28 September 2012

Android App of the Day: Battery Fuel Gauge Bar Status

Rieccoci, dopo una lunga pausa, ad una nuova puntata della nostra fantastica rubrica AAoD capace di scuotere le nostre anime dalle fondamenta!
Anche in questa puntata, per la terza volta di fila, presenteremo un'app stupidissima eppur intelligentissima: Battery Fuel Gauge Bar Status.
Non lasciatevi ingannare dall'orribile icona (a sinistra) e gli screenshot orrendi (a destra), né dall'esiguo numero di download: quest'app fa magnificamente il poco che pretende di fare e, nonostante le apparenze, lo fa in maniera molto elegante (a patto che scegliate voi una size e dei colori eleganti). Cosa fa? E' presto detto: mostra in sovraimpressione (in qualsiasi vista, in qualsiasi applicazione, proprio come Display brightness) un indicatore lineare dello stato di caricamento della batteria del cellulare. Io ho messo l'indicatore in alto (a sinistra ho già Display brightness), ho impostato uno spessore minimo di un solo pixel e ho disabilitato sia l'icona nella barra di notifiche che l'indicatore numerico della percentuale di carica della batteria: in questo modo l'app fa il suo lavoro, mostrare a colpo d'occhio in qualsiasi momento lo stato di caricamento della batteria, nella maniera più discreta possibile. Potete anche impostare una serie di colori diversi per diversi livelli di carica, cosa volete di più?
Sì, certo, basterebbe poco per un'icona appena appena decente...

05 September 2012

Earth overshoot day

Provo a riprendere con un post dall'ultimo commento del Mau (che avrà di meglio a cui pensare in questi giorni, ma tanto i tempi di questo blog sono sempre stati molto pazienti), col pretesto dell'Earth overshoot day, lo scorso 22 agosto, nella speranza che qualcuno degli ormai rari lettori che ancora passano per questo blog possano aiutarmi a capire qualcosa.
 
Ne avevo letto prima su Linkiesta, Dal 22 agosto esaurite le risorse naturali 2012. Inizia la decrescita infelice?, ma poi ne ha parlato anche OggiScienza, In debito con la Terra, e sono anche andato a spulciarmi il sito ufficiale, Global Footprint Network, ma non riesco proprio a venirne a capo. 
L'idea, sembrerebbe di capire, è che l'uomo consuma più risorse di quante la Terra gliene possa mettere a disposizione, ma tale concetto, prima ancora di qualsiasi conto, mi sfugge completamente. 
Non abbiamo altre "Terre" cui attingere, come riusciremmo a soddisfarli, dunque, quei consumi "extra"? Il conto verrebbe fatto anno per anno, ed è già da un po' di anni che "sforiamo". Il Montesi de Linkiesta sembra concepire una simile domanda, a cui prova a fornire (io credo con una propria certa autonomia d'interpretazione) la risposta più plausibile in questo contesto: le uniche risorse rimaste sono le nostre riserve: riserve alimentari ed energetiche. Ma una tale prospettiva rende l'idea ancora più incomprensibile. 
Davvero, aiutatemi a capire: di quali risorse stiamo parlando? 
Risorse alimentari? Davvero ci sono da qualche parte dei grandi magazzini di, chessò, riso, patate, o altro cibo (evidentemente non deperibile, o liofilizzato...), messo da parte fino agli anni '70 e da cui ormai da un po' di anni abbiamo cominciato ad attingere per tirare a fine anno? La gente muore di fame, in Africa e non solo, certo, ma questo significa che non ce ne sono abbastanza, di risorse alimentari, non significa che ne stiamo consumando più di quante ne produciamo. Si vuol forse dire che il regime di alimentazione di una parte del mondo (quello occidentale) non potrebbe essere offerto parimenti a tutto il mondo? Ma allora si tratterebbe di un problema di distribuzione, di quelle risorse, non di sovracconsumo. 
O stiamo forse parlando di risorse energetiche? Ma a parte quelle rinnovabili (solare, eolico, marino, etc...), tutte le altre fonti energetiche sono per definizione sovracconsumate: la Terra non ha alcuna quota di "produzione" annua di petrolio, carbone, etc: la totalità, il 100% del loro consumo è "sovracconsumato" e non verrà mai più rigenerato dalla Terra il prossimo anno. Al massimo, se volessimo parlare di quota annuale, questa riguarderebbe la loro estrazione, peraltro estremamente variabile, ma anche in quel caso è inverosimile che si sia "stipato" carbone e petrolio estratto fino agli anni settanta e poi cominciato a svuotare le riserve. Forse si vuol considerare un qualche forma di "capacità di smaltimento" dei prodotti di scarto dello sfruttamento di quelle risorse: ma allora stiamo parlando di inquinamento, o di effetto serra (riassorbimento di CO2), concetti molto lontani da quelli di "produzione di una risorsa" e di "suo consumo". 
 
