Ho finalmente finito di leggere Il gene egoista di Dawkins. Di più, dietro suggerimento di Federico, mi sono anche bevuto il breve libro di Sterelny Kim: Dawkins contro Gould.
Ma non c'è niente da fare, nonostante Kim penda sensibilmente dalla parte di Dawkins, a me continuano a sembrare di gran lunga quelle di Gould, le posizioni le più ragionevoli.
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Intendiamoci, il libro di Dawkins ha dalla sua diversi punti sicuramente positivi. La cosa che mi ha colpito maggiormente, nella parte iniziale del libro, è la sua definizione di gene (che riprende da C. G. Williams). Partendo da una definizione a livello molecolare di selezione naturale come di "sopravvivenza differenziale di entità" — sopravvivenza, è questo il punto, sottoforma di copie — e dando per buona la riproduzione sessuata diploide (con l'abominevole duplicazione dei geni su alleli corrispondenti e crossing-over durante la meiosi che spezza e ricompone la sequenza di basi di ogni cromosoma in frammenti di lunghezza arbitraria), Dawkins propone una definizione intensiva di gene come una qualsiasi porzione di DNA che sia abbastanza piccola da durare per un gran numero di generazioni e da essere distribuita in un gran numero di copie. Una definizione simile, anche se apparentemente vaga, ha il notevole pregio di mettere in evidenza le condizioni minime perchè una porzione di DNA possa essere soggetta al meccanismo di selezione naturale. Sto pensando a tutti quegli studi di bioinformatica e dintorni, che analizzano il codice genetico dal punto di vista della teoria dell'informazione (in termini entropici e statistici) e che possono essere interessati a quella enorme porzione di DNA di ogni organismo che sembra non codificare per nessuna proteina e non avere nemmeno un ruolo attivo nella regolazione genica. In un simile contesto una definizione come quella proposta da Dawkins potrebbe essere molto utile, immagino, perchè tali porzioni di DNA non hanno un fenotipo su cui può esercitarsi una qualche pressione di selezione naturale "tradizionale", basata sull'utilità del fenotipo stesso. Dico "sto pensando" perchè in realtà di questo tipo di studi non si accenna neanche, nel Gene egoista. La ragione più probabile è che al tempo in cui il libro è stato pubblicato (per la prima volta) tali studi non esistevano ancora o quasi; e dunque non se ne può certo fare una colpa a Dawkins. Quel che invece lascia molto perplessi è l'idea che un approccio simile possa essere sufficiente per spiegare l'evoluzione della vita sulla Terra non solo a partire dalle prime molecole replicantisi nel brodo prebiotico primordiale, ma addirittura in tutto il suo ulteriore e complicato svolgimento dietro le doppie mura di una membrana e un nucleo cellulare.
Volendo riassumere in un singolo giudizio, tranchant e semplicistico, le (mie) critiche alle idee di Dawkins, potremmo dire che è ingenuo.
La parte in assoluto più ingenua appare, senza dubbio, quella sulla cosiddetta selezione parentale. La sua teoria potrà anche essere ragionevolmente applicata (e con successo) per spiegare la stranezza del comportamento "sociale" degli insetti a riproduzione aplodiploide (in cui le femmine sono diploidi e i maschi aploidi, e la trasmissione dei dei geni alla generazione successiva avviene attraverso un meccanismo piuttosto complicato...), ma appare troppo semplicistica per essere applicata anche nel caso di specie con socialità molto più complessa come i mammiferi e addirittura alla sociobiologia.
Personalmente avrei da discutere fin dai presupposti teorici alla kin-selection. Non mi è per niente chiaro, infatti, come si risponde all'obiezione che tutti gli organismi appartenenti ad una stessa specie hanno, parenti o meno, oltre il 90% dei geni in comune. In una nota aggiunta ad una ristampa del libro, Dawkins si limita a rimandare ad un suo altro articolo per una risposta a questa obiezione (non poteva almeno accennare all'idea?), limitandosi a dire che i parenti hanno una percentuale di geni in comune oltre alla base comune a tutta la specie. Non capisco però come, seguendo ragionamenti analoghi a quelli di Dawkins, non si possa immaginare un gene che, risiedendo nella parte "comune" del patrimonio genetico di una specie, non fosse stato selezionato per la sua capacità di codificare per un qualche comportamento altruistico nei confronti di un qualsiasi individuo della specie. Ma al di là di questi dettagli che potremmo dire "tecnici", le perplessità fondamentali restano quelle di un meccanismo troppo delicato (la probabilità di far sopravvivere un gene identico presente in un altro organismo imparentato) in un contesto troppo complesso (quello del comportamento sociale di organismi molto evoluti). Di più: tutte le critiche di Gould ai presupposti stessi della sociobiologia, Dawkins o non Dawkins, mi paiono estremamente forti e convincenti, per cui sono portato a un forte scetticismo per tutti i tentativi di spiegare in termini evolutivi semplici dei caratteri molto specifici del comportamento di animali superiori.
