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09 June 2016

Illazioni sul rapporto fra i sessi.

 
Spoiler prima di lasciarvi continuare a leggere inutilmente: il titolo è mero clickbait, il rapporto di cui parlerò è semplicemente quello numerico.
 
Scott Aaronson è sempre fonte di mille spunti interessanti di riflessione.
Anche quando sembra cadere su delle banalità da WTF.
Non fa eccezione questa recensione del libro di Max Tegmark [1], in cui però a un certo punto il nostro mette sullo stesso piano di impressiveness le "predizioni" della Relativà Generale (la precessione di Mercurio) o dell'equazione di Dirac (l'esistenza dell'animateria) con quella "di Darwin" sul rapporto numerico fra i due sessi nelle popolazioni delle varie specie animali.
 
Ora, la questione è la solita: l'insopprimibile e sacrosanto desiderio di avere un criterio di demarcazione, ed in particolare di averne uno semplice. Ahimè l'obiettivo, Quine insegna, è semplicemente irraggiungibile, soprattutto in termini di semplicità.
Ma — certo, certo — sono rassegnato alla marginalità della lezione quineiana nel panorama epistemologico corrente, per cui non mi stupisco più di tanto del fatto che Aaronson proponga la sua personale linea di demarcazione: "connecting elegant math to actual facts of experience".
Quel che mi sorprende è che abbia tentato di farci rientrare la teoria di Darwin, in questo connettere matematica elegante a fatti sperimentali, tramite la questione del rapporto numerico fra i sessi.
 
Il fatto è che la questione del sex ratio in chiave evoluzionistica non rappresenta nulla di neanche lontanamente simile ad un experimentum crucis per la teoria di Darwin.
Innanzitutto la definizione stessa del concetto di rapporto numerico fra i sessi è articolata (ne esistono almeno 4 tipologie diverse); inoltre, sì, si possono trovare dei riferimenti alla questione in scritti originali di Darwin (su questa cosa ci torno in chiusura di post, capirete perché scrivevo "di Darwin" fra virgolette), ma i nomi che più si legano alla questione sono quelli, ben successivi a Darwin, di Ronald Fisher e di W. D. Hamilton, e il tema restò a lungo oggetto di discussioni, analisi e ricerche. Anche dal punto di vista meramente sperimentale, infatti, esistono diverse notevoli eccezioni, molte specie in cui, per ragioni anche diverse, i rapporti numerici fra i sessi si assestano su valori significativamente diversi da quello paritario, in modo transitorio o permanente (specie partenogeniche, oppure con pratiche di accoppiamento diversificate come gli afidi, oppure specie eusociali...).
 
Insomma, nessuno, ed io men che meno, nega l'impressiveness della teoria di Darwin; ma mi sembra davvero difficile, in generale, ricondurla ad una singola questione centrale direttamente collegata ad un dato sperimentalmente; e in particolare mi sembra davvero difficile ricondurla a questa cosa del rapporto numerico fra i sessi di una popolazione, soprattutto alla luce della lezione gouldiana del pollice del panda [2].
 
