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16 November 2012

   [3] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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(...continua)
§  ...e al positivismo sociologico
Detto questo sul neopositivismo, veniamo finalmente al positivismo sociologico e alle critiche (austriache) ad esso.
Ebbene, le scienze sociali — senza nemmeno prendere in considerazione critiche del primo tipo, à la Hegel — comunque faticano, in generale, a sostenere anche il solo sguardo delle critiche à la Popper. Il loro appello al metodo scientifico e al confronto empirico, per giustificarsi e darsi un tono, sprizza ingenuità da tutti i pori: le usuali crtiche al positivismo fanno le pulci a concetti come experimentum crucis, ripetibilità dell'esperimento, verificabilità/falsificabilità, et cetera, mentre la sociologia pretende la sua aiuola privata nel giardino delle scienze per il mero fatto di usare un linguaggio che può ammantarsi di matematica solo per il riferimento a tecniche di inferenza statistica (spesso, poi, usate in modo troppo semplificato, quando non addirittura errato). Non è nemmeno il caso di addentrarsi in sofisticate argomentazioni epistemologiche per rendersi conto che i caratteri di solidità e rigore solitamente associati all'attributo scientifico non possono essere comprati con semplici correlazioni statistiche, soprattutto se queste sono estratte da una modellizzazione iper-semplificata di un fenomeno complesso in cui le variabili lasciate fuori dal modello hanno altrettanta se non più rilevanza per la fenomenologia reale di quelle incluse.
Orbene, gli austriaci condividono questa diffidenza verso i metodi e i risultati delle scienze sociali, e dell'economia in particolare, arrivando spesso a rifiutare del tutto, a priori, l'utilizzo di metodi quantitativi.
Ma il punto è: con quali argomentazioni?
Qui il panorama si complica, perché le critiche austriache alle analisi quantitative in economia si declinano in modi molto diversi, spesso nemmeno complementari ma apparentemente in reciproca contraddizione.
(continua...)

14 November 2012

   [2] Metodo e spiegazione scientifica: dalla fisica all'evoluzionismo, per l'economia — all'ombra di Quine

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(...continua)
§  Critiche al neopositivismo...
Ma cominciamo ad entrare nel merito della questione, perché è chiaro che nessuno, io per primo, sarebbe disposto a fare propria una prospettiva programmatica come quella positivista, nella sua beata ingenuità, neppure in campo strettamente epistemologico, in cui le ingenuità sono meno pacchiane.
Il punto cruciale, però, che andrà a distinguere posizioni potenzialmente distantissime, sono le ragioni in base alle quali si considera ingenuo l'approccio positivista.
Semplificando, e prendendo come riferimento il dibattito epistemologico, ci sono grossomodo tre diversi modi per farlo.
Il peggiore è quello a cui appiccicherò il nome di Hegel, sia maledetto per sempre: il rifiuto del positivismo per il suo rifiuto della metafisica, nel senso più abominevole del termine di fuffa senza senso.
Poi c'è l'approccio a cui appiccicherò il nome di Popper, che consiste nel fare le pulci a tesi specifiche del positivismo ("falsificazionismo, diamine, non verificazionismo!"), senza tuttavia proporre un reale cambio di prospettiva: quasi tutte le ingenuità del positivismo restano lì e i principali problemi aperti, uno per tutti quello della demarcazione, restano tali.
E infine c'è Quine: il positivismo è letteralmente raso al suolo, nelle tesi specifiche, ma sopravvive nello spirito che l'aveva animato: sopravvive, cioè, il primato della scienza, anche se, per caratterizzarla, non abbiamo più criteri di demarcazione semplici e cruciali, e dobbiamo invece ricorrere a valutazioni generali che, anche per casi specifici, coinvolgono potenzialmente tutta la nostra conoscenza, riferendosi contemporaneamente, e inestricabilmente, tanto al dato empirico quanto al linguaggio teorico, nel loro insieme.
(continua...)