Ancor più in generale, quello che mi lascia estremamente scettico sul modo di procedere di Dawkins è questa (non solo sua) tendenza a spiegare un po' tutto sulla base dell'utilità evoluzionistica. Bastano poche letture di Gould per convincersi che le mutazioni geniche non possono produrre qualsiasi cosa e che le infinite potenzialità dell'evoluzione sono letteralmente potate dalle soluzioni adottate contingentemente in una certa fase della storia della vita sulla Terra e che forniscono la base di partenza per ogni sviluppo evolutivo successivo (e allo stesso modo, può non aver sempre senso cercare a tutti i costi di trovare una spiegazione adattiva ad ogni caratteristica di un essere vivente, come, probabilmente, è il caso della mantide religiosa che decapita il suo "sposo" durante l'accoppiamento...). Le possibili forme animali e vegetali teoricamente possibili sono fortemente limitate non solo dai vincoli fisici e strutturali, ma anche e forse soprattutto dai limiti "chimici" dell'esistenza di una mutazione che possa portare a intraprendere una particolare soluzione adattiva (vedi il paradigmatico esempio del pollice del panda). Un altro esempio di questi limiti proveniente da una mia lettura recente (e non si tratta di Gould) è quello della domesticabilità di specie animali e vegetali selvatiche. La lettura, l'avrete subito intuito, è Armi acciaio e malattie [›››] . La domesticazione di una specie vegetale o animale rappresenta una vera e propria speciazione, corrispondente ad una o più mutazioni che corrispondono all'acquisizione di caratteristiche che rendono la specie selvatica adatta alla coltivazione o alla convivenza con l'uomo. Il punto cruciale è che non tutte le specie possono essere domesticate. Ad esempio, quasi tutte le specie di animali africani potenzialmente utili come animali da macello o da forza lavoro non sono stati domesticati perchè, a differenza delle specie della mezzaluna fertile, non esiste una mutazione capace di renderli mansueti, di farli accoppiare in cattività e di farli convivere in branchi ad alta densità abitativa (le stalle negli insediamenti umani). Non sono riusciti nella domesticazione nè gli abitanti indigeni di quei luoghi con la semplice selezione artificiale, nè i moderni etologi armati dei potenti mezzi della biotecnologia. Semplicemente le zebre, i rinoceronti e i leoni della savana non possono essere domesticati. La visione di Dawkins, invece, parte dal presupposto che tutto ciò che è ragionevolmente immaginabile (una zebra docile come un cavallo) può essere realizzato dall'evoluzione e dunque qualsiasi caratteristica di un animale o un vegetale ha una specifica ragion d'essere in termini di utilità e vantaggio per l'individuo (o per il gene, secondo Dawkins). Partire con quest'idea, dunque, colora di ingenuità qualsiasi ulteriore ragionamento. E di fronte a questa ingenuità, anche obiezioni tecniche (come quella di un patrimonio genetico largamente condiviso anche da specie molto diverse) appaiono come le meno rilevanti. Persino obiezioni e dubbi sulla nascita del presupposto tecnico basilare per la teoria di Dawkins, la riproduzione sessuata diploide, che resta senza risposta (almeno nei semplicistici termini di Dawkins).
Per par conditio, concluderò citando comunque un altro paio di cose che ho trovato molto interessanti del Gene egoista, e che spiccano sulla generale atmosfera di ingenutià che si respira per il libro. Una è l'idea del fenotipo esteso. Per quanto possa non avere grandi conseguenze pratiche, trovo del tutto ragionevole considerare concettualmente come elementi codificati dai geni anche dei tratti esterni all'organismo come le case dei tricotteri o le dighe dei castori. L'altra cosa interessante è la spiegazione in termini di teoria dei giochi e di strategie evolutivamente stabili di alcuni comportamenti sociali elementari (e sottolineo elementari) che pur essendo all'apparenza altruistici, sono in realtà il risultato di una selezione "egoistica" sulla base del bene del singolo individuo. Si noti, comunque, che si tratta di un comportamento di gruppo che non ha basi parentali e che vede comunque nell'organismo, e non nel singolo gene, l'unità di base per la selezione.
PS
Merita un poscritto anche la contrapposizione fra Dawkins e Gould su un piano diverso da quello strettamente evoluzionistico, ovvero su quello della concezione della scienza. Sterelny Kim include anche questi temi nella contrapposizione fra i due scienziati, ma io considero questo un argomento completamente a sé stante. La posizione di Dawkins, su questi temi, è in gran parte completamente condivisibile e, al contrario, le ultime prese di posizione di Gould, soprattutto nei confronti della religione, compendiate nel suo ultimo libro (che però non ho letto), mi trovano tendenzialmente in forte disaccordo. Tuttavia, di nuovo, anche sulla questione della natura della scienza e del metodo scientifico, le posizioni di Dawkins tendono spesso ad essere troppo semplicistiche e non posso che trovare sacrosante le obiezioni che Gould solleva a queste sue ingenità, sia sottolineando l'ineluttabile storicità del processo scientifico (soprattutto perchè quello di Gould è un relativismo scientifico, non un relativismo tout court), quanto e soprattutto argomentando contro i tentativi di ammantare di rigore scientifico i metodi e i risultati della sociobiologia.
40 comments:
Io ancora non riesco a prendere posizione, tra J.G. e D.
La trilogia di Diamond è estremamente interessante. Ma anche qui, come è normale, diverse sono le critiche che vengono mosse, sia alla sua metodologia che alle sue conclusioni.
cos'è che non ti piace delle posizioni di gould su scienza e religione?
io di lui ho letto solo "nonoverlapping magisteria" e condivido ogni singola parola.
c'è da dire che sono credente, e forse questo mi predispone bene verso di lui.
Intendi questo? Lo leggero', ma gia' il sottotitolo
"Science and religion are not in conflict, for their teachings occupy distinctly different domains."
mi fa storcere il naso...
intendo esattamente quello; ti consiglio di dargli uno sguardo col "naso dritto", a me è piaciuto molto.
e se dovessi schierarmi con qualcuno fra dawkins e gould, beh, il primo è veramente infantile...
Ok, ok, cercherò di non avere pregiudizi. Ti faccio sapere.
Io trovo che Dawkins sia un po' troppo innamorato della propria intelligenza, cosa che spesso lo porta a cercare la polemica per potercisi specchiare compiaciuto, e ad assumere posizioni del tipo "è così e basta, e chi non è d'accordo è un'idiota". Gould mi è sempre sembrato più genuinamente "laico", nel senso di aperto alla discussione non dogmatica. Comunque non sono un esperto di evoluzionismo e di genetica, quindi il mio parere lascia il tempo che trova. Di certo, quando Dawkins parla di cose su cui non è ferrato (come tutto il discorso cosmologico sul principio antropico in "The God delusion") prende belle cantonate, ma le presenta come verità indiscutibili.
