nave in mare aperto, senza poterla mai smontare in un cantiere e senza poterla mai ricostruire con parti migliori.
Otto Neurath
 
Squilli di trombe!
Rullo di tamburi!
Cominciamo, finalmente, ad entrare nel merito di Quine!
(Ma chissà poi se e dove andremo a finire...)
 
Per cominciare, invece di entrare direttamente nel dettaglio delle sue tesi principali, vorrei proporvi un volo dall'alto sul suo percorso filosofico. Un passaggio importante, per mettere tutto in prospettiva, ma arduo, per me, da compilare, perchè presuppone una conoscenza vasta e approfondita del logico americano, e una capacità di riordinare le sue tesi in un disegno organico; tutte competenze, come dicevo, che io certamente non ho.
Ma, per voi, ho pensato di rielaborare, in maniera semplificata e concisa, la bellissima introduzione di Luca Bonatti alla traduzione italiana del Quidditates (aiutandomi anche con il primo capitolo dell'introduzione a Quine di Gloria Origgi).
Vi avverto che, nonostante l'attesa spasmodica (è nientemeno che il quarto post espressamente dedicato a Quine... senza nemmeno contare le divagazioni complesse, quantistiche e quant'altro) non troverete qui di seguito alcun serio tentativo di argomentazione. Se mai un giorno proverò a suggerire qualche argomentazione alle tesi di Quine, non potrà che essere su un punto specifico, per circoscrivere il più possibile un discorso che altrimenti si espanderebbe come un gas perfetto ad occupare tutto lo spazio a disposizione.
 
(continua: 1/3)

13 April 2009

Quine - Quidditates

Quasi un dizionario filosofico.
Rigore e leggerezza per un viaggio ironico negli argomenti più seri.
 
Se desiderate questo libro — e, confessatelo, lo desiderate anche voi! — rassegnatevi.
 
Non si può comprare: è fuori catalogo.
Nessuna delle librerie il libraccio di Milano ne ha una copia usata.
 
Per fortuna esiste la Biblioteca Sormani.
E così ho potuto anche fare una foto alla copertina ed aggiungerla ad anobii... :)
 
Non è che qualcuno ha una copia non gradita del libro da vendermi?

05 March 2009

Quine - 2


No, non è Quine, è Moritz Schlick,
fondatore del circolo di Vienna
(cui partecipò anche Quine)
Allora, partiamo realmente a parlare di Quine, o no?
Il fatto è che non ho proprio alcuna idea, ancora, di come attaccare il problema che potremmo dire della divulgazione di Quine. Proverò a partire rispondendo alla domanda di Davide: perchè?
Spero almeno di incuriosirvi.
 
Se anche non siete filosofi, ma se le scienze almeno un po' vi interessano, vi ricorderete certamente del circolo di Vienna e del loro fantastico programma riduzionista. I più maliziosi lo riassumerebbero così: un gruppo di signori ottocenteschi accomunati dal desiderio megalomane di ridurre tutto il sapere, tutta la nostra conoscenza, ad un serie di strati di discipline scientifiche, dalla biologia, alla chimica, alla fisica, via via più "profonde", fino a toccare i "fatti" nudi e crudi e verificabili. Eventualmente aiutati dal linguaggio logico matematico, che coi fatti non ha niente a che fare, ma sulla cui verità non si può dubitare. E se qualche affermazione, dopo una debita analisi, presentasse qualche elemento che non fosse riconducibile nè a una verità logica nè ad un'affermazione empirica, sarebbe da considerarsi un'affermazione metafisica priva di contenuto, priva di significato.
Quelli, i maliziosi, usano tali pennellate di ridicolo per dipingere questi, i viennesi, perchè sono convinti che un tale programma non abbia senso, non tanto perchè pretenzioso, ma proprio perchè mal posto. Be', come vedremo, seguendo Quine, ci toccherà dar loro ragione.
Conquistatomi dunque le simpatie dei maliziosi, vorrei però che non cambiassero canale nemmeno gli ingenui — fra cui, sia chiaro, metto in conto anche me stesso.
Il fatto è che i maliziosi tendono a non ricordare qual era il contesto in cui si formò il circolo di Vienna: orde di idealisti tedeschi in preda ai deliri più sfrenati in un'orgia continentale affollata di voluttuosi Spiriti, Io-Puri e Non-Io sempre lì a porre se stessi prima e dopo gli altri. Capite bene che, in queste circostanze, qualche errore veniale da principianti si vorrà pur perdonarlo a chi stava solo cercando di riportare un po' di dignità nella storia del pensiero umano, no?
Ebbene, miei cari compagni d'ingenuità, sappiate che Quine, nonostante quel che ha combinato, non rinnega affatto lo spirito empirista che animava il positivismo logico. Anzi, non è una mia personale opinione che Quine sia approdato alle sue tesi proprio percorrendo fino in fondo la via empirista. E il suo merito è stato quello di non fermarsi di fronte al fragoroso crollo dei principali capisaldi del neopositivismo, ma di rimboccarsi le maniche, fare il conto, pesante, dei danni, e provare ad elaborare una nuova concezione della filosofia che riprendesse il cammino. Nella stessa direzione.