05 March 2015

Teoria economica, da zero /1.6

Per l'uomo mortale, il tempo è il bene scarso per eccellenza. Anche per Bill Gates il tempo è scarso: può permettersi di affittare un jet privato per Aruba e Tahiti nella stessa mattinata, ma non può comunque volare in entrambi i posti simultaneamente! Essere umani è sapere che i nostri giorni sulla terra sono finiti, e che dobbiamo scegliere come impiegarli. Siccome viviamo in un mondo di scarsità, l'uso di mezzi per perseguire scopi comporta dei costi.
Naturalmente il termine "costo" è del tutto generico e non fa necessariamente riferimento a spese di natura monetaria.
Il costo di dedicare il mio tempo ad allenarmi, ad esempio, è determinato da quanto valuto gli altri modi in cui potrei passare quel tempo. Inoltre il valore di un particolare fine è soggettivo: nessun altro può dirmi se un'ora passata a sollevar pesi vale più o meno di un'ora passata a scrivere; né v'è alcun modo possibile di misurare oggettivamente la differenza nelle mie valutazioni di queste attività: nessuno ha inventato il "valorometro". Espressioni come "questa cena è stata due volte più buona di quella di ieri sera" sono solo modi di dire, non implicano alcuna reale capacità di misurare la soddisfazione.
 
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04 March 2015

Teoria economica, da zero /1.5

Le scelte comportano la valutazione dei mezzi necessari per raggiungere i fini.
Non mi interessa essere la persona più forte del mondo, ma se mi interessasse, dovrei anche considerare cosa dovrei fare per diventarlo. Dovrei avere a disposizione degli attrezzi per allenarmi, dovrei comprare integratori alimentari e dovrei dedicare molte ore al giorno all'allenamento. Nel mondo reale, non succede che le cose che vogliamo appaiono semplicemente desiderandolo. Molte cose che vogliamo, anche cose di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, possono essere ottenute solo dopo aver speso tempo e fatica. Gli attrezzi per allenarsi non piovono dal cielo — grazie a Dio! — e se dedico molte ore al giorno a sollevare pesi, non posso dedicare quelle ore a scrivere su questo blog o a giocare con i miei figli.
 
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03 March 2015

Teoria economica, da zero /1.4

Stai dunque considerando un fine, liberarti dell'insetto. Pensi che raggiungere tale fine ti porterà un vantaggio — sparirà il rumore e potrai riposare in pace. Dunque, potresti alzarti e uccidere quella zanzara. Ma i tuoi piani originali erano diversi — semplicemente oziare nell'amaca! Liberarsi di quell'insetto sarebbe fantastico — ma devi alzarti, e sarebbe proprio una scocciatura.
Questa è un'altra componente dell'azione umana: devi fare una scelta.
 
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02 March 2015

Teoria economica, da zero /0.3

Quello che seguirà sarà l'assaggio di un'introduzione all'economia in chiave austriaca.
L'approccio sarà "da zero" sia perché non si darà per scontata alcuna conoscenza di economia e sia perché si procederà in maniera costruttiva, "dagli assiomi".
Mi sono liberamente ispirato alla prima parte del già citato Economics for Real People di Gene Callahan: una sorta di liberatoria per prendersi le colpe di una pessima traduzione e di pessime scelte di sintesi e di riformulazione, e per tributargli invece il merito del contenuto e del taglio.
 
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Teoria economica, da zero /1.3

Devi pensare che una tua azione possa avere un qualche effetto, ma non è necessario che il tuo pensiero sia corretto: gli uomini primitivi credevano che certi riti avessero effetti positivi (ad esempio portare pioggia in caso di siccità, o ripopolare i branchi di animali che si apprestavano a cacciare) e questo era più che sufficiente per spingerli ad agire.
Ti guardi attorno, dunque, e scopri che la causa del ronzio è un insetto. Forse puoi fare qualcosa: schiacciare quella zanzara.
 