26 March 2009

Quine - 3

Quine riesce a smontare e ricostruire con parti migliori la nave, rimanendo in mare aperto.
Quine Fact n. 1
 
No, no, purtroppo non entreremo ancora in medias res: questo è semplicemente un altro post con cui, per la gioia di delio, cerco solo di tirarla per le lunghe.
Il fatto è che cercare di spiegare Quine è davvero difficile per una sorta di paradosso di fondo che caratterizza le sue conquiste.
Da una parte, infatti, quella di Quine è una concezione filosofica sistematica, che punta alla costruzione di un grande sistema omnicomprensivo della realtà. Questo è un aspetto che, personalmente, trovo molto seducente perchè, fin "da piccolo", l'ho sempre considerato come il tratto distintivo della filosofia: cercare risposte a singoli problemi è il ruolo che, da quattro secoli a questa parte ormai, si è ritagliato la scienza; ricomporre quelle risposte in un quadro organico e complessivo era sempre stato per me quasi la "definizione" di filosofia e comunque ne costituiva il vero valore aggiunto.
Dall'altra, però, delle tesi di Quine manca una (sua) "esposizione" altrettanto sistematica, organica e strutturata. Man mano che si scopre Quine ci si ritrova con una fitta rete di vere e proprie scoperte che pian piano delineano la trama complessiva in maniera graduale e olistica; e se, alla fine, si prova a fare un po' di ordine mentale (come sto provando a fare in questi giorni), ci si rende conto che non c'è un percorso di costruzione lineare: le sue tesi in qualche modo si implicano l'un l'altra e il suo naturalismo epistemologico è contemporaneamente un metodo e il risultato della sua stessa applcazione.
 
Faccio fatica anche a suggerire una bibliografia, se deve essere introduttiva e divulgativa (soprattutto se mi lascio deprimere dai paragoni con le facili e apparentemente avvincenti divulgazioni di Popper, Kuhn e Lakatos...)
Le opere di Quine sono sempre molto difficili, molto tecniche (non dimentichiamoci che, prima che filosofo, Quine è un logico), spesso prendono di mira un problema particolare (anche se poi i riferimenti e le implicazioni sono vastissime) e certamente sono tutt'altro che divulgative. Anche il già citato Dallo stimolo alla scienza, che dal titolo sembrerebbe proprio un compendio della sua visione epistemologica, è in realtà, sì, proprio un compendio, ovvero un condensato, una densissima ricapitolazione della sua visione che però, in pratica, presuppone già una più che discreta conoscenza dei temi trattati e comunque manca di vere e proprie argomentazioni. E, nonostante le apparenze, non è un libro di divulgazione (si dà per scontata tutta la logica contemporanea e si usa ripetutamente la sua sintassi gergale senza spiegarla o esemplificarla — e che non crediate che io riesca a coglierne tutti i dettagli...!)
Introduzione a Quine
Di opere su Quine ho letto solo la bellissima introduzione della Origgi: anch'essa può considerarsi un compendio delle idee di Quine, con il vantaggio, però, di offrire molte più spiegazioni e argomentazioni. Anche in questo caso è difficile considerarla una leggera lettura da comodino (o forse sì, ma in un altro senso...).
A voler cercare qualcosa di più accessibile (ma forse qui sono falsato dal mio curriculum di studi), si potrebbero leggere i saggi di Bellone, da considerare come altri libri su Quine, almeno indirettamente. Il loro grande vantaggio, dal punto di vista di un avvicinamento a Quine, è quello di non averlo come obiettivo principale, ma di riuscire a "somministrarlo" gradualmente, per osmosi, occupandosi di altro col "metodo" Quine. Questo "altro" è la fisica nel suo sviluppo storico, per questo dicevo che forse il mio giudizio di maggior semplicità di lettura non è valido in generale; ma fra i ventun lettori di questo blog una buona parte sono fisici, per cui il consiglio non è del tutto insensato.
Immagine di Il mondo di carta
Se fossi a digiuno tanto di Quine quanto di Bellone, non partirei con i suoi ultimi libri, come Molte nature o I corpi e le cose, in cui prevale un tentativo di argomentare per vie generali su prospettive ampie. Partirei con i classici (e bellissimi) Il mondo di carta o I nomi del tempo o Spazio e tempo nella nuova scienza o La stella nuova — che belli, questi titoli, non trovate? — (Saggio naturalistico sulla conoscenza credo rientri nella prima cateogira...). Scoprirete, fra l'altro, com'è possibile leggere un libro affascinate e soprattutto profondo, molto profondo, sulla fisica, anche senza tuffarsi negli esoticissimi e coloratissimi mari tropicali della relatività di Einstein o della meccanica quantistica. Devo anche avvertirvi di non aspettarvi i classici libri di storia della fisica, chessò, à la Trent'anni che sconvolsero la fisica (pur bellissimo, non fraintendetemi). Non difficile come lo stesso Quine, ma certamente anche Bellone resta una lettura impegnativa. E se il vostro obiettivo resta Quine, una sola "seduta" di Bellone potrebbe non bastare.
Ma insomma, se belli volete apparire... :)

