Showing posts with label relativita' generale. Show all posts
Showing posts with label relativita' generale. Show all posts

12 November 2012

Le teorie di calibro di Weyl

Post per Delio, questo, chissà se mi legge ancora,
dopo tutta questa serie di post su Quine, prima, e sugli austriaci, poi,
che hanno fatto evaporare quasi completamente la fisica
da questo, un tempo rispettabile, bel blog di fisica (bontà sua…).
Questo recente post di Peppe Liberti su Focus.it, Il circolo di Weyl, mi ha ricordato la storia dell'origine del termine gauge usato oggi per indicare le teorie di campo con simmetria (interna e) locale. Non ricordo più dove la lessi, forse sul Gravitation di Wheeler. Non pare sia una cosa molto nota, fra i fisici, e tutto sommato giustamente, visto che si tratta di una curiosità storica. Ma era una storia che mi aveva colpito, per l'idea molto suggestiva di un'estensione della simmetria della relatività dalla sola rotazione della tetrade alla sua "scala", e così provo a riportarla qui per i miei strenui lettori. Non che sia chissà quale segreto, la pagina di wikipedia sulle teorie di gauge, sia in italiano che in inglese, riporta tutto e più di quel che ricordi io stesso.
 
Avevo già avuto modo di parlarne quasi cinque anni fa — vi ricordate, quando ancora esistevano i blog? — in calce a questo post di Lap(l)aciano, Simmetrie di gauge (II). Si disquisiva di quale fosse, storicamente, la prima teoria di guage in assoluto. La domanda non fa distinzione fra questioni semantiche e questioni nominali, e la risposta è costretta a dover distinguere.
Fra le teorie che oggi chiamiamo "di gauge", quella che fu formulata storicamente per prima fu la teoria di Maxwell per l'elettrodinamica classica, ma, quando fu formulata, il termine "simmetria di gauge" non esisteva ancora e la simmetria delle equazioni di Maxwell era espressa in termini di una funzione di trasformazione per i potenziali scalare e vettore che lasciavano inalterati i campi elettrici e magnetici (cfr. Gauge fixing).
La prima teoria formulata esplicitamente come teoria di campo con una simmetria "locale" è stata la relatività generale, ma anche in quel caso, nella formulazione originale di Einstein, la simmetria di gauge era in realtà espressa come principio di covarianza generale, ovvero come simmetria rispetto ad un'arbitraria trasformazione (differenziale) di coordinate. Fu appunto Weyl ad elaborare un formalismo alternativo ma equivalente, quello delle tetradi, in cui il principio di covarianza poteva essere interpretato come una simmetria rispetto ad un'arbitraria rotazione, locale, della base del fibrato tangente. Ma nemmeno in questa formulazione, ancora, si usa il termine gauge. Il termine gauge viene introdotto però in quello stesso momento, dallo stesso Weyl appunto, nel tentativo di estendere tale formalismo per spiegare anche l'elettromagnetismo di Maxwell in termini geometrici, come la relatività di Einstein spiegava la gravità. L'idea suggestiva di Weyl era quella di estendere la simmetria della teoria di campo non solo alla rotazione della tetrade ma anche alla sua "dimensione", alla lunghezza dei vettori della base. Ecco il motivo del termine gauge, calibro, a richiamare l'idea di una misura di lunghezza.
Purtroppo il tentativo, in questo preciso approccio, non funzionò. Ma l'idea fu feconda: l'elettromagnetismo poteva davvero essere interpretato come una teoria di campo con simmetria locale, solo che bisognava restare attaccati al concetto di simmetria per rotazioni, come quella delle tetradi, ed abbandonare invece il concetto che la simmetria dovesse riguardare lo spaziotempo o il suo fibrato "naturale". Il quadripotenziale di Maxwell andava infatti interpretato come il generatore di Lie di una simmetria rispetto alla rotazione della base di un ulteriore fibrato "astratto". A dispetto del cambio di contesto, il nome restò, e da allora per le teorie di campo si parla di simmetria di gauge tutte le volte che c'è invarianza rispetto ad una trasformazione locale di un generico gruppo, generalizzando il caso del gruppo delle rotazioni. Tutte le interazioni fondamentali, in particolare, sono interpretate come l'effetto di una simmetria di questo tipo rispetto a gruppi di simmetria associati alle cariche dell'interazione (elettrodebole e di colore).
 