Non potendo aggiungere nulla alla discussione, che travalica le mie conoscenze, mi limito a riportare che non mi e' riuscito di leggere la ipotattica prosa di Enzino, nel formato proposto dal suo blog.
Sono analogico e non mi riesce di leggere molto sul monitor, ma questo post mi si e' presentato come invalicabile. Pertanto ho dovuto mettere tutto il testo su un file di tex e produrre un articolo ben impaginato e leggibile.
Copia-e-incolla su un file di OpenOffice Word Processor ti avrebbe risparmiato la fatica di tradurre le lettere accentate in codice LaTeX... :)
Ciao Hronir, son venuta a cavarti un dubbio. Dici: "Non mi è per niente chiaro, infatti, come si risponde all'obiezione che tutti gli organismi appartenenti ad una stessa specie hanno, parenti o meno, oltre il 90% dei geni in comune".
La risposta è che il coefficiente di parentela (hai presente, 50% per genitori e figli, 25% per nonni e nipoti etc.) fa riferimento alla percentuale di geni uguali "by descent", ovvero ereditati dalla generazione precedente. In individui non imparentati, i geni comuni non sono identici "per discendenza". In individui non imparentati, la percentuale di geni identici per discendenza è zero.
Quasi interessante. Peccato che poi andate a ficcarvi in giudizi che "giustificate" in quanto credenti. Perchè giustificarsi? Suppongo sia più utile motivare e verificare che "addurre sensazioni e preferenze". Trovo infine divertente definire ingenuo Dawkins.
Saluti a tutti
per essere precisi, ho definito dawkins "infantile", e non "ingenuo".
poi, non mi sono giustificato per nulla: dato che non sono una macchina per pensare ho tentato di rendere conto di eventuali bias nella mia maniera di ragionare.
purtroppo di dawkins ho letto solo una breve intervista e qualche spezzone. mi è sembrato infantile e ho deciso di non leggerlo più a fondo. per cui non mi sento autorizzato a motivare alcun che o ad affermare di aver verificato.
L'obiezione è, benchè corretta da parte di Laplaciano, ancora più divertente. Viene ancora superata dalla locuzione "macchina per pensare" che mi stimola nuove ricerche. Mi sai dire da quale contensto l'hai estrapolata? Spero che comunque, sempre in amicizia e semza polemica, possa dirmi se "l'essere umano" è da te giudicato se non una macchina comunque qualcosa SU CUI pensare e non banalmente applicare etichette non verificabili. Mi permetto, spero sempre tu non ti offenda, di suggerirti di approfondire la lettura di Dawkins, alcuni suoi testi, certamente non infantili, ma nemmeno troppo ostici, potrebbero essere "illuminanti" tipo "alla conquista del monte improbabile" o "l'orologiaio cieco". Qualora tu possieda già delle conoscenze scientifiche o interesse sulla biologia, ti raccomanderei il superlativo "I racconti dell'antenato". Se invece sei interessato più ad aspetti "didattici" ti raccomanderei l'ultimo capitolo de "il cappellano del diavolo" , lettera alla figlia su quali siano le cose a cui è meglio non credere e perchè. Proprio perchè ritengo che tu possa trarne vantaggio ti invito a tali letture per evitare che come altri (molto titolati e che trovano spazi altisonanti su riviste culturali di alta diffusione) ti debba trovare a emettere valutazioni che non sono sostenibili nei confronti di chi da qualche annetto (purtoppo passano anche per me) si diletta di questi argomenti.
Cari saluti a tutti.
giusto per rimanere nel mio off-topic, l'utilizzo del TeX permette di ottenere un file ben impaginato, l'utilizzo di un word processor no, a meno di gran lavorazioni.
Allora, allora, allora... andiamo con ordine:
Paola, dare un nome alle cose non sempre significa averle comprese. Il dubbio da cavare non è dare una definizione da cui tirar fuori precisamente i coefficienti di parentela, il punto è capire se quei numeri hanno senso. Allora non serve a niente spiegarmi che quel 90+% di geni in comune fra individui non imparentati non sono identici "per discendenza", bisognerebbe spiegarmi in cosa consiste questa differenza. Sono geni "meno uguali"? In che termini, precisamente? E se invece sono "uguali" come gli altri, perchè mai solo quelli "per discendenza" sono in grado di innescare meccanismi di selezione naturale? Il dubbio vero, che sì ti sarei grato se mi fugassi, è alla riga seguente del mio post: seguendo ragionamenti analoghi a quelli di Dawkins, perchè non si può immaginare un gene che, risiedendo nella parte "comune non-per-discendenza" del patrimonio genetico di una specie, non sia stato selezionato per la sua capacità di codificare per un qualche comportamento altruistico nei confronti di un qualsiasi individuo della specie, e non solo dei suoi parenti più prossimi?
Lap(l)aciano, forse Riccardo si riferiva al mio, di ingenuo.
Riccardo, purtroppo nella vita non si può fare tutto — scegliere significa rinunciare! — e dunque capisco bene Lap(l)aciano che, non avendo avuto impressioni del tutto positive da quel che ha letto di Dawkins, non si è preso la briga di approfondire. A me capita molto spesso, non è che possiamo andar dietro a tutto quel che non ci piace per essere davvero sicuri del perchè non ci piaccia...
Se vuoi davvero invogliare Lap(l)aciano e me a leggere ancora di Dawkins non dovresti limitarti a dire "voi non ne sapete abbastanza, ascoltate me che da anni mi occupo di questi argomenti!", perchè, credo, gente come noi — me, te, Lap(l)aciano — del principio di autorità non sa proprio che farsene. Dovresti almeno provare a spiegare perchè le sensazioni di ingenuità che abbiamo avvertito sarebbero errate.
Per quanto mi riguarda, ho cercato comunque di approfondire Dawkins e di argomentare le mie perplessità. Giusto per cominciare, ad esempio, potresti aiutare Paola a chiarirmi le idee sulla questione dei geni "per discendenza"...