E non pensate che il punto sia il mio fare le pulci ad un articolo di un quotidiano generalista e non scientifico come Linkiesta: anche OggiScienza si limita a rigirare le parole sulla metafora del budget annuale esauritosi già a due terzi dell'anno, e possiamo quasi capirla, in fondo, perché persino sul sito ufficiale del Footprint ci sono pagine e pagine di parole vuote: la sezione Footprint Science si limita a girare in tondo: dicono solo che calcolano l'ecological resource use and resource capacity of nations over time, che pubblicano dati da un po' di anni, suddivisi per oltre 230 nazioni, usando più di 6000 punti dati (?!?) per ogni nazione, esprimendo tutti i valori in ettaro equivalente, etc, etc... Va forse un po' meglio nella sezione Footprint basics in cui si spiega che l'Ecological Footprint misurerebbe di quanta superficie, di terra e di acqua, l'umanità ha bisogno per produrre le risorse che consuma, lo spazio necessario per gli edifici e le strade, e l'ecosistema necessario per assorbire i rifiuti prodotti, come la CO2 (lo spazio per edifici e strade? sì, sì, dice proprio the space for accommodating its buildings and roads!): qui si capisce che effettivamente vorrebbero tener conto dell'effetto serra, ma quali sarebbero le risorse che terra e acqua produrrebbero e che staremmo consumando ad un ritmo maggiore di quello di produzione? Le FAQ e il glossario non migliorano la situazione, rifilandoci per l'ennesima volta sempre le stesse vuote e circolari parole, per cui la biocapacity sarebbe la capacità di produrre useful biologica materials e di assorbire waste materials generated by humans, dove per “Useful biological materials” si intendono quelli richiesti dall'economia (?!?), e le terre e le acque biologically productive sono quelle che supportano una significativa attività di fotosintesi e di accumulo di biomassa usata poi dall’uomo (biomassa alimentare? voglio vedere questi container degli anni '60! Biomassa da combustione? di nuovo, come facciamo a consumarne più di quanta ne produciamo?). 
 
Insomma, se queste sono le argomentazioni sulla decrescita, qualcuno mi aiuti a capire. 
Dal canto mio vi suggerisco, in alternativa, questo video: Are We Running Out of Resources? 
 