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01 March 2015

Teoria economica, da zero /0.2

Il fatto è che c'è tutta una struttura di relazioni che legano fini, risorse e loro utilizzo, la quale risulta indipendente da quali siano, specificatamente, i fini particolari, le particolari risorse e il loro particolare modo di essere utilizzate. È un po' come la logica, che parla di preposizioni vere e false, ma in senso relazionale, senza entrare nel merito del giudizio di verità delle singole proposizioni atomiche. Allo stesso modo l'economia non si preoccupa del reperimento dei mezzi, né tanto meno di stabilire i fini, ma si limita a studiare le relazioni "formali" che sussistono fra di essi.
 
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28 February 2015

Teoria economica, da zero /1.2

Ma l'insoddisfazione non è sufficiente: è necessario comprenderne le cause.
Sì, ok, il ronzio. Ma non possiamo silenziare il ronzio soltanto desiderandolo. Per agire, dobbiamo sapere che ogni effetto ha la sua causa, dobbiamo esser capaci di seguire una catena di causa-effetto finché non troviamo un punto dove crediamo che un nostro intervento, una nostra azione, possa interromperla ed eliminare l'insoddisfazione. Dobbiamo avere un piano per passare da ciò che è a ciò che dovrebbe essere. Se il ronzio fosse quello di un aerplano che passasse sopra la nostra testa, non agiremmo — a meno di avere un missile terra-aria, non ci sarebbe nulla da fare.
 
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27 February 2015

Teoria economica, da zero /0.1

Cos'è l'economia?
en.wiki ne dà una definizione in termini di oggetto di studio: la produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi.
Una volta tanto it.wiki sembra più pertinente, esplicitando già nella succinta descrizione iniziale qual è la prospettiva da cui l'economia guarda, ai processi di produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi. La quale non è, ovviamente, quella ingegneristica (produzione), né quella logistica (distribuzione) né ancora quella commerciale (consumo). E non è nemmeno, come si potrebbe credere, quella "contabile" — non almeno in un senso fondamentale e definitorio, dal momento che l'introduzione del concetto di moneta, e di calcolo economico che essa consente, rappresenta la "sofisticazione" di processi che possono darsi (e si sono storicamente dati) anche senza di esse (una moneta e una contabilità).
La specificità dell'economia, invece, è, come dice it.wiki, quella di guardare a tutti questi processi in termini di gestione di risorse limitate per il raggiungimento di fini.
 
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26 February 2015

Teoria economica, da zero /1.1

Giaci sulla tua amaca, felice del mondo, lasciando che le cose scorrano.
Ma il tuo ozio è disturbato da un ronzio. Ti sentiresti certamente più rilassato se quel rumore cessasse.
L'insoddisfazione è il principio dell'azione. O, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, l'idea che la situazione presente si possa migliorare.
Se fossimo completamente soddisfatti dello stato corrente delle cose, non avremmo motivo di agire — potremmo solo peggiorare le cose. Ma non appena sentiamo che qualcosa non è soddisfacente, emerge la possibilità di agire per rimediare.
 
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09 September 2014

Serendipity /9 — Dodecafonia vs Madrigali [era: Il romanticismo [era: Emilie Autumn Liddell]]

 
Proseguo, ostinato, da un commento ad un post precedente.
 