Quanto al mio giudizio di ingenutià, non capisco perchè abbia destato in te così tanta ilarità. E' evidente che non intendevo dare a Dawkins dell'ignorante, per giunta in materie che non sono le mie. Il senso — credevo fosse chiaro — era che le sue congetture mi sembrano un po' semplicistiche rispetto a quella che, forte delle letture di Gauld, mi sembra la reale complessità del problema. Un giudizio che non ha niente di denigratorio per la persona di Dawkins e che invece si colloca squisitamente nel merito della sua teoria.
edo, sono anch'io un fan del TeX, solo che per lo scopo contingente di poter stampare un mio sproloquio senza troppe pretese di impaginazione... openoffice poteva essere la soluzione più rapida :)
Per "abitudine" accetto sempre qualsiasi critica e cerco di solito di non replicare. L'unica cosa che mi preme di sottolineare è che, qualora nella sintassi frettolosa abbia dato adito ad un frainteso, me ne dolgo. Proprio nel già da me citato ultimo capitolo de "il cappellano del diavolo" è criticato il principio di autorità che non me se ne voglia non avevo assolutamente intenzione di usare, anzi il mio inciso era sul fatto che le frequentazioni con certo materiale già dagli anni 80 mi hanno fatto venire alla mente che non sono certo un giovanissimo. Questo non significa, almeno per me, usarlo come leva, ma soltanto mettere in guardia chi "con veloci letture" si arroghi dei diritti che io non farei mai miei. Non ho insegnato nulla, ne vantato capacità evangeliche, soltanto la vecchia frequentazione mi ha ormai immunizzato da quelli obiezioni che ho appreso da persono ben più abili di me a scartare nella mia personale ricerca della verità. Mi complimento sempre con chi rifiuta il principio di autorità e se anche tu lo rifiuti accetta i miei sinceri auguri, invecchiando il rischio che ti si ritorca contro cresce esponenzialmente. I miei figli sono ancora troppo piccoli per parlare oggi di scontro generazionale, ma sarà bene che mi abitui. Mi piace girare per i siti o leggere articoli di persone che hanno una visione persino antitetica alla mia. Resto talvolta affascinato e sono disponibile al confronto quando trovo affermazioni che stimolino la mia attenzione, anche se non dotate di tutto il contorno scientifico necessario. Ho risposto alla precedente perchè volevo evitare che le mie osservazioni passassero per tentativi di rissa e spero che anche questo mia intervento sia accettato come costruttivo. Amo la satira ed il contraddittorio.
Chi volesse saperne di più dovrebbe essere in grado di trovare il mio blog che non citerò in quanto non mi sembra corretto fare pubblicità in questo modo.
Saluti a tutti
Peccato.
Peccato tu non sia entrato nel merito delle questioni perchè, visto che sembra che tu le abbia approfondite, mi interessava molto un tuo commento. Davvero non si riesce in poche righe a spiegare nemmeno la quesione della kin-selection che non mi torna?
("per chi volesse saperne di più..." se il tuo blog è quello del profilo di blogger, ho trovato post che citano Dawkins, ma non lo spiegano...)
Ovviamente il "chi volesse saperne di più" era riferito all'amore per la satira ed il contraddittorio. Non sono un biologo nè un genetista e mai mi azzarderei a "spiegare" Dawkins. Per quanto riguarda la questione da te enunciata, anche se i miei trascorsi con il gene egoista sono un po' vecchiotti, credo che se il tuo interesse è davvero di comprendere meglio il meccanismo di selezione e erediatarietà dei geni (o in questo caso forse sarebbe opportuno parlare di alleli) il mio consiglio non può essere diverso dal frequentare il meraviglioso libro di Matt Ridley il cui titolo in italiano è "il gene agile". Mi azzardo, fuori dal mio costume, oltre a suggerirti di rileggere attentamente la risposta della bravissima Paola Bressan, del cui sito sono un accanito fan, a farti presente che per animali come l'uomo il patrimonio genetico consta di modalità costruttive che possono essere trasmesse di generazione in generazione intrecciandosi necessariamente con quelli del partner che a sua volta non viene dalla luna ma che ha un patrimonio genetico che ha avuto poche decine di migliaia di anni per modificarsi da quello dell'altro (concetto simile a quello di "Eva mitocondriale). Se tu riuscissi a riprodurti con un altro essere umano la cui distanza genetica fosse maggiore del 90% (e così al volo mi beccherò un sacco di strali per la esemplificazione da fantabiologia) vorrebbe dire che la nostra specie sarebbe "costante" da un periodo maggiore invece di essere passata per un imbuto genetico da "poco tempo". Temo che il problema che hai enunciato potrebbe essere semplicemente malposto. La percentuale di "geni" in comune con gli altri primati è dell'ordine da te citato. Mi sovviene, ma è da verificare, che potrebbe trattarsi in "il gene egoista" di un concetto "anti-razzista" che esemplificava la stretta discendenza comune.
Cercherò di ritirare fuori il libro, ma non credo che possa aiutarti di più in tempi brevi.
Cari saluti a tutti
Avevo già letto con attenzione il commento di Paola e le ho già risposto. Al contrario, leggendo il tuo tentativo di spiegazione, mi pare sia tu a non aver colto il punto della questione: il mio problema non e' ammettere che abbiamo il 90 e più percento di patrimonio genetico in comune con specie affini (e dunque a maggior ragione con individui della nostra stessa specie anche se non imparentati). Il problema è che, stante questo dato di fatto, non vedo su che basi possano reggersi le argomentazioni di Dawkins sulla kin-selection che invece prediligono esclusivamente il rapporto di parentela. Non credo che il problema che ho enunciato sia mal posto per il semplice fatto che Dawkins stesso riprende la questione, anche se rimanda per una risposta ad un suo altro saggio (come già commentavo nel mio post). Forse non hai approfondito la questione come avevo creduto.