Come dunque può essergli venuto in mente, ad Aaronson, di annoverare la questione della della sex ratio come emblema della forza sperimentale della teoria di Darwin?
Girovagando in rete sull'argomento, pian piano vado formulando un'ipotesi.
Diciamo pure un'illazione: che anche lui abbia cercato in rete, qualcosa come "main evidence for evolution" o "most important claims of evolution" e abbia trovato le "solite" prove (i reperti fossili, l'anatomia e lo sviluppo embrionale comparati come indicazioni di un antenato comune, la resistenza batterica agli antibiotici, etc, etc...); tra l'altro se avesse cercato qualcosa come "evidence for darwin's evolution" si sarebbe imbattuto addirittura in un prodromo del pollice del panda dello stesso Darwin [3]. Finché, questa è la mia illazione, non ha cercato qualcosa come celebrated argument evolution, e si è ritrovato davanti proprio al principio di Fisher, definito appunto "probably the most celebrated argument in evolutionary biology". Senonché a definirlo così fu, be', A. W. F. Edwards, allievo di quello stesso Fisher del cui principio stava tessendo le lodi — pare che venisse proprio chiamato "Fisher's Edwards".
Sia chiaro, tutto vorrei tranne che sminuire Edwards, il quale non era affatto un allievo sfigato e banale adulatore di Fisher: diventò famoso e rinomato genetista, pioniere insieme a Cavalli-Sforza nell'applicazione delle tecniche statistiche alla ricostruzione degli alberi evolutivi; nonché autore della famosa critica all'articolo di Lewontin sulla divisione dell'umanità in razze.
E del resto anche il suo giudizio sull'importanza del principio di Fisher, lungi da me negarlo, è ben fondato: si trattava di un argomento che mostrava come la selezione naturale, anche agendo a livello di singolo individuo, potesse plasmare una caratteristica di popolazione come il rapporto numerico fra i sessi, che invece sembra ovviamente candidata ad essere controllata da una selezione di gruppo; mostrava che a volte era necessario prendere in considerazione, in un modello evoluzionistico, più di due sole generazioni; si è rivelato essere un esempio ante litteram di quelle che verranno poi chiamate "strategie evolutivamente stabili" (ESS) e che portarono all'applicazione in campo genetico delle tecniche di teoria dei giochi; ha avviato i successivi interessi verso le implicazioni evoluzioniste degli investimenti parentali; etc, etc...
Insomma, si tratta certamente di un'idea estremamente feconda, anche se — ed è questo il mio punto — non propriamente "folgorante" e sperimentalmente "eclatante", come vorrebbe il nostro Aaronson.
Tant'è che, ho scoperto, l'idea di Fisher l'ebbe lo stesso Darwin, che la descrisse nella prima edizione del suo "L'origine dell'uomo", ma che rimosse nella seconda edizione proprio perché, e lo scrisse esplicitamente, si rese conto che la questione era in realtà molto più spinosa di quanto avesse inizialmente pensato.
 
 
 

[1] Il tema del libro di Tegmark è la sua "Mathematical Universe Hypothesis": sembra di essere sul pezzo delle ultime dichiarazioni di Musk sull'universo come simulazione, ma in realtà questo di Aaronson è un vecchio post di più di due anni fa: ci sono arrivato perché sto leggendo il suo (di Aaronson) ultimo (be', nel frattempo è diventato penultimo) post, in cui ripropone in forma scritta (Dio lo benedica!) il suo intervento, in risposta a quello di Penrose, ad un simposio che sarebbe sui fondamenti della fisica, ma in cui in realtà, almeno nel suo intervento e in quello di Penrose, si parla della coscienza. Anche lì mille spunti interessanti di riflessione, ma non ho ancora finito di leggerlo...
 
[2] L'idea che una progettazione improvvisata alla bell'e meglio (come il pollice del panda, che appunto pollice non è, ma un'estensione del sesamoide laterale) sia un argomento di gran lunga più efficace, per il darwinismo, rispetto ad un adattamento perfetto.
 
[3] Le ipotesi di Darwin, nella prima edizione de L'Origine delle specie, sull'origine delle balene, del tutto simile, nello spirito, all'idea del pollice del panda; poi rimossa dalle edizioni successive per via dell'eccessiva derisione che ne ricevette.
 

26 March 2009

Quine - 3

Quine riesce a smontare e ricostruire con parti migliori la nave, rimanendo in mare aperto.
Quine Fact n. 1
 
No, no, purtroppo non entreremo ancora in medias res: questo è semplicemente un altro post con cui, per la gioia di delio, cerco solo di tirarla per le lunghe.
Il fatto è che cercare di spiegare Quine è davvero difficile per una sorta di paradosso di fondo che caratterizza le sue conquiste.
Da una parte, infatti, quella di Quine è una concezione filosofica sistematica, che punta alla costruzione di un grande sistema omnicomprensivo della realtà. Questo è un aspetto che, personalmente, trovo molto seducente perchè, fin "da piccolo", l'ho sempre considerato come il tratto distintivo della filosofia: cercare risposte a singoli problemi è il ruolo che, da quattro secoli a questa parte ormai, si è ritagliato la scienza; ricomporre quelle risposte in un quadro organico e complessivo era sempre stato per me quasi la "definizione" di filosofia e comunque ne costituiva il vero valore aggiunto.
Dall'altra, però, delle tesi di Quine manca una (sua) "esposizione" altrettanto sistematica, organica e strutturata. Man mano che si scopre Quine ci si ritrova con una fitta rete di vere e proprie scoperte che pian piano delineano la trama complessiva in maniera graduale e olistica; e se, alla fine, si prova a fare un po' di ordine mentale (come sto provando a fare in questi giorni), ci si rende conto che non c'è un percorso di costruzione lineare: le sue tesi in qualche modo si implicano l'un l'altra e il suo naturalismo epistemologico è contemporaneamente un metodo e il risultato della sua stessa applcazione.
 