Mah, non so, forse su un aspetto della musica abbastanza marginale come la dinamica (ih ih ih) posso concedere dell'importanza alla sovraesposizione, ma su questioni più "profonde" continuo ad avere sospetti che tirano in ballo direttamente i cablaggi del nostro cervello. Anzi, non escluderei che l'imprinting musicale possa avere effetti contrari, di saturazione: delle canzoni dell'adolescenza oggi mi vergogno, mentre la musica che ascolto ora sono scoperte molto recenti...
Certo, certo, mi ricordo benissimo che mi consigliasti la "Breve storia della musica" di Massimo Mila, e ho intenzione di leggerlo a breve, non appena un ordigno nucleare avrà rotto definitivamente l'internet...
Anche sulla "questione di gusti" sto man mano maturando una posizione diversa da quella che descrivi: ho molto spesso la sensazione che il "discorso" che si costruisce per giustificare l'apprezzamento sia, appunto, un discorso a posteriori. Non voglio dire che siano cose senza senso, che si trovino coerenze interne che non esistono, strutture prive di oggettività: tutt'altro. Quel che voglio dire è che — mi pare — viene prima il gusto, in un senso molto vicino al livello percettivo, e solo dopo si cerca di capire cosa, di quell'esperienza, e perché, ci piace tanto. E sono portato verso una simile posizione perché, leggendo o ascoltando descrizioni, recensioni, omaggi e magnificazioni di altri a certa musica che non riesco ad apprezzare, mi ritrovo nell'avvilente condizione di comprendere benissimo quelle strutture, quella coerenza e la loro pregevolissima composizione... eppure non *provare* niente, all'ascolto (volendo abbandonare la diatriba musica-pura/musica-romantica, prendiamo pure il caso della musica dodecafonica: non so se ti sei mai imbattuto in questo bellissimo video di Vi Hart, Twelve Tones: intrigante, avvincente, ammaliante, profondo... eppure, se dovessi ascoltare quella musica... e come faccio, invece, a descrivere come vado in brodo di giuggiole ogni volta che ri-ascolto Philippe Jaroussky accompagnato dall'Arpeggiata di Christina Pluhar che canta l'Ohimè, ch'io cado di Monteverdi, jazzato!).
Infine, mi fa piacere sapere che esistono persone che non si vergognano di usare quelle espressioni — mi piacciono, voglio ripeterle: volgari orpelli, facili sentimentalismi, trucchi da stadio — per descrivere la musica che anch'io non amo; però avrei preferito una spiegazione. Ché non serve molto sforzo per immaginare, di converso, come altri possano descrivere la musica che piace a me: asettica, cerebrale, aritmetica...

29 August 2014

Deflazione

Basta post pretenziosi dai temi velleitariamente alti e nobili: torniamo a parlare un po' di attualità e cose concrete.
Ultimamente si fa un gran parlare, quasi con terrore, di questa fantomatica deflazione. Si sente ripete a più riprese il mantra che la deflazione sembrerebbe una cosa bella, ma in realtà non lo sarebbe. E si leggono tortuosi ragionamenti economici che, però, tutto fanno tranne che spiegare dove il senso comune si ingannerebbe. La retorica spesso è grossolanamente forzata, per cui in caso di inflazione "un euro non mi basta più per acquistare un chilo di carote, come era un anno prima", mentre in caso di deflazione "con un euro arrivo a comprare il doppio delle carote che compravo un anno prima" (enfasi mia).
Prendete l'argomento del rinvio degli acquisti: smettereste di mangiare perché fra un mese il cibo costerebbe di meno? Quindi il problema della deflazione non dovrebbe riguardare i beni primari e di consumo. Ma anche non prendendo in considerazione beni di consumo primario, avete forse notato una crisi perenne di Apple e Samsung da assenza di acquisti, per via che il prezzo degli smartphone dimezza, questo sì davvero, nel giro di un anno?
Del resto in un mondo dominato dell'innovazione, la deflazione è precisamente il pattern economico atteso, e un'eventuale inflazione artificiosamente creata non si configurerebbe altrimenti che come una forma di tassazione, con l'aggravante morale di essere occulta e l'aggravante economica di distorcere i segnali dei prezzi sulla corretta allocazione di risorse.
 