Ti invito a leggere con più attenzione, la prossima volta, per evitare che come altri (molto titolati e che trovano spazi altisonanti su riviste culturali di alta diffusione) ti debba trovare a emettere valutazioni che non sono sostenibili nemmeno nei confronti di chi è da pochissimo che si diletta di questi argomenti — scusa, ma non ho resistito :)
Come già detto, adoro la satira e anche quando mi viene "rigettata" addosso la apprezzo comunque. Nessun problema ad ammettere i miei errori lì ove ci siano e se hai frainteso le mie competenze ti deludero maggiormente aggiungendo che oltre a non essere un biologo ne un genetista sono soltanto in ingegnere elettronico che segue molti campi del sapere con pura passione dilettantesca e che per costruzione mentale non emette mai valutazioni; spesso, come tu spesso hai notato, neanche dopo "attenta" lettura. Non ricordo, come già detto, i dettagli della kin-selection. Ti sarei grato se risparmiandomi un po' di tempo mi dicessi a quale "altro saggio" rinviava Dawkins. Saluti
Purtroppo non ho il libro sottomano (e non riuscirò a recuperarlo prima di una settimana...).
Cmq, se può aiutarti, cerca ne "il gene egoista" la parte in cui comincia ad affrontare la kin selection e "definisce" le percentuali di geni comuni con i vari gradi di parentela. Da quelle parti dovrebbe esserci una nota a fine libro in cui, appunto, discute questo tipo di obiezioni. Alla fine di quella nota commenta di aver risposto compiutamente alla questione... nel saggio che non ricordo.
Ciao!
Il libro (nella prima e, suppongo, unica versione tradotta) io l'ho comprato una vita fa. Lo cercherò appena possibile e spero domani di poterti far sapere qualcosa. Ciao
Ciao ragazzi, scusate l'assenza. Hronir, hai chiesto "perché non si può immaginare un gene che, risiedendo nella parte 'comune non-per-discendenza' del patrimonio genetico di una specie, sia stato selezionato per la sua capacità di codificare un comportamento altruistico nei confronti di un qualsiasi individuo della specie, e non solo dei suoi parenti più prossimi".
È un'ottima domanda! Provo a rispondere.
Supponiamo che appaia per la prima volta, diciamo per una mutazione, un gene che codifica l'altruismo universale (=aiuta chiunque). Mettiamo che il portatore lo trasmetta ai figli, e questi lo trasmettano a loro volta ai discendenti diretti. Se tu, figlio o nipote del portatore, grazie a questo gene (=aiuta chiunque) ti sacrifichi per salvare la vita a una persona qualsiasi, il gene morirà con te. Solo se tu salvi la vita a un parente stretto, il gene ha qualche probabilità di trovarsi in quella persona e quindi di sopravvivere a motivo del tuo gesto. Insomma, l'idea di base è che i parenti stretti del portatore di un gene hanno più probabilità di contenerne una copia dei non-parenti. Un gene dell'altruismo può sopravvivere e diffondersi solo se codifica l'altruismo verso i parenti! Il gene dell'altruismo universale, purtroppo, viene eliminato alla prima generazione.
Supponiamo ora, per metterci in una situazione logica ancora più sfavorevole, che per un miracolo tutti abbiano già il gene dell'altruismo universale. In questo caso, chi, per una mutazione, non ha il gene dell'altruismo universale (ed è invece egoista) avrà gli stessi benefici degli altri senza pagare alcun costo. Infatti questi tizi vengono aiutati dagli altri (ricorda che il gene prescrive di aiutare chiunque) ma non li aiutano a loro volta. Puoi ben capire che questi geni egoistici aumenteranno la loro frequenza fino a far fuori quelli altruistici. Se invece il gene dell'altruismo è del tipo "aiuta i parenti stretti", gli altruisti avranno più probabilità di ricevere aiuto (dai loro parenti altruisti) degli egoisti (che hanno parenti egoisti).
In conclusione, il gene dell'altruismo si può diffondere nella popolazione solo a condizione di essere un gene del tipo "aiuta i parenti stretti". Più stretto è un parente, più lo aiuterai: tuo figlio viene prima del figlio di tuo fratello, il figlio di tuo fratello viene prima di un tizio qualsiasi che passa per la strada, un tizio qualsiasi che passa per la strada viene prima di uno scimpanzè, uno scimpanzè viene prima di una zanzara. E' esattamente quello che succede, come prevede la teoria, e lo sappiamo non solo dall'osservazione diretta dei nostri simili, ma anche da numerosi esperimenti controllati.
Sono riuscita a rispondere?
Rieccomi anch'io!
Sì, la tua risposta chiarisce un po' la faccenda: più che di percentuale di geni in comune fra parenti, bisognerebbe parlare dunque di probabilità che un particolare gene "nuovo" sia presente nella discendenza.
Quindi, mi vien da pensare, il ragionamento si applica solo ad un gene "nuovo" nato per mutazione. Una volta che un tale ipotetico gene si diffonda nella popolazione, però, le probabilità che si trovi anche in individui non imparentati comincia a crescere sensibilmente, soprattutto in caso di popolazioni non troppo numerose.
Ma insomma, al di là dei dettagli specifici, continuo a pensare che siano ragionamenti troppo semplicistici e stilizzati. Può una mutazione produrre un gene capace di codificare per un riconoscimento specifico del grado di parentela e contemporaneamente per un comportamento altruistico nei loro confronti? Certo, molti meccanismi di riconoscimento possono essere gia' disponibili (riconoscimento di individui specifici, riconoscimento basato sui luoghi...), ma mettendo sul piatto delle precise probabilità per grado parentale si sta pretendendo l'evoluzione di meccanismi molto precisi e sottili per la determinazione del grado di altruismo da praticare, a fronte di meccanismi di riconoscimento che non possono che essere sfumati e generici. A meno che la nostra fortunata mutazione non codifici anche, come sua terza magica proprieta', per un qualche fenotipo caratteristico capace di rendere il riconoscimento piu' preciso, la famosa barba verde. Ma a quel punto, com'è stato analizzato, il caso della barba verde darebbe luogo a delle dinamiche evolutive significativamente diverse da quelle che dovrebbero spiegare la kin selection...