26 January 2009

Quine - 1

Uno dei motivi per cui cito spesso ma non spiego mai Quine è che non è facile condensarlo in poche righe.
In epistemologia, ad esempio, è molto più facile divulgare Kuhn e Lakatos (fai l'esempio della rivoluzione della meccanica quantistica e della relatività, di rottura con la meccanica classica, e il messaggio, in fondo, è passato) o Popper (fai l'esempio dei corvi neri, del singolo corvo bianco, ed è chiaro cosa si intende per "falsificare" e della differenza col "verificare").
Ma prova a riassumere in poche parole e in modo altrettanto icastico come mai è impossibile distinguere le proposizioni analitiche da quelle sintetiche, quali sono le conseguenze dell'indeterminatezza della traduzione, la relatività ontologica...
Esistono, sì, delle immagini vivide del pensiero di Quine, come questa:
La cultura dei nostri padri è una stoffa di enunciati. Nelle nostre mani essa si evolve e muta [...]. È una cultura grigia, nera di fatti e bianca di convenzioni. Ma non ho trovato alcuna ragione sostanziale per concludere che vi siano in essa fili del tutto neri e altri del tutto bianchi.
ma restano parole quasi vuote di significato per chi già non conosce le sue tesi.
Forse la cosa più facile da spiegare è l'olismo della conferma, tant'è che ne esiste una versione "semplificata" che va sotto il nome di Tesi di Duhem-Quine. Chissà, magari partirò proprio da quella.
Purtroppo questa difficoltà a sintetizzare e semplificare Quine ha una conseguenza ben più grave di quella di non poterla spiegare facilmente nelle mie discussioni, ed è che tutti o quasi conoscono le idee di Kuhn e Lakatos e ancor più quelle di Popper, e nessuno o quasi ha mai sentito parlare di Quine. Eppure, dopo aver letto qualcosa di Quine, viene da sorridere a pensare di nuovo a Popper. Non nel senso, sia chiaro, che si sorride pensando a Popper come a uno stupido e al suo falsificazionismo come ad una gran cantonata. Ma certo si sorride pensando allo spessore dell'analisi di Quine in confronto all'ingenuità e alla superficialità del falsificazionismo di Popper, e ancor più ai paradigmi e alle rivoluzioni scientifiche di Kuhn e Lakatos.
Esattamente la stessa sensazione che si prova dopo aver letto Enrico Bellone: si scopre la differenza fra storia e favola della scienza. Da una parte una disciplina affascinante quanto impegnativa, fatta di laboriosa lettura delle fonti originali, tanto delle pubblicazioni ufficiali quanto delle corrispondenze private, della loro contestualizzazione in un quadro concettuale quasi sempre profondamente diverso da quello con cui, oggi, tendiamo a rileggere quelle stesse equazioni e quelle stesse teorie che, al contrario, la favola della scienza ci presenta come una costruzione lineare, magnifica e progressiva, frutto di una serie di colpi di genio (che a posteriori, poi, sembrano sempre delle banali ovvietà) e di experimentum crucis univoci e definitivi.
Sì, dovevo parlare di Quine, non di Bellone. Ma il fatto è che devo proprio a Bellone la scoperta di Quine. E del resto quello della favola della scienza non è solo un paragone distante, visto che, al contrario, molte delle idee alla base delle tesi di Popper, Kuhn e Lakatos sembrano discendere precisamente da questa visione semplificata del modo di procedere della scienza. Gli experimentum crucis capaci di falsificare una teoria in senso popperiano, infatti, sbiadiscono e sfumano di fronte ad un'analisi storica precisa e prendono forma solo a posteriori, in una reinterpretazione semplificata della vicenda, fatta con gli anacronistici occhi di poi.
Credo, per tornare a Quine, che le difficoltà che si trovano a divulgarlo sono davvero quasi tutte dovute a questa sua irriducibile complessità. Una complessità che si evidenzia nel fatto che nelle sue tesi non si può separare l'epistemologia dall'ontologia, dalla gnoseologia, dalla logica, dalla linguistica... La sua è intrinsecamente una "teoria del tutto" e non potrebbe essere che così, visto che "le nostre proposizioni sul mondo esterno si sottopongono al tribunale dell’esperienza sensibile non individualmente ma solo come insieme solidale".
Insomma, Franco, questo lungo post solo per mettere le mani avanti e dire che no, non sarà affatto facile provare a spiegarvi Quine.