Faccio fatica anche a suggerire una bibliografia, se deve essere introduttiva e divulgativa (soprattutto se mi lascio deprimere dai paragoni con le facili e apparentemente avvincenti divulgazioni di Popper, Kuhn e Lakatos...)
Le opere di Quine sono sempre molto difficili, molto tecniche (non dimentichiamoci che, prima che filosofo, Quine è un logico), spesso prendono di mira un problema particolare (anche se poi i riferimenti e le implicazioni sono vastissime) e certamente sono tutt'altro che divulgative. Anche il già citato Dallo stimolo alla scienza, che dal titolo sembrerebbe proprio un compendio della sua visione epistemologica, è in realtà, sì, proprio un compendio, ovvero un condensato, una densissima ricapitolazione della sua visione che però, in pratica, presuppone già una più che discreta conoscenza dei temi trattati e comunque manca di vere e proprie argomentazioni. E, nonostante le apparenze, non è un libro di divulgazione (si dà per scontata tutta la logica contemporanea e si usa ripetutamente la sua sintassi gergale senza spiegarla o esemplificarla — e che non crediate che io riesca a coglierne tutti i dettagli...!)
Introduzione a Quine
Di opere su Quine ho letto solo la bellissima introduzione della Origgi: anch'essa può considerarsi un compendio delle idee di Quine, con il vantaggio, però, di offrire molte più spiegazioni e argomentazioni. Anche in questo caso è difficile considerarla una leggera lettura da comodino (o forse sì, ma in un altro senso...).
A voler cercare qualcosa di più accessibile (ma forse qui sono falsato dal mio curriculum di studi), si potrebbero leggere i saggi di Bellone, da considerare come altri libri su Quine, almeno indirettamente. Il loro grande vantaggio, dal punto di vista di un avvicinamento a Quine, è quello di non averlo come obiettivo principale, ma di riuscire a "somministrarlo" gradualmente, per osmosi, occupandosi di altro col "metodo" Quine. Questo "altro" è la fisica nel suo sviluppo storico, per questo dicevo che forse il mio giudizio di maggior semplicità di lettura non è valido in generale; ma fra i ventun lettori di questo blog una buona parte sono fisici, per cui il consiglio non è del tutto insensato.
Immagine di Il mondo di carta
Se fossi a digiuno tanto di Quine quanto di Bellone, non partirei con i suoi ultimi libri, come Molte nature o I corpi e le cose, in cui prevale un tentativo di argomentare per vie generali su prospettive ampie. Partirei con i classici (e bellissimi) Il mondo di carta o I nomi del tempo o Spazio e tempo nella nuova scienza o La stella nuova — che belli, questi titoli, non trovate? — (Saggio naturalistico sulla conoscenza credo rientri nella prima cateogira...). Scoprirete, fra l'altro, com'è possibile leggere un libro affascinate e soprattutto profondo, molto profondo, sulla fisica, anche senza tuffarsi negli esoticissimi e coloratissimi mari tropicali della relatività di Einstein o della meccanica quantistica. Devo anche avvertirvi di non aspettarvi i classici libri di storia della fisica, chessò, à la Trent'anni che sconvolsero la fisica (pur bellissimo, non fraintendetemi). Non difficile come lo stesso Quine, ma certamente anche Bellone resta una lettura impegnativa. E se il vostro obiettivo resta Quine, una sola "seduta" di Bellone potrebbe non bastare.
Ma insomma, se belli volete apparire... :)

16 February 2009

Molte nature - 2

Molte nature
In questo libro espongo una rete di collegamenti tra discipline diverse e suggerisco un punto di vista sullo sviluppo della cultura. Discipline diverse, certo: dagli studi sull'origine della scrittura all'esplorazione di ciò che accade nei nostri cervelli e nei nostri organi di senso, dagi sviluppi dell'evoluzionismo all'approccio naturalistico alla filosofia, dalle ricerche sul comportamento degli animali e dei vegetali all'analisi dei generi letterai.
 