Ripeto: meccanismi così "semplici" possono essere sufficienti a spiegare alcuni comportamenti di specie dalla socialità "semplice" e con connotazioni di parentela del tutto peculiari e particolarmente accentuate, come gli insetti aplodiploidi. Spingersi oltre mi sembra un eccesso di riduzionismo (e lo dico da riduzionista convinto, generalmente parlando).
Salve a tutti. Senza pretesa di correggere le affermazioni di chiunque, vorrei semplificare un concetto, ovvero "il rendersi conto". Il vocabolario intenzionale usato da Dawkins (ma anche da Dennett ed altri) l'ho sempre ritenuto un'arma a doppio taglio. Rimane applicabile finchè siano comunemente condiviso. Dawkins in "il gene egoista" che ho ripreso in mano dopo più di un lustro, scrive che è sempre possibile riportare i concetti ad un linguaggio non equivoco, ma poi questa fatica la compie veramente di rado. In particolare il "rendersi conto" è un effetto non una intenzione, ovvero non è che il "fenotipo esteso" debba davvero "essere cosciente" di qualcosa, ma quello che è necessario affinchè il risultato sia raggiunto è che ciò accada. Dennett, a mio modo di vedere, è un po' più esplicito in proposito e per questo motivo ritengo che i loro lavori si compensino e completino a vicenda. Sto iniziando a valutare anche Hitchens che da un altro punto di vista potrebbe essere un ulteriore complemento. Cari Saluti. P.S. ho trovato la nota a cui facevi riferimento, il saggio non mi risulta sia stato pubblicato in Italiano almeno a se stante, cercherò di capire se in versione integrale o rielaborata è inserito in qualche volume (candidato n°1 "il cappellano del Diavolo", ma il volume non l'ho più e mi recerò presto nella fantastica nuova bibiloteca del mio comune per consultarlo e farti sapere.
Cappero, il commento che avevo scritto è andato perduto, malefico Blogger. Riscrivo più brevemente.
Hronir: no, non è affatto necessario presupporre "l'evoluzione di meccanismi molto precisi e sottili per la determinazione del grado di altruismo da praticare". Si tratta in realtà di meccanismi grossolani, basati in parte su processi simili all'imprinting. Classifichiamo come parenti le facce che abbiamo visto da piccoli, mica facciamo il test del DNA. E' questo tipo di criterio di parentela che i geni codificano, e non solo nella nostra specie. Per esempio, se tu vieni allevato assieme a una bambina che non è tua parente e lo sai da sempre (potrebbe essere anche di una diversa etnia), in età adulta le tue reazioni automatiche nei suoi confronti saranno quelle che si hanno verso una sorella, incluso l'evitamento sessuale. Di solito si viene allevati assieme ai parenti stretti (e questo era vero anche nel corso dell'evoluzione), per cui, probabilisticamente parlando, l'altruismo verso le persone con cui sei cresciuto si traduce in altruismo verso coloro che hanno maggiori probabilità di condividere il tuo stesso gene dell'altruismo. Insomma, quell'altruismo lì viene "premiato" più dell'altruismo verso gli estranei, che ci piaccia o no.
Riccardo, non prenderti troppo disturbo per me: la rispsta di Paola è abbastanza chiara sulla questione delle percentuali nella kin-slection...
Paola, io mi riferivo proprio a quei meccanismi grossolani che citi. Intendevo appunto dire che, essendo meccanismi grossolani, non possono distinguere un fratello da un cugino (distinguono al massimo un "familiare" da un estraneo), mentre le percentuali che vengono tirate in ballo in kin-selection sembrano presupporre meccanismi sottili ("Per un solo fratello no, ma per due sì, oppure per otto cugini...").
Ma a questo punto, per scenari come quelli che delinei (il riconoscimento dei parenti stretti per co-abitazione e una tendenza all'altruismo privilegiatamente verso questi), come possiamo capire se si tratta davvero di kin-selection alla Dawkins (con predizioni piuttosto precise basate sulle famose percentuali) piuttosto che semplici adattamenti sociali evolutisi con meccanismi del tutto generici come le cooperazioni fra i branchi et cetera? Questo è proprio quello che intendo quando dico che spesso le idee di Dawkins sono ingenue: il comportamento sociale degli animali ha così tanti fattori in gioco e così fittamente intrecciati fra loro che non può che apparire ingenuo pensare di giustificarlo con meccanismi semplici e lineari.
Prego a posto così.
Solo una curiosità all'inizio della mia copia trovo un espressione che reputo sia un orrendo errore di traduzione, nel testo si parla di "conflitto" tra natura e nutrimento. Avete una copia originale o una traduzione successiva per confermarmi che si tratti di natura e cultura?
Ciao
Hronir, come sarebbe a dire "essendo meccanismi grossolani, non possono distinguere un fratello da un cugino"? Tu sei forse cresciuto assieme a tuo cugino, nella stessa casa e allattati dalla stessa madre, come foste fratelli? Solo in questo caso il suddetto meccanismo grossolano non sarà in grado di distinguere un fratello da un cugino.
Quanto alla famosa frase di Haldane era una battuta, mica lui intendeva dire che uno prima di buttarsi in mare a salvare il parentado fa il conto della probabilità che condividano geni... Era un'illustrazione colorita di un principio.