17 July 2012

La comodissima verità sui prestiti

Ci sono verità scomode e verità comode. [...] Le verità comode [...] sono quelle che un po’ tutti già sanno, ma siccome sono comode la gente pensa che ci sia sotto una fregatura (“troppo comodo!”), così si comporta come se non fossero vere e alla fine, dopo qualche secolo, se le dimentica. [...] Poi c’è una terza categoria di verità: le verità comodissime. Vere e proprie pantofole per le orecchie.
Smeriglia, Tre verità comodissime
Un'altra di queste verità comodissime è la questione di come funzionano i debiti: ho qualche bisogno (o progetto) per cui mi servirebbero soldi subito e mi impegno, pian piano, a ripagare il prestito con gli interessi pattuiti (o scommetto che il progetto avrà successo e mi permetterà di ripagare debito ed interessi).
Sembra semplice, non pare ci sia bisogno di un corso di economia per capire la faccenda.
Almeno finché non si parla, appunto, di economia.
Prendete questo post, Positive feedback, di Giuseppe Lipari, persona intelligente ancorché non esperto di economia.
Nel descrivere la situazione stazionaria del "sistema dinamico" bilancio statale, scrive placidamente che fra le entrate di uno Stato, oltre alle tasse, possiamo annoverare anche la vendita di titoli, come se si trattasse di vendita di un patrimonio e non della contrazione di un debito. Scacciamennule è intelligente, si diceva, è non dimentica quindi di riportare, fra le uscite, anche la restituzione del debito, oltre alle spese correnti e al pagamento degli interessi. Ma si tratta di un errore (s'era detto che non è un esperto di economia), perché nessun economista vero si sognerebbe mai di pensare alla restituzione del debito: ad ogni scadenza di un blocco di titoli, lo Stato scende sui mercati obbligazionari per acquistarne altrettanti e più. Le due equazioni che scrive peccano del suo background scientifico, perché un vero economista semplificherebbe il debito da entrambi i lati dell'equazione entrate = uscite e scriverebbe:
 
uscite = spesa + interessi sul debito
 
entrate = tasse + ricavato vendita di ulteriori titoli (ulteriori rispetto al rinnovo automatico dei titoli in scadenza)
 
da cui si vede che il debito è semplicemente sparito (sì, compare come dipendenza degli interessi nelle uscite, ma si tratta di un tecnicismo matematico).
Fuor d'ironia, ammettiamo pure, per amor di discussione, che si sia di scuola keynesiana: ma non si deve forse prevedere un certo debito (per il fantomatico stimolo all'economia) solo per un limitato periodo di tempo, giusto appunto per superare una crisi e poter poi, col boom, ripagare quel debito contratto?
Quale logica perversa si cela dietro l'assunzione che uno Stato possa contrarre debito perenne... ma cosa dico: contrarre debito in maniera perennemente crescente?
Attenzione: la risposta non deve contenere la parola "inflazione".

02 July 2012

Android App of the Day: Display brightness


Display brightness
Ecco un'altra applicazione stupidissima eppur intelligentissima: Display brightness. Stupidissima perché fa una sola cosa, intelligentissima perché è una cosa utile e la fa bene.
La cosa che fa è permettere di regolare l'intensità di illuminazione del display. Il punto è che non si tratta di un widget, che vi costringerebbe ad uscire dall'app che state usando per tornare al(la schermata del) desktop (in cui avreste piazzato il widget), né tantomeno di un'app stand-alone: si tratta di un overlay screen che resta sempre in primo piano rispetto a qualsiasi app stiate utilizzando. Ovviamente è completamente trasparente, se non quando state cambiando il livello di luminosità scorrendo sul margine dello schermo che avete scelto, nel qual caso vi mostra per un breve momento un indicatore di livello lineare completamente personalizzabile in colore e trasparenza.
La grande utilità di una simile app è evidente, visto che tutti i meccanismi di controllo automatico della luminosità sono estremamente inefficaci, mi dicono anche in device più recenti e ben carrozzati in termini di sensori e core per interpretarne le letture, sia nell'indovinare il livello ottimale (che dipende non solo dalla luminosità ambientale, ma anche dalla luminosità di quel che viene visualizzato sullo schermo), sia nel farlo al momento giusto. Con quest'app invece, senza interrompere qualsiasi cosa stiate facendo, potete in attimo regolare al meglio la luminosità del display, risparmiando batteria e toccando con mano (...con dito?) l'andamento logaritmico della sensibilità dell'occhio all'intensità luminosa.