Lo sapevo, Bellone non delude.
Se già lo conosci, in questo suo ultimo Molte nature trovi quello che ti aspetti: prosa asciutta ma densissima, quasi borgesiana. I temi trattati questa volta spaziano davvero molto, come avete potuto leggere sopra. La chiave di lettura è sempre quella dell'approccio naturalistico alla conoscenza (leggi: Quine) e il filo conduttore è sempre la storia della scienza. Quella vera, ricostruita con precisione e con un meticoloso riferimento alle fonti originali, capace di rivoltare quasi tutti i luoghi comuni più diffusi e di smontare tutte le facili "teorie sulla scienza" che su di essi si basano.
 
Per salvare Copernico divenne necessario distruggere parti ampie del suo lascito: demolire il principio secondo cui l'universo è formato da sfere corporee, abbandonare la congerie di cicli che permettono di calcolare le posizioni dei pianeti attorno al Sole, costruire una nuova fisica in grado di abbattere i paradossi relativi al moto orbitale della Terra attorno al Sole e al moto rotatorio del nostro pianeta attorno a un asse. Per vie tra loro diverse, il salvataggio si ebbe con Galilei e con Keplero: ma il salvataggio stava trasformando il modello di Copernico in modo radicale, e la trasformazione coinvolgeva sia l'ontologia copernicana, sia i rapporti fra scienza e filosofia, sie le credenze di senso comune. Il cielo diventa un contenitore vuoto dei corpi celesti che si muovono all'interno della sua struttura non corporea ma geometrica, e le orbite dei pianeti devono essere allora governate da forze ancora inesplorate. La metafisica dominante va in frantumi, poichè crollano i pilastri di una filosofia prima i cui seguaci sostengono che nulla di nuovo può apparire nelle scienze poichè la natura stessa ha già parlato con la bocca di Aristotele: e ciò che da quella bocca è uscito ha il plauso della teologia e della politica, nonchè il conforto di molti accademici. E poi, com'è possibile credere nella veridicità del modello di Copernico, quando tutte le esperienze rese possibili dai sensi sono contrarie ai moti di rotazione e di rivoluzione della Terra? Ma il telescopio mostra angoli sperduti del mondo che nessuno aveva mai visto e che sono popolati da numeri immensi di stelle invisibili ad occhio nudo. E attorno a Giove ruotano quattro satelliti, e Saturno ha una forma enigmatica, e Venere ha le fasi come la Luna, e il Sole non è incorruttibile ma è ricoperto da macchie informi e scure. E ancor prima del telescopio, a occhio nudo s'era vista in cielo una nuova stella, e la nuova stella s'era lentamente spenta con il passare dei mesi.

26 December 2008

Molte nature


Enrico Bellone
(foto: liberliber)
Certo che Enrico Bellone scrive proprio a densità nucleare. Nella prefazione al suo ultimo Molte nature, Giulio Giorello cita, di Bellone stesso, questa frase, tratta da Il mondo di carta:
L'oggettività non sta in un determinato metodo, ma nel processo storico per cui i vari metodi e le diverse forme della spiegazione secondo regole sono costretti a variare in funzione delle risposte che la natura offre alle sensate domande.
Chiaro, no?
Be', se avete difficoltà a coglierne il senso, sappiate che lì dentro c'è di tutto: è un densissimo compendio di Quine e del suo olismo della conferma e relatività ontologica; è una risposta definitiva a Popper e al suo problema della demarcazione; e ci sono dentro anche, seppur polverizzati e fatti poltiglia, Kuhn, Lakatos & Co.
Certo, è una frase estrapolata dal contesto. Del resto tutta la prefazione di Giorello è un'accozzaglia di citazioni di Bellone il cui senso è quasi incomprensibile.
Spero — ci conto — che il libro abbia tutt'altro stile.
 
UPDATE: e infatti...