Le "predizioni piuttosto precise" di cui parli sono l'effetto della legge della probabilità. Koestler faceva l'esempio che il numero di morti ammazzati da un calcio di cavallo (o qualcosa del genere) è praticamente stabile negli anni, anche se ci sono certamente molti fattori in gioco fittamente intrecciati ed ogni singolo caso è del tutto imprevedibile. Non per questo ne concludiamo che i cavalli devono tener conto dell'andamento dei calci in modo da potersi regolare. ;-)
Paola, io non sono cresciuto insieme a mio cugino, non nella stessa casa, non allattato dalla stessa madre. Esattamente come non sono cresciuto insieme a tutti i miei parenti più lontani e ai miei non-parenti. Esattamente per questo, dunque, il meccanismo è grossolano al punto da riconoscere solo genitore e fratelli/sorelle, non il resto dei gradi di parentela.
La distinzione che sottolineo fra meccanismi grossolani ed effetti precisi è dovuta al fatto che nella socialità animale entrano in gioco mille fattori diversi e per spiegare un "meccanismo preciso" non basta una qualche correlazione statistica come quella dei morti per zoccolate di cavallo. Che, come sottolinei, è una correlazione che può essere anche molto precisa eppure completamente priva di qualunque nesso causale. E tuttavia nemmeno una tale correlazione (grado-di-altruismo/grado-di-parentela) è stata mai "misurata"...
I fattori che contribuiscono a determinare un comportamento sociale "speciale" verso i genitori e i fratelli/sorelle sono miriadi. Dall'allattamento, alla condivisione dell'infanzia, dalla convivenza prolungata, alla condivisione del cibo et cetera. Molti di questi elementi sono comuni ad altri tipi di relazioni sociali non-parentali, tipiche di specie che vivono in branco o in specie (come quelle umane primitive) che vivono in gruppi, bande, tribù, villaggi... e tuttavia questi elementi non sono minimamente correlati con il grado di parentela. Comportamenti di cooperazione e "altruismo" si sviluppano a differenti livelli e in diversi gradi con meccanismi molto complessi. Per esempio la cooperazione durante le guerre fra bande rivali per il controllo del territorio e/o delle risorse può arrivare a soluzioni estreme (come morire per il bene del villaggio) molto più forti di quelle che Dawkins stesso ammetterebbe come "razionale sacrificio da gene egoista" per un propio fratello (figuriamoci per un parente lontano o un semplice "membro della tribù"). Ora, in situazioni estremamente complesse come il comprtamento sociale di specie evolute, esporre con dovizia di particolari un meccanismo basato sulla quantità di geni condivisi da individui imparentati significa credere in un "meccanismo chirurgico" in contrapposizione a uno zibaldone di istinti, condizionamenti sociali e anche condizionamenti genetici che si intrecciano in maniera diversa e con pesi diversi non solo tra una specie e un'altra ma addirittura tra una gruppi sociali diversi di una stessa specie.
Sempre più bello.
Leggo quasi ogni giorno la disputa tra Paola e hronin e il mio "divertimento" cresce. Sia detto in maniera assolutamente rispettosa. Il dualismo implicito di hronin si scontra con il materialismo di Paola, così come nei secoli recenti tra anche i più illustri pensatori. Nel mio piccolo ricordo la "discussione" con un carissimo amico riguardo la parte "finale" del mio libro preferito "GEB" di Hosfdatter. Una macchina non può fare qualcosa come lo fanno gli uomini perchè quello che fannogli uomini non è "riproducibile". Mi asterrò dal presentare le risposte che sono state fornite dai pensatori originali (DDD & H) alle cui opere riinvio gli interessati. Vi prego di continuare affichè le idee non muoiano mai. Per Paola, oggi comincerò la lettura del tuo libro, ma già l'introduzione posso dire mi ha conquistato. Hronin complimenti per il tuo blog che ritengo tra i più coinvolgenti che mi è capitato di frequentare. Saluti carissimi a tutti.
Non vedo alcun dualismo implicito nelle mie considerazioni e del resto mi considero un materialista piuttosto convinto...
Se è implicito è ovvio che ti sia meno evidente, ma già il fatto che ti autodefinisca "piuttosto convinto" mi lascia ben sperare... sia detto con fraterna simpatia.
P.S.: Qualora ti senta in desiderio di rispondere, sarei lieto di leggere la tua idea di cosa "serva" affinchè ciò che definisci come riconoscimento dei parenti possa avvenire. In caso contrario non ti preoccupare e non ti sentire "solo". Anche i materialisti più puri hanno sempre un angolino dualistico in fondo al "cuore". Carissimi saluti
Ragazzi! Mi è piaciuto tanto sentire che Riccardo si sta divertendo, ed eccomi qua a soffiare sul fuoco, da materialista convinta a materialista "piuttosto convinto".
Hronir: devo contraddirti su tutta la linea. Perdonami.
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H - "E tuttavia nemmeno una tale correlazione (grado-di-altruismo/grado-di-parentela) è stata mai "misurata"..."
PB - Certo che è stata misurata, e ripetutamente, con risultati concordi. La letteratura sia psicologica che antropologica su questo tema è abbondante, riferimenti su richiesta. Il risultato è che, in tutte le culture prese in esame, l'altruismo, sia ipotetico (che cosa faresti se...) sia reale (che cosa fai di solito, che cosa hai fatto finora...), misurato sia sperimentalmente sia sul campo, dipende per l'appunto dal grado di parentela. Ovviamente parliamo di differenze sostanziali, cioè 100% (gemelli monozigoti) vs 50% vs 25% vs 0% di geni condivisi per discendenza, mica parliamo della differenza fra terzi e quarti cugini, che è teoricamente irrilevante.
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H - "I fattori che contribuiscono a determinare un comportamento sociale "speciale" verso i genitori e i fratelli/sorelle sono miriadi."
PB - No, non sono miriadi, sono due. Nella nostra specie un individuo viene identificato come "fratello", indipendentemente dal fatto che lo sia o meno, sulla base di due criteri. Il primo è l'associazione neonatale con la madre del soggetto. Se tu vedi tua madre interagire strettamente e giornalmente con un neonato, classifichi automaticamente il neonato come "fratello". Questo criterio è potentissimo, ma funziona ovviamente solo nei confronti dei fratelli minori. Il secondo criterio è la durata della co-residenza. Se sei cresciuto assieme a un altro individuo, lo tratti come "fratello" in misura dipendente dal numero di anni passati assieme, nella stessa famiglia. Questo criterio viene usato dai fratelli minori per identificare i maggiori.
