Spoiler prima di lasciarvi continuare a leggere inutilmente: il titolo è mero clickbait, il rapporto di cui parlerò è semplicemente quello numerico.
Scott Aaronson è sempre fonte di mille spunti interessanti di riflessione.
Anche quando sembra cadere su delle banalità da WTF.
Non fa eccezione questa
recensione del libro di Max Tegmark
[1], in cui però a un certo punto il nostro mette sullo stesso piano di
impressiveness le "predizioni" della Relativà Generale (la precessione di Mercurio) o dell'equazione di Dirac (l'esistenza dell'animateria) con quella "di Darwin" sul rapporto numerico fra i due sessi nelle popolazioni delle varie specie animali.
Ora, la questione è la solita: l'insopprimibile e sacrosanto desiderio di avere un
criterio di demarcazione, ed in particolare di averne uno
semplice. Ahimè l'obiettivo,
Quine insegna, è semplicemente irraggiungibile, soprattutto in termini di semplicità.
Ma — certo, certo — sono rassegnato alla marginalità della lezione quineiana nel panorama epistemologico corrente, per cui non mi stupisco più di tanto del fatto che Aaronson proponga la sua personale linea di demarcazione: "connecting elegant math to actual facts of experience".
Quel che mi sorprende è che abbia tentato di farci rientrare la teoria di Darwin, in questo connettere matematica elegante a fatti sperimentali, tramite la questione del rapporto numerico fra i sessi.
Il fatto è che la questione del sex ratio in chiave evoluzionistica non rappresenta nulla di neanche lontanamente simile ad un experimentum crucis per la teoria di Darwin.
Innanzitutto la definizione stessa del concetto di rapporto numerico fra i sessi è articolata (
ne esistono almeno 4 tipologie diverse); inoltre, sì, si possono trovare dei riferimenti alla questione in scritti originali di Darwin (su questa cosa ci torno in chiusura di post, capirete perché scrivevo "di Darwin" fra virgolette), ma i nomi che più si legano alla questione sono quelli, ben successivi a Darwin, di
Ronald Fisher e di
W. D. Hamilton, e il tema restò a lungo oggetto di discussioni, analisi e ricerche. Anche dal punto di vista meramente sperimentale, infatti, esistono diverse notevoli eccezioni, molte specie in cui, per ragioni anche diverse, i rapporti numerici fra i sessi si assestano su valori significativamente diversi da quello paritario, in modo transitorio o permanente (specie partenogeniche, oppure con pratiche di accoppiamento diversificate come gli afidi, oppure specie eusociali...).
Insomma, nessuno, ed io men che meno, nega l'
impressiveness della teoria di Darwin; ma mi sembra davvero difficile, in generale, ricondurla ad una singola questione centrale direttamente collegata ad un dato sperimentalmente; e in particolare mi sembra davvero difficile ricondurla a questa cosa del rapporto numerico fra i sessi di una popolazione, soprattutto alla luce della lezione gouldiana del pollice del panda
[2].
Come dunque può essergli venuto in mente, ad Aaronson, di annoverare la questione della della sex ratio come emblema della forza sperimentale della teoria di Darwin?
Girovagando in rete sull'argomento, pian piano vado formulando un'ipotesi.
Diciamo pure un'illazione: che anche lui abbia cercato in rete, qualcosa come "main evidence for evolution" o "most important claims of evolution" e abbia trovato le "solite" prove (i reperti fossili, l'anatomia e lo sviluppo embrionale comparati come indicazioni di un antenato comune, la resistenza batterica agli antibiotici, etc, etc...); tra l'altro se avesse cercato qualcosa come "evidence for darwin's evolution" si sarebbe imbattuto addirittura in un prodromo del pollice del panda dello stesso Darwin
[3]. Finché, questa è la mia illazione, non ha cercato qualcosa come
celebrated argument evolution, e si è ritrovato davanti proprio al
principio di Fisher, definito appunto "probably the most celebrated argument in evolutionary biology". Senonché a definirlo così fu, be',
A. W. F. Edwards, allievo di quello stesso Fisher del cui principio stava tessendo le lodi — pare che venisse proprio chiamato "Fisher's Edwards".
Sia chiaro, tutto vorrei tranne che sminuire Edwards, il quale non era affatto un allievo sfigato e banale adulatore di Fisher: diventò famoso e rinomato genetista, pioniere insieme a Cavalli-Sforza nell'applicazione delle tecniche statistiche alla ricostruzione degli alberi evolutivi; nonché autore della
famosa critica all'articolo di Lewontin sulla divisione dell'umanità in razze.
E del resto anche il suo giudizio sull'importanza del principio di Fisher, lungi da me negarlo, è ben fondato: si trattava di un argomento che mostrava come la selezione naturale, anche agendo a livello di singolo individuo, potesse plasmare una caratteristica di popolazione come il rapporto numerico fra i sessi, che invece sembra ovviamente candidata ad essere controllata da una selezione di gruppo; mostrava che a volte era necessario prendere in considerazione, in un modello evoluzionistico, più di due sole generazioni; si è rivelato essere un esempio ante litteram di quelle che verranno poi chiamate "strategie evolutivamente stabili" (ESS) e che portarono all'applicazione in campo genetico delle tecniche di teoria dei giochi; ha avviato i successivi interessi verso le implicazioni evoluzioniste degli investimenti parentali; etc, etc...
Insomma, si tratta certamente di un'idea estremamente feconda, anche se — ed è questo il mio punto — non propriamente "folgorante" e sperimentalmente "eclatante", come vorrebbe il nostro Aaronson.
Tant'è che, ho scoperto, l'idea di Fisher l'ebbe lo stesso Darwin, che la descrisse nella prima edizione del suo "L'origine dell'uomo", ma che rimosse nella seconda edizione proprio perché, e lo scrisse esplicitamente, si rese conto che la questione era in realtà molto più spinosa di quanto avesse inizialmente pensato.
[1] Il tema del libro di Tegmark è la sua "Mathematical Universe Hypothesis": sembra di essere sul pezzo delle
ultime dichiarazioni di Musk sull'universo come simulazione, ma in realtà questo di Aaronson è un vecchio post di più di due anni fa: ci sono arrivato perché sto leggendo il suo (di Aaronson) ultimo (be', nel frattempo è diventato penultimo)
post, in cui ripropone in forma scritta (Dio lo benedica!) il suo intervento, in risposta a quello di Penrose, ad un simposio che sarebbe sui fondamenti della fisica, ma in cui in realtà, almeno nel suo intervento e in quello di Penrose, si parla della coscienza. Anche lì mille spunti interessanti di riflessione, ma non ho ancora finito di leggerlo...
[2] L'idea che una progettazione improvvisata alla bell'e meglio (come il pollice del panda, che appunto pollice non è, ma un'estensione del sesamoide laterale) sia un argomento di gran lunga più efficace, per il darwinismo, rispetto ad un adattamento perfetto.
[3] Le ipotesi di Darwin, nella prima edizione de
L'Origine delle specie,
sull'origine delle balene, del tutto simile, nello spirito, all'idea del pollice del panda; poi rimossa dalle edizioni successive per via dell'eccessiva derisione che ne ricevette.