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20 September 2016

Due considerazioni a margine del caso Apple/Irlanda/Europa

 
La prima vorrebbe essere una specie di presa di distanza dalla polarizzazione che ha assunto il dibattito sulla questione: non solo, ovviamente, dai difensori del cartello europeo per una tassazione uniforme, ma anche dai liberisti che a spada tratta prendono le incondizionate difese di Apple.
Da una parte abbiamo una mafia, quella statale, che taglieggia, con le tasse: e questo certamente è il male — il fulcro della coercizione, dell'ingiustizia, dell'immoralità. Ma dall'altra abbiamo qualcuno che, con quel male, cerca di fare affari. Domandarsi se sia più giusto restare sottomessi al giogo del tiranno o ipocritamente coalizzarsi con lui significa semplicemente prestarsi al suo gioco, significa — comunque — accettarlo e quindi restare invischiati qualsiasi delle due opzioni si scelga.
 
La seconda considerazione nasce dalla contraddizione stridente che emerge tentando di rispondere alla domanda: chi deve pagare (e perché) e a chi?
Lo fa in gran dettaglio qui tal Francesco Renne per noiseFromAmeriKa (Il caso Apple: la mela ed il paradiso (fiscale) perduto). Il controsenso è che lo Stato irlandese sarebbe contemporaneamente autore dell'illecito e beneficiario del risarcimento. A rigor di logica, infatti, il risarcimento — da che mondo è mondo — è da imputare all'autore dell'illecito, ma in questo caso i cittadini irlandesi sarebbero gravati da un danno doppio: il mancato incasso delle tasse e l'onere della sua restituzione.
L'origine della paradosso, ancora una volta, sta tutto nelle perversioni dell'istituzione statale, in cui viene spezzato ogni vincolo di responsabilità. Se infatti lasciamo da parte le antropomorfizzazioni retoriche delle astrazioni "Stato" o "Irlanda", ci rendiamo conto che i fatti di cui stiamo discutendo riguardano il rapporto non già fra i cittadini irlandesi ed Apple, ma fra Apple e alcune, poche, specifiche persone: i politici e i funzionari coinvolti nelle trattative sul regime fiscale da accordare all'azienda. In particolare i fatti riguardano la disponibilità — la discrezionaltà sull'impiego — che quelle persone ebbero di una certa quantità di denaro, e l'assurdo è precisamente che tali persone fossero del tutto e completamente estranee sia alla provenienza che alla destinazione di quel denaro: l'utile è stato prodotto dall'azienda e i beneficiari del gettito fiscale sarebbero stati i cittadini irlandesi nel loro complesso. Grazie poi all'abominio del diritto pubblico, succede pure che se determinate decisioni politiche vengono giudicate illegittime da un tribunale, non è possibile punire le persone che hanno legiferato illegittimamente, ma ci si deve limitare ad annullare quelle decisioni, con tutte le inevitabili conseguenze aberranti sulla certezza del diritto e la responsabilità personale.
 

24 June 2016

Brexit /2

 
Maledetta attualità, ancora.
Qualche ulteriore commento[1], sempre in chiave libertaria, ancora a caldo subito dopo l'esito, un po' a sorpresa, del referendum nel Regno Unito.
La questione è un po' la solita, se l'abbandono del mercato unico europeo sia una scelta anti-liberale, sott'intendendo che l'adesione ad un'area di libero scambio sia, più o meno per definizione, un'opzione liberale.
Il punto è che in questa narrazione c'è qualcosa che non torna.
L'area Euro viene dipinta come uno po' come l'analogo per le merci ed il commercio degli accordi di Schengen per la libera circolazione delle persone. Ma a ben guardare l'appartenenza all'Unione Europea rappresenta un vincolo, per il paese partecipante, ad uniformarsi ad un insieme di regolamenti e legislazioni finalizzate ad uniformare le condizioni economiche e commerciali fra gli Stati membri. Be', capite bene che questo è l'esatto contrario del libero mercato ed è invece precisamente un cartello di rendite di posizione artificiali su scala continentale — pensate alle quote latte, alla Politica Agricola Comune, etc, etc...
Anche in chiave internazionale, l'uscita di una Pese forte come il Regno Unito da un simile cartello si traduce in un nuovo attore sul mercato globale con cui poter trattare in maniera indipendente: quando la Cina, la Russia o l'America, il Canada e la Svizzera vorranno affacciarsi sul vecchio continente non avranno più un interlocutore unico, ma Europa e Regno Unito si presenteranno in competizione[2].
 