24 June 2012

Variazioni [era: Serendipity]

 
Provo con un altro post "musicale", che riprende in qualche modo il discorso sulle cover iniziato qualche post fa, serendipicamente, con Tom Waits.
C'è una cosa, in musica, che amo molto, e sono le variazioni. Forse perché entrano in gioco meccanismi atavici e infantili legati alla ripetizione di un elemento familiare, che ricorsivamente rinforzano la stessa familiarità; forse per il gioco intellettuale, ma giocato a livelli molto prossimi all'elaborazione inconscia del dato percettivo, quindi molto fisico, del riconoscimento di un pattern noto in un contesto sempre diverso: cercare il tema, scoprirne il tratto messo in rilievo da quella particolare variazione, sovrapporlo inconsciamente a quello di un'altra, ricreare ogni volta un ascolto diverso sulla base del peso relativo delle diverse variazioni che mentalmente vengono richiamate da quella che sta suonando in quel momento particolare...
Ovviamente avrete pensato subito che avessi in mente, per antonomasia, le Variazioni Goldbach... ehm, scusate, volevo dire le Variazioni Goldberg di Bach. Forse non sapete, però, che sì, pensavo proprio a Bach, ma anche, contemporaneamente, per antonomasia, a Uri Caine. Alle sue Variazioni Goldberg, ma anche al suo Mahler (che a sua volta, tanto per dire, nella sua Sinfonia n. 1 citava, variando in minore, nientepopodimenoché Fra Martino...).
Il jazz, da questo punto di vista, è un po' il nirvana delle variazioni, con i suoi standard declinati miriadi di volte.
 
Non propriamente una variazione, un'esecuzione rappresenta comunque un'istanza concreta e particolare di un ipotetico ideale astratto di composizione musicale: diverse esecuzioni di uno stesso brano sono l'occasione per cogliere l'ingrediente "personale" dell'esecutore, e giudicarne la bravura. Ora, qui io metterò in mostra tutta la mia ignoranza musicale, perché sono assolutamente incapace di giudicare la bontà di un'esecuzione, e mi limito a cogliere l'affinità, del tutto soggettiva, fra l'opera (in astratto) e il mio personalissimo gusto musicale. Credevo che la principale ragione di ciò fosse da cercare nel fatto che rarissimamente mi capita di ascoltare esecuzioni diverse di una stessa opera. Credevo che la ragione andasse ricercata lì perché credevo risiedesse lì il concetto stesso di "competenza di giudizio": nell'abitudine ad usufruire con una certa frequenza di certe esperienze, nell'ambito del loro più o meno naturale ambito di variabilità, nel saper cogliere le differenze e quindi, quasi automaticamente, nel saper riconoscere le varianti migliori.
Perché mai non sono in grado di riconoscere la bontà di una bottiglia di vino? Sì, ok, per tutta una serie di ragioni, ma prima di quelle viene il fatto di non essere un bevitore abituale.
Messi per la prima volta di fronte a, tanto per dire, un balletto di danza classica, sapreste giudicare la qualità della performance?
Allo stesso modo, per quel che mi riguarda, è già tanto saper dire che preferisco la musica rinascimentale e barocca a quella sinfonica ottocentesca, perché è già tanto se ho avuto modo di ascoltare diversi brani di quei diversi generi, ma non addirittura diverse esecuzioni di medesime composizioni.
 
Poi arrivò YouTube.
 
Certo, soprattutto per la musica classica, quel che si trova su YouTube non può certo considerarsi un campione rappresentativo del "naturale ambito di variabilità". Però, con tutte le cautele del caso, un minimo di esplorazione la consente.
Così, non ricordo più come, diciamo pure, ancora, serendipicamente, scopro il Si dolce è 'l tormento di Monteverdi nell'esecuzione di Marco Beasley e Guido Morini (Accordone). Mi piace molto, ma mi accorgo subito che c'è qualcosa di insolito: il modo di cantare di Beasley non è quello tipico delle esecuzioni di musica rinascimentale (non chiedetemi dettagli tecnici che non saprei come chiamare: forse l'espressione giusta è voce impostata, che mancherebbe a Beasley, ma un musicista potrebbe storcere il naso). In effetti poi scopro che questo Beasley è presente su YouTube con un repertorio piuttosto variegato, che spazia, pur restando in qualche modo nell'orbita delle sonorità barocco-rinascimentali, dalla tarantella pugliese (La Carpinese, Marco Beasley e L'Arpeggiata) alla musica tradizionale napoletana (badate alla differenza notevole fra questa sublime versione di Beasley de La canzone del Guarracino, così barocca e rinascimentale, e quest'altra versione in concerto con Pino De Vittorio, in cui canta ancora lo stesso Beasley ma che è chiaramente dominata dallo stile dell'altro, nel suo essere, come commenta Beasley stesso a un certo punto verso il finale (minuto 5:45), proprio Napoli esagerata, da intendere in un senso che, personalissimamente, non è proprio un complimento).
 