Ma la morale di questa storia non è solo di carattere storico ed etimologico.
Nei corsi di teoria dei campi il concetto di simmetria di gauge viene presentato come "promozione" a simmetria locale di una simmetria globale. L'esempio classico è proprio quello della fase e della funzione d'onda a cui si assegna una dipendenza dalle coordinate spaziali: eiφ(x). La "potenza" di tale estensione è evidente, visto che è sufficiente questa sola richiesta di "località" della simmetria per dedurre, via accoppiamento minimale, le equazioni di Maxwell per l'interazione elettromagnetica. Ma la cosa sembra un po' piovere dal cielo: perché mai dovremmo inventarci questa dipendenza puntuale della simmetria? Oltretutto tale estensione viene interpretata come una richiesta "più forte" di simmetria, visto che la classe di trasformazioni rispetto alla quale la teoria deve restare invariata è più ampia. Ebbene, le motivazioni di Weyl che portarono alla formulazione delle teorie di "gauge" mettono in luce la vera natura della richiesta di "località" della simmetria, da ricondurre, in fondo, al principio di covarianza generale.
Quando Einstein richiede che le equazioni della fisica siano invarianti rispetto ad una qualsiasi trasformazione di coordinate, sta effettivamente richiedendo una simmetria più forte di quella che fossero invarianti solo per trasformazioni inerziali. Ma il senso di tale richiesta è l'esatto opposto di quello di imporre una condizione più stringente, ed è quello, appunto, di rilasciare un vincolo, arbitrario, per il quale una classe particolare di sistemi di riferimento avrebbero avuto un fiocco rosso. Allo stesso modo la richiesta che la teoria di gauge abbia una simmetria locale va interpretata come la rinuncia al vincolo per cui la base dell'algebra del gruppo sia orientata rigidamente dappertutto.
Così, come il campo gravitazionale è un effetto inerziale dovuto alla necessità di dover "connettere" (nel senso tecnico di geometria differenziale del termine) due punti distinti non necessariamente reciprocamente inerziali, allo stesso modo l'elettromagnetismo è un effetto che potremmo dire "U(1)-inerziale" dovuto alla necessità di dover "connettere" due punti distinti che non necessariamente hanno la base dell'algebra (la fase) "orientata" allo stesso modo.

09 February 2007

Quantum Gravity - 4 : guida alla lettura

Visto l'inaspettato successo della saga Quantum Gravity, provo a dare una risposta piu' articolata al commento di Franco, per ribadire che si tratta davvero (almeno per quanto riguarda i primi due capitoli che ho gia' divorato) di una lettura “per tutti”.
   —   ∴   —   
Innanzitutto non pensate di essere di fronte a un libro di Loop Quantum Gravity. Se volete, ha scritto anche quello (in forma di una living review...), ma li' non posso garantirvi facile lettura... Il fatto che in questo caso, invece, l'argomento sia piu' generale, fa si' che, almeno all'inizio, l'approccio sia meno tecnico, volto piu' a dare una visione d'insieme dello stato dell'arte.
Il primo capitolo lo e' di sicuro, e ve lo conferma il titolo (che mi piace tantissimo): General ideas and heuristic picture. E' diviso essenzialamente in due parti. Nella prima vi mette di fronte al problema (il connubio fra Relativita' Generale e Meccanica Quantistica) con un approccio storico/didattico, mettendo in evidenza gli aspetti concettuali delle due teorie e le conquiste intellettuali (piu' che matematiche e strettamente fisiche) che quelle stesse teorie hanno comportato. Ovviamente sono tutte considerazioni che trovano ampio spazio anche nella seconda parte, quella in cui introduce le motivazioni e le caratteristiche principali della sua soluzione alla gravita' quantistica, quella a loop.
Io personalmente ho sempre trovato le sue considerazioni estremamente solide e convincenti. Ne avevo letto per la prima volta tanto tempo fa in questa bellissima conversazione, che vi consiglio caldamente, a mo' di aperitivo o, se proprio non amate le letture pesanti, in sostituzione, al libro di cui sto parlando. E' un'agile e snella trascrizione di un dialogo, il che facilitera' ancora di piu' la lettura.
Dicevo che per quanto mi riguarda le sue argomentazioni sono inespugnabili, e se in futuro dovessimo scoprire che alla scala di Plank la gravita' non e' descritta dalla LQG, sara' solo per accidenti tecnici, o perche' avremo realizzato un ulteriore e ad ora inimmaginabile cambiamento di prospettiva. E comunque non sara' certo l'approccio delle Teorie di Stringhe − intrinsecamente fenomenologico − a dire l'ultima parola.
Ebbene, la forza enorme di quelle argomentazione potrete misurarla proprio nel secondo capitolo del libro, intitolato semplicemente − ambiziosamente − General Relativity. Qui, appunto, si parla solo della teoria di Einstein: non ci sono dispute su nessun punto, tutto e' unanimamente condiviso dalla comunita' dei fisici e vengono affrontate questioni che potrebbero benissimo essere argomento di una lezione del corso di laurea.
Eppure, seguendolo, scoprirete la Relativita' Generale come non l'avevate mai conosciuta.
Va bene, la prima parte del capitolo e' dedicata alle notazioni e ad un riassunto (un condensato!) della teoria, addirittura in numerose formulazioni differenti, piu' o meno equivalenti. Questa parte se volete potete anche saltarla, o leggerla − come ho fatto io − chiudendo gli occhi. Riapriteli un momentino soltanto al paragrafo 2.1.3, in cui introduce il concetto di invarianza di gauge nella formulazione di Dirac. E poi sul finire di questa prima parte del secondo capitolo (a pagina 33), subito dopo (o compreso!) l'ultimo paragrafetto scritto in piccolo sulla geometria di Riemann. Li' torna ad essere non tecnico (e vi avverte che potete saltare la seconda parte del capitolo 2 che segue... se siete interessati solo ai tecnicismi! ma e' chiaro che, al contrario, e' proprio quel che resta del capitolo 2 la parte piu' bella!!!).
Di quel che resta, essenzialmente, sapete gia' tutto (e quindi vi sarete gia' buttati a capofitto a leggere...).
Buon divertimento (e fatemi un bip, se vi e' piaciuto)!