La massa di dati a favore di questa interpretazione è imponente, e le predizioni numerose e confermate indipendentemente. Il concetto di fratello ha due implicazioni: altruismo e disgusto sessuale.
Riferimento: "The architecture of human kin detection", Lieberman, Tooby & Cosmides. Apparso su Nature, 15 February 2007.
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Be', "su tutta la linea" è forse un po' eccessivo... :)
Dicevo appunto che la statistica, da sola, non prova niente. E' facile in un fenomeno complesso isolare due singole variabili fra mille (grado di parentela e grado di altruismo) e trovare delle correlazioni. Resta poi il punto più importante della mia obiezione: cosa ne facciamo di tutti gli altri comportamenti altruistici non-parentali? Comportameni altruistici se ne trovano nelle situazioni e nelle specie più svariate. Qui si è scelta una sola variabile (la parentela) e si sono trovate delle correlazioni. Ma simili correlazioni sono giustificabili in modo del tutto naturale senza alcun bisogno di meccanismi biologici diretti. Senza, almeno, meccanismi così specifici. Perchè l'altruismo che si pensa essere di natura parentale non potrebbe essere invece un'altro caso di altruismo "di gruppo" come i tanti che si sono evoluti in specie di animali sociali? Lì il fattore genetico non esiste eppure si sono sviluppati meccanismi di cooperazione (cfr. le ESS di Dawkins stesso). Non potrebbe darsi che meccanismi analoghi siano alla base dei comportamenti altruistici fra individui nati e vissuti a lungo insieme (indipendentemente dal fatto che sono imparentati)? Se possiamo spiegare comportamenti altruistici in situazioni completamente a-parentali come il sacrificio in guerra, non possiamo forse utilizzare spiegazioni analoghe anche nel caso dell'altruismo verso i parenti? Mi riferisco a spiegazioni su base culturale, sociale... anche biologica ed evoluzionista, se vuoi, ma ridurre tutto al controllo "diretto" dei geni sulla base della loro probabilità di comparire etc etc... mi sembra davvero semplicistico. Soprattutto in questi contesti "sociali" in cui è tutta da dimostrare la pretesa stessa che le uniche spiegazioni possibili siano di natura utilitaristica su base evolutiva.
E comunque, se davvero vuoi portare degli argomenti forti su base statistica (che non sarebbero ancora prove) dovresti per prima cosa cosa isolare la causa "gene egoista" dalle altre mille possibili cause. Trovare situazioni in cui ciascuna delle altre mille concause è presente in ugual misura e solo la componente "gene egoista" è differente, e verificare che ci sia effettivamente una differenza. Capisco che questa è una eventualità difficile, perchè ci sono mille fattori in gioco, ma questo è proprio il motivo per cui, al contrario, pensare di essere riusciti a spiegare l'origine dell'altruismo con un solo e semplice meccanismo appare ingenuo.
"Il concetto di fratello ha due implicazioni: altruismo e disgusto sessuale."
Non ho mai trovato una definizione così perfetta per il concetto di fratello. Grazie Paola ;)
E complimenti anche a tutti gli altri per la bellissima discussione e al padrone di casa per il bel post.
saluti
Fabristol
Carissimo Hronir: annoverare il "sacrificio in guerra" fra i comportamenti altruistici spontanei mi pare quantomeno bizzarro. Sull'evoluzione della "psicologia della guerra" vedi Pinker in How the Mind Works. Aggiungo che esistono diversi tipi di altruismo, tra i quali l'altruismo reciproco (io ti aiuto oggi, forse tu mi aiuterai domani), che è diffusissimo fra individui non imparentati ed è pure stato studiato dagli psicologi evoluzionistici. Che certo non sono dei sempliciotti che riducono tutto “al controllo diretto dei geni", che vuol dire? Con poche eccezioni i geni predispongono, mica controllano. E può essere nell'interesse di un gene egoista costruire organismi altruistici, se l’esibizione di altruismo ci porta, per esempio, ad essere apprezzati dagli altri e scelti dall’altro sesso.
Ciao a tutti. Vedere il nome di S.Pinker su questi argomenti, mi scalda il cuore. Quest'estate ho ripreso un lavoro recente dello stesso "Tabula Rasa" che avevo preso un paio di anni fa. L'ho trovato entusiasmante. Il metodo di "controllo" a cui Paola fa riferimento è lì presentato con una "violenza" devastante, non ti consente di uscirne neanchè un po' "dualista". Non possiedo gli strumenti per giudicare come inattaccabili le argomentazioni portate, ma ne sono rimasto affascinato. Alla prossima.
Riccardo
Caro hronir, ci siamo incontrati sul post di Marco F. per discutere di morale e sono finito qui. Scusami se te lo dico, ma il tuo blog è proprio brutto, con quel fondo nero. La scelta è dovuta a motivi ecologici? Risparmio energetico?
Se riuscirò a superare l'avversione per il fondo nero mi farò risentire.
Nessun motivo ecologico (che sarebbe ingenuo).
Se ti interessa, puoi usare questa utilissima estensione per Firefox/Chrome per evitare il fondo nero (Edo, è la soluzione definitiva anche per te!).
In realtà, per la lettura su un monitor, secondo me è il nero su bianco che stanca di più gli occhi.
Quanto al gusto estetico, non si discute: a me per esempio piace molto più l'espressione "equilibri punteggiati" che l'espressione "gene egoista" (sarà una predilezione che riflette il giudizio sul contenuto?).
E, visto che ci siamo, ti dico anche che sono un gouldiano, e nondimeno sono quanto di più lontano da uno spiritualista...
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