Tutto questo per dire che per un libertario l'opzione del Regno Unito di uscire dall'Area Euro non si pone come un travagliato trade-off fra ragioni contrastanti, fra l'anelito indipendentista e la rinuncia al liberismo: si tratta invece di un'opzione che si muove nella direzione "giusta" su entrambi i fronti — disintegrazione politica e disintegrazione[3] economica.
Se poi produrrà addirittura un effetto a catena per cui a breve seguiranno anche la Scozia e la Catalunya — e, chissà, magari poi in scia anche il Veneto di Yoshi e la Sardegna di Fabristol — be', tanto meglio ancora!
 

[1] Anche per questo post, come per il precedente, valgono le solite avvertenze del caso: poco o punto è farina del mio sacco e dunque i meriti sono suoi, i granchi miei.
[2] Per citare un argomento prettamente anarco-capitalista — non-libertari, vi prego, voi ignorate del tutto questa nota! — i vincoli europei non permettevano alla City di Londra di funzionare come paradiso fiscale; ora non è detto che lo diventerà, ma certamente avrà molto più spazio di manovra.
[3] Yoshi usa il termine integrazione economica, per definire l'optimum libertario, ma il senso, chiaramente, è quello della divisione del lavoro, del vantaggio comparato, dell'anti-autarchia, che sono i giochi a guadagno condiviso del libero mercato. L'uso del termine integrazione, in questo senso, può risultare fuorviante, perché è lo stesso termine che viene usato appunto a livello europeo per indicare, però, una condizione di omogeneizzazione del mercato che è l'esatto opposto di quello che, io capisco, intende Yoshi.

21 June 2016

Brexit

 
Maledetta attualità[1].
I miei libertari di riferimento online si sono entrambi schierati contro la Brexit: Yoshi, l'esule svizzero, e Fabristol, l'esule britannico.
Il mio libertario di riferimento offline, invece, ha espresso le sue simpatie per la Brexit, e un sentimento di equilibrio mi spinge a raccoglierle in questo post; valgono le solite avvertenze del caso: i meriti vanno a lui, gli errori sono miei.
 
Esiti così diversi sulla questione Brexit, pur in prospettiva libertaria, possono essere ricondotti essenzialmente al dibattito thick/thin libertarianism, che però mi è difficile riassumere senza appiattirlo.
Mi limiterò a muovere alcuni rilievi, senza un vero e proprio filo conduttore.
 
Una prima considerazione riguarda i rischi commerciali ed economici di un'uscita dal mercato europeo. Il punto è che tali conseguenze sono più o meno velatamente minacciate: scegliere di restare in Europa per paura di ritorsioni non sarebbe una scelta libera, ma di paura contro arroganza e prepotenza (vedi il Monti secondo cui non si dovrebbe permettere la ratifica elettorale degli accordi internazionali). Se davvero questo è il problema, il dito andrebbe puntato sul bullo, non sulla vittima.
Un altro argomento liberale contro la Brexit sarebbe che le principali motivazioni a favore dell'uscita sono di natura illiberale (nazionalismi, deficit-spending, protezionismo...), ma usarle per prendere le parti del Leviatano europeo significa un po' scegliere con una logica dell'amico in quanto nemico del mio nemico.
A difesa di uno schierarsi libertario per la Brexit ci sono invece le solite ragioni che Yoshi riassume nell'espressione "disintegrazione politica": esercitare il diritto d'uscita è l'opzione liberale per eccellenza; far parte del cartello degli Stati che permettono "il potere contrattuale di aprire o chiudere le relazioni commerciali con il resto del mondo" lo è molto meno.
Sommando tutto, non voglio dire sia chiaro cosa dovrebbe votare un libertario britannico, ma certamente l'elemento più libertario di tutta la faccenda è proprio la possibilità stessa del voto: mostrare al mondo ed a sé stessi che è possibile, che non è immorale, uscire; meglio ancora se l'uscita scatena divisioni tra regioni che vogliono rimanere e regioni che vogliono uscire.
Alla fine, per tornare alla questione thick/thin libertarianism, non si può obbligare a non discriminare...

[1] Questo post devo per forza scriverlo entro il 23 altrimenti va a male, ma lo spunto per scriverlo sono un paio di post recentissimi e non ho nemmeno avuto molto tempo per rimuginarci sopra... prendetelo come un rapido tweet un po' più lungo di 140 caratteri.