Bazzicando ancora su YouTube attorno a Beasley, concedetemi quest'altra parentesi, ho scoperto anche queste variazioni (Se l'aura spira) di Frescobaldi, che sono davvero bellissime, io non le conoscevo, non solo in questa particolare esecuzione del Beasley con un anacronistico ma icastico clarinetto in vece di flauto, e infatti ho poi scoperto che il loro tema, che Frescobaldi stesso chiamava la follia, altri non è che una sorta di precursore (lo chiamano the early folia) del più famoso tema omonimo (the late folia), che tanto mi fa impazzire, ogni volta, a onorare il suo nome, e che proprio in questa occasione ho scoperto potrebbe dare la polvere, di gran lunga, a qualsiasi standard jazz, quanto a popolarità come oggetto di variazioni (Which composers have written variations upon La Folia (in chronological order)?), e io che pensavo solo a Corelli.
Chiusa parentesi.
 
Dicevo, delle interpretazioni di Beasley: a conferma dei miei sospetti trovo in coda ai suoi video di musica antica dei commenti (vedi qui a lato) che si indovinano essere di musicisti che giudicano pessimamente l'esito di questi suoi esperimenti musicali. Lo ripeto ancora una volta, il mio gusto musicale è estremamente naif e con poca esperienza, io sono uno di quelli che non si accorge delle oggettivamente, a detta di alcuni miei amici musicisti, pessime qualità come tenore di Andrea Bocelli (pur non amandolo a mia volta, ma, come dicevo, semplicemente sulla base del mio gusto musicale rispetto al genere che usualmente canta).
Forse, dicevo, non basta frequentare certi generi, per maturare un gusto competente, e chissà cos'altro mi manca, perché rispetto a tutte le altre versioni "più classiche" che trovo su YouTube, il Si dolce è 'l tormento di Beasley è di gran lunga quella che preferisco.
 
 

14 June 2012

Android App of the Day: Sound Boost


Sound Boost:
davvero bruttina l'icona, vero?
Con questo post inauguro una nuova rubrica di questo blog (non ridete, non sto scherzando!) che chiameremo Android App of the Day (sì, sì, qui invece sto scherzando: è ovvio che non ci sarà una puntata al giorno!).
Da qualche tempo ormai sono un felice possessore di un HTC desire Z che, pur fermo ad Gingerbread e con un hardware ormai sorpassato (800MHz di single-core CPU e 512MB di RAM), resta un gioiellino ormai raro: sapete che HTC non farà più di telefoni Android con tastiera fisica QWERTY a scomparsa? E secondo voi con cosa li scrivo, pian piano, giorno dopo giorno (quei giorni che in treno non siamo sardine, ovviamente), tutti i post che stanno cominciando a ripopolare questo blog?
In questa rubrica, dunque, segnalerò le app più interessanti che uso sul mio droidino.
Ottenere i permessi di root su questo device è risultato essere una procedura estremamente lunga e difficile (se avete notizie diverse segnalatemelo nei commenti per favore!) e per mancanza di tempo ci ho rinunciato, per cui tutte le app che descriverò saranno perfettamente installabili e funzionanti anche senza permessi di root.
Tenderò poi a privilegiare le app inspiegabilmente meno note seppur utilissime.
 