08 February 2007

Simmetrie in Fisica (Quantum Gravity - 3)

Le mie considerazioni precedenti, se volete, non sono tanto legate alla review, quanto in generale all'aria che si respira seguendo uno o l'altro lembo della Fisica.
Ma Rovelli ha un suo proprio valore aggiunto.
Vorrei fare un esempio preciso, fra i tanti casi di illuminazione in cui mi sono imbattuto leggendo le sue pagine: quello della (apparente) differenza fra simmetrie del linguaggio di una teoria (come le simmetrie di gauge) e simmetrie "reali" di un sistema fisico (come l'isotropia di un campo di forze centrali).
—   ∴   —
Ho sempre pensato che ci fosse una differenza sostanziale fra questi due tipi di simmetria.
Nel primo caso abbiamo quella che vorremmo definire una "simmetria da ridondanza descrittiva". L'esempio paradigmatico e piu' elementare lo si trova gia' nell'elettromagnetismo classico delle equazioni di Maxwell: per pura e semplice convenienza matematica (si fa per dire...) decidiamo di descrivere il campo elettromagnetico con un quadrivettore (il potenziale), ma i gradi di liberta' fisici, quelli davvero misurabili, sono un suo derivato, i campi elettrico e magnetico. Il fatto che a configurazioni di potenziale diverso corrispondano le medesime configurazioni di campo, conferisce alle equazioni un'invarianza (una simmetria) precisamente rispetto a quelle trasformazioni del potenziale che lasciano invariato il campo. Ma e' una specie di accidente matematico: se ci fossimo ostinati a usare solo quantita' fisicamente rilevanti, come i campi, non ci ritroveremmo con questo pleonasmo.
Ben diverso sembra(!) il secondo caso. Il fatto che la lagrangiana di un campo di forze centrale abbia una simmetria sferica, e' un fatto concreto e misurabile. Tant'e' che, presa una qualsiasi soluzione delle equazioni del moto, e' sufficiente ruotarla arbitrariamente per ottenere un'altra soluzione delle equazioni del moto. Esattamente l'opposto di quel che succede effettuando una trasformazione di gauge a un potenziale elettromagnetico, dove si sta semplicemente riscrivendo la stessa configurazione di campo.
Ora, tutto quel che ho detto credo sia convinzione diffusa fra i fisici. E' quello che ci insegnano ai corsi ed e' facile convincerci di cio'. I problemi cominciano a sorgere quando si tira in ballo il portentoso teorema della Noether, secondo cui a ogni simmetria continua della teoria corrisponde una carica conservata. Il problema e' che entrambi i tipi di simmetria che abbiamo considerato generano ciascuno la propria carica conservata. La simmetria sferica genera la conservazione della quantita' di moto, la simmetria di gauge elettromagnetica genera la conservazione della carica elettrica. E la cosa, ammetterete, puzza tremendamente.
Prima di leggere Rovelli, io ero fermo qui. Non capivo bene perche' le due simmetrie (una fittizia, di notazione matematica, l'altra reale, sperimentalmente misurabile) dovessero avere ripercussioni del tutto analoghe (e ben reali). E quando mi ponevo la questione, immaginavo che la risposta potesse nascondersi − indovinate un po'? − in qualche trucco quantistico del teorema della Noether.