In tutto questo dare addosso alla deflazione, trovo soltanto due preoccupazioni "sensate": l'insostenibilità del debito (pubblico) e la wage-stickiness (in italiano sarebbe qualcosa come "vischiosità dei salari"). Ma, in entrambi i casi, mi sembra si accusi la deflazione di problemi che in realtà nascono e risiedono altrove.
Nel primo caso, lamentarsi di non poter svalutare il debito con l'inflazione significa lamentarsi di non poter derubare il creditore restituendogli meno di quel che si è ricevuto in prestito. Il problema è l'aver contratto un debito sapendo di non poterlo ripagare, non il fatto di doverlo restituire. Il problema è la spesa pubblica eccessiva, non la deflazione.
Anche nel secondo caso, si assume che i salari tendano intrinsecamente a salire e comunque a non scendere, ma mi sembra del tutto ragionevole ipotizzare che possa trattarsi in realtà di una conseguenza, più che di una causa, del regime pluricedennale di alta inflazione. Se la società non si aspettasse, non presupponesse un continuo aumento dei prezzi, sapere di avere un salario costante sarebbe ben percepito come un aumento del potere di acquisto. Al limite, in caso di deflazione prolungata, non è inverosimile immaginare delle rimodulazioni salariali al ribasso. In ogni caso l'aumento o la diminuzione del valore della moneta dovrebbe riflettere gli andamenti del mercato (la propensione al risparmio, la produttività, la produzione, gli investimenti...) e comunque l'aumento o la diminuzione del prezzo dei vari beni e servizi seguirebbero dinamiche specifiche legate all'andamento di domanda e offerta per singoli beni e servizi lungo tutta la catena di produzione, verticalmente e orizzontalmente. L'idea, invece, di manipolare artificialmente la massa monetaria significa sovrastare le richieste dei consumatori e provocare una ridistribuzione arbitraria di beni, risorse e denaro. Oltretutto, anche mettendosi in un'ottica redistributiva di ispirazione socialista, bisogna sottolineare che tali storture impattano abbastanza direttamente anche le disuguaglianze di reddito: poichè, infatti, l’immissione di nuova e fresca moneta non avviene in maniera uniforme, ma ha dei precisi canali di immissione e un deflusso con i suoi tempi, le politiche inflazionistiche e di espansione del credito vedono tipicamente nelle persone già ricche i privilegiati beneficiari di tali immissioni di nuova moneta (che poi la vera dicotomia non dovrebbe essere fra ricchi e poveri, ma fra guadagni legittimi e illegittimi, fra una ricchezza acquisita col lavoro, da una parte, o con arbitrari privilegi dall’altra).

11 August 2014

Serendipity /8 — Il romanticismo [era: Emilie Autumn Liddell]