E cominciamo appunto, nella puntata di oggi, con un'app stupidissima eppur intelligentissima: Sound Boost. Stupidissima perché fa una cosa soltanto: aumenta l'estensione massima del volume per l'uscita audio multimediale se sono inserite le cuffie. Intelligentissima perché, a differenza di altre app simili in circolazione, non agisce via software sul segnale digitale, ché andrebbe incontro a ovvi problemi di distorsione da clipping per saturazione, ma ottiene l'effetto voluto deviando il segnale audio, quando vengono inserite le cuffie, dal canale "multimediale" a quello "vocale" (non chiedetemi dettagli tecnici: immagino c'entri il DSP, ma, appunto, lo immagino soltanto).
Per questo preciso motivo, in realtà, l'effetto boost non è garantito, e dipende dalle specifiche hardware del telefono.
In ogni caso non si tratta di una modifica irreversibile (disabilitando o disinstallando l'app, tutto torna come prima), e soprattutto... a me funziona!

12 June 2012

La solitudine del pensiero

Non c’è nulla di più difficile in letteratura che descrivere un uomo che pensa. A chi gli chiedeva come facesse a inventare tante cose nuove, un grande scrittore rispose: pensandoci continuamente. E in verità si può ben dire che le idee inaspettate si presentano appunto per il fatto che le si aspetta. Sono in non piccola parte un risultato del carattere, di tendenze costanti, di ambizione tenace e di assiduo lavoro. Come deve essere noiosa questa perseveranza! Sott’altro riguardo, poi la soluzione di un problema spirituale si svolge all’incirca come quando un cane con un bastone in bocca vuol passare per una porta stretta: egli volta il capo a destra e a sinistra finché il bastone scivola dentro; e noi facciamo altrettanto, con l’unica differenza che noi non tentiamo così a casaccio, ma per esperienza sappiamo già pressappoco come si deve fare. E anche se un uomo intelligente pone nelle sue rotazioni maggior destrezza ed esperienza di un cane, lo scivolar dentro avviene di colpo e anche per lui giunge inatteso; ed egli percepisce chiaramente in sé un leggero senso di stupore stizzoso che i pensieri si sian fatti da soli invece di aspettare il loro artefice. Molta gente oggigiorno dà a quello stizzoso stupore il nome di intuizione, dopo che per molto tempo lo si è chiamato ispirazione, e credono di dovervi vedere qualcosa di superpersonale; invece è esclusivamente impersonale, cioè l’affinità e l’omogeneità stessa delle cose che si incontrano in un cervello. Quanto più il cervello è acuto, tanto meno la si nota. Perciò la meditazione, finché non è condotta a termine, è in fondo uno stato pietosissimo, una specie di colica di tutte le circonvoluzioni del cervello, e quando è finita non ha più la forma del pensiero in cui la si compie, ma già quella di ciò che si è pensato; ed è purtroppo una forma impersonale, perché il pensiero è allora volto verso l’esterno e preparato per esser comunicato al mondo. Per così dire, insomma, quando un individuo pensa, è impossibile cogliere il momento tra il personale e l’impersonale, quindi la meditazione è un tal guaio per gli scrittori, che essi preferiscono evitarla.
L’uomo senza qualità ad ogni modo stava pensando. Bisogna concluderne che, almeno in parte, ciò non era un fatto personale. E che cos’è, allora? Mondo che va e che viene; aspetti del mondo che si configurano in un cervello.
Robert Musil, L'uomo senza qualità, capitolo 28
 
Mi è tornato in mente leggendo The loneliness of making sense su BackReAction.

29 May 2012

Ciotole Gouldiane [era: Tom Waits [era: Serendipity]]