E invece no. La soluzione al problema e' del tutto classica. E la soluzione al problema e' che non esiste alcuna differenza fra i due tipi di simmetria. Se volete, sono entrambe delle simmetrie di gauge, delle simmetrie della notazione matematica che stiamo usando. La (apparentemente) diversa soluzione delle equazioni del moto che troviamo ruotando la prima soluzione, e' in realta' la stessa soluzione, perche' in quale modo potremo mai distinguerle? Forse perche' hanno coordinate spaziali diversamente orientate? Ma cos'hanno mai di fisico, le coordinate, essendo nient'altro che una nostra convenzione di linguaggio?
Eppure, allo stesso tempo, sono delle simmetrie fisiche, reali: come altrimenti potrebbero essere legate ad una carica conservata reale e fisicamente misurabile?
La soluzione, insomma, sta in una piu' chiara comprensione del concetto stesso di simmetria.
—   ∴   —
Davvero non riusciro' mai ad esprimere la sensazione che ho provato. E' una di quelle cose per cui − da sola − vale la pena studiare fisica.
A quanto pare leggendo Rovelli, comprendere in questi termini la natura delle simmetrie (e in particolare della general covariance, la simmetria per diffemeorfismi di coordinate) fu il passo decisivo che condusse Einstein alla Teoria della Relativita' Generale.
Se appena potete, leggetevi il capitolo 2.2.4 (Active and passive diffeomorphisms) e 2.2.5 (General Covariance) della review di Rovelli. Ma tutto il capitolo 2.2 (The conceptual path to the theory) merita un'appassionata lettura.

07 February 2007

Quantum Gravity - 2

Non c'e' che dire: almeno per i primi capitoli (sono arrivato al secondo) la review di Rovelli si legge davvero tutta d'un fiato. E la prima cosa che salta agli occhi e' proprio la fortissima sensazione di genuina comprensione che si ha studiando la relativita' generale e i suoi dintorni. Non c'e' paragone con quel che si prova quando si studia l'altro bandolo, quello quantistico, della Fisica.
—   ∴   —
In Meccanica Quantistica si ha certamente la sensazione di capire meglio quanto e' bizzarro il mondo microscopico. Riuscire a imbrigliare queste bizzarrie e sapersi destreggiare in allestimenti sperimentali dagli esiti contro-intuitivi ha il suo fascino e trasmette in qualche modo la sensazione di aver capito qualcosa degli ingranaggi del mondo microscopico. Ma, appunto, solo questo: la sensazione di aver capito qualcosa [›››].
In Relativita' (Generale) e' tutto diverso. Qui − ed e' questo che balza agli occhi leggendo Rovelli − tutto e' chiaro e pulito [›››]. Quando si capisce qualcosa di nuovo, quando si afferra un nuovo concetto o si realizza il significato di una qualche relazione, si ha proprio la sensazione di aver aumentato la risoluzione della propria immagine del mondo. Si percepisce nettamente di essersi liberati da preconcetti limitanti, si realizza che contingenze lontane sono in realta' lati contigui di una medesima realta'. L'atto del capire e' consustanziale alla sensazione che − accidenti! − doveva essere ovvio fin dall'inizio che le cose funzionavano in questo modo, perche' questa si' che e' la cosa piu' semplice e naturale, mentre il vecchio modo di vedere le cose era evidentemente frutto di un grossolano pregiudizio.
L'esatto contrario della meccanica quantistica, in cui ci si limita a gioire del saper riprodurre gli ingranaggi, e ci si gongola nel saper domare circostanze altrimenti folli.