E' Haydn e sinfonico, ma credo funzioni lo stesso:
"You find it beautiful? well I've got news for you: it isn't"
Oh, mio Dio, ma questi Young People's Concerts di Bernstein sono un'intera collezione di lezioni!
Dovrò assolutamente trovare il tempo di gustarmeli tutti!
(Il prossimo sarà senza dubbio What is a Mode?)
Ma restiamo all'orchestra di Haydn: sì, può sembrare che mi assecondi, e certamente ho apprezzato la canzonatura dell'eccesso di romanticismo. Ma il suo punto, direi, è ben diverso dal mio (sì, lo so che la tua è stata solo un'associazione di idee, che non volevi sostenere che le mie istanze fossero quelle di Bernstein, ma anch'io sto semplicemente facendo seguito al tuo spunto per dire ancora la mia).
Lui prende una posizione che potremmo dire "filologica", in cui mette l'autore al centro dell'opera e pretende che l'esecutore si renda semplice riproduttore di quel che l'autore aveva in mente. E già qui io alzerei il mio sopracciglio, e citerei la postilla di Eco al Nome della rosa: «Un narratore non deve fornire interpretazioni della propria opera, altrimenti non avrebbe scritto un romanzo, che è una macchina per generare interpretazioni. [...] L'autore dovrebbe morire dopo aver scritto. Per non disturbare il cammino del testo.»
Eco si riferiva alla narrativa, ma direi che il discorso è esportabile ad ogni forma di espressione artistica.
Bernstein, insomma, non sta criticando il romanticismo in musica, ma il romanticismo, potremmo dire così, fuori luogo. Tutti quei "vibrato, glissando, rubato, sforzando, crescendo" non sono il male in sé, per Bernstein, ma solo se applicati ad Haydn.
Io, nel mio piccolo, sono ad un livello molto più elementare: la mia non è una critica, nè filologica, nè tantomeno musicale; la mia è solo una dichiarazione di gusto musicale: il mio. La mia cultura musicale non mi permette di cogliere le sottili differenze di esecuzione (sì, ok, l'enfasi esagerata dell'esecuzione di apertura di questa lezione era piuttosto evidente, l'ho colta anch'io prima ancora che Bernstein la confessasse...) e i miei giudizi si esprimono in gran parte sulla base dell'opera "nuda e cruda", quasi indipendentemente dall'esecuzione (e da questo punto di vista la musica barocca è proprio la mia, col suo essere "musica pura", non a tema, mera struttura armonica e contrappuntistica).
O forse no, visto che lo stesso pezzo (la ciaccona del Vitalino dell'altro post) mi piaceva in versione barocca e non in versione romantica!
Vediamo: direi che il punto, per il mio gusto, potrebbe essere il peso che ha la romanticizzazione in un pezzo, in un'esecuzione: cosa succede se togli la dinamica alla ciaccona del Vitalino? E se la togli ad una sinfonia?
Ecco, prendi le tanto di moda "jazzizzazioni" di pezzi di musica classica: hanno scritto "Bach goes to town", hanno scritto anche "Beethoven goes to town"? Sì, lo so che è sleale usare Bach come elemento di paragone, ma, ripeto, cosa resta di una sinfonia, tolta la dinamica?
Ma anche questo forse non è vero: Uri Caine non ha riscritto solo le Variazioni Goldberg, ha anche riscritto Mahler —bellissimo! (ma forse quella di Mahler, pur essendo una sinfonia, non è romantica, in un qualche senso non troppo generico del termine...).
Però tutto sommato il confronto col jazz mi sembra sia d'aiuto, visto che io salto direttamente dal clavicembalo al banjo (ma in realtà anche del jazz, che detto così in generale è un po' una parola calderone, non è che riesca ad apprezzare tutto...).
La jazzizzazione di Bach, infatti, non avviene tramite immersione del suo contrappunto in un bagno di mera dinamica; gli orpelli con cui gli si rende omaggio sono di natura ritmica e armonica.
Quel che, dunque, non mi piace — diciamo meglio: quel che mi lascia spesso indifferente — della musica romantica, è il suo essere troppo centrato sulla dinamica, giocando con essa su una struttura musicale tutto sommato semplice, o comunque nascosta dalla dinamica. Che poi: anche il jazz gioca spesso con temi semplici, ma i suoi giochi sono ancora di natura musicale (tempo e armonia)!
Parlando di queste cose, un amico — per non violare la sua privacy lo chiameremo con un nome di fantasia, Matteo — aveva fatto una osservazione molto interessante: le colonne sonore dei videogiochi, una volta, dovevano accontentarsi di schede a 8 bit e un audio senza campionatura ma prodotto da un chip a modulazione di frequenza con giusto un paio di forme d'onda o poco più: una "musica" fatta solo di altezza e durata. E in effetti le colonne sonore di quei giochi, in genere, avevano — giocoforza — una struttura musicale che quelle dei giochi più moderni non si sforzano nemmeno di avere, forti delle possibilità ormai cinematografiche; e così, vincoli strettissimi come quello della monofonia portano naturalmente a re-inventare tecniche come l'arpeggio o l'armonia orizzontale, squisitamente contrappuntistiche.
Chiaramente la critica naturale a tutta questa mia difesa del barocco è forte: sono una specie di vecchio conservatore, che non apprezza le nuove possibilità del progresso, della dinamica del forte-piano (ma perché, in epoca barocca e rinascimentale non esistevano forse gli archi? i flauti? non avevano forse questi strumenti possibilità di dinamica? ma allora non era forse solo una questione di moda?).
Boh.
Che poi, non è che abbia una vera e propria tesi da difendere, e ormai non ricordo più nemmeno dove (se?) volessi andare a parare... ah, massì, certo: alla solita conclusione, e cioè che la musica ha quel qualcosa di fisico che difficilmente riesci a cambiare con la teoria, con la testa, con le parole.