Continua la serie di post in risposta ad un commento del post precedente (si era già off-topic e la mia risposta si allungava...)
Ciò che evolve deve avere tre caratteristiche. Primo, deve esistere, secondo deve mantenere un’identità attraverso il tempo, terzo deve cambiare. Entità come specie, genere, famiglia e così via non esistono nella realtà, ma sono definibili solo arbitrariamente, perciò (e per altri motivi) le escluderei. L’individuo, o il gene, non hanno una continuità individuale nel tempo. L’individuo muore, il gene scompare oppure diventa un altro gene e non è più se stesso. Perciò li escluderei. (E’ da notare che ciò che evolve è ente diverso da ciò che viene selezionato, in quanto la selezione è sempre negativa, taglia e basta. Quindi l’individuo o il gene possono essere ciò che viene selezionato, ma non ciò che evolve). Direi che l’unico che può ambire al titolo è la popolazione, intesa come insieme di individui fra cui c’è scambio genico. Ancora meglio, il pool allelico della popolazione. Esiste, attraversa il tempo mantenendo una propria individualità, ma cambia mano a mano.
Non vorrei aprire un dibattito ontologico (quando scopri Quine, frasi come "per prima cosa qualcosa deve esistere", "sono definibili solo arbitrariamente, quindi non esistono", lasciano il tempo che trovano...), però, però...
Intendiamoci: a naso il tuo discorso mi piace e direi che mi trova perfettamente d'accordo.
Ma anche la vita, nel suo complesso, esiste, attraversa il tempo mantenendo una propria individualità, e cambia mano a mano.
Sì, questa mia è una provocazione, però la tua precisazione secondo cui ciò che viene selezionato è qualcosa di diverso da ciò che evolve mi insinua il dubbio se si stia discutendo di nomi o di cose.
Il dibattito Gould-Dawkins su quale sia il soggetto fondamentale dell'evoluzione non è un dibattito aristotelico sull'essenza e gli accidenti, ma cerca invece proprio di stabilire quale sia, se ci sia, un piano principale su cui agisce la selezione naturale. Volendo semplificare, per Dawkins la selezione non avviene a livello di specie, di gruppo né di individuo, ma a livello di gene (opportunamente definito in maniera intensiva come una qualsiasi porzione di DNA che sia abbastanza piccola da durare per un gran numero di generazioni e da essere distribuita in un gran numero di copie). Certamente se questa tesi, come si legge in giro, si traducesse semplicemente nel fatto che oggetto dell'evoluzione è solo la distribuzione di frequenza allelica di una popolazione, tu e Dawkins andreste felicemente a braccetto. Se poi si facesse notare che, nei casi più semplici, la tua definizione di popolazione come insieme di individui fra cui c’è scambio genico è ampiamente sovrapponibile all'usuale definizione di specie, anche Gould non ti riserverebbe sguardi troppo torvi.
Da una parte, la scoperta di DNA non-codificante, e più in generale la possibilità di analisi statistiche a livello di sequenze nucleotidiche, ha aperto le porte a tutto un modo, spesso fenotipicamente cieco, che si presta magnificamente all'approccio di Dawkins. Dall'altra (io cito sempre l'articolo con Lewontin I pennacchi di San Marco) è evidente che esistano spinte evolutive su piani così diversi (coadattamento, pleiotropia, flusso genico, simbiosi, deriva genetica, allometria...) che sarebbe ingenuo limitarsi ad un singolo approccio.
E allora certo, se consideriamo l'andamento temporale del pool allelico di una popolazione fra cui c'è scambio genico, potremo osservare precisamente, e magnificamente, un andamento evolutivo squisitamente darwiniano. Questo approccio, però, privilegiando il concetto di allele, ignora di principio tutte quelle dinamiche non-alleliche, su cui pure, seguendo Dawkins, si possono innestare meccanismi darwiniani di selezione.
Allo stesso modo, poi, è possibile montare un grandangolo sulla nostra prospettiva e considerare l'evoluzione di popolazioni, di specie, da un punto di vista che sì, potremmo dire ecologico e che sì, si presta bene ad un'analisi "banalmente" Malthusiana à la Lotka-Volterra, ma su cui potremmo ugualmente identificare, sul lungo periodo, dinamiche adattive di tipo darwiniano.
Sono d'accordo, puoi benissimo dire che per una gazzella il ghepardo è semplicemente un fattore ambientale e che i veri competitor della gazzella sono le gazzelle sue simili. Ma questa io la considero (semplicemente) una prospettiva in più (feconda e illuminante), non la prospettiva a cui ricondurre tutte le altre, a quel punto irrilevanti.
Per esempio, prendiamo la tua metafora delle ciotole adattive: è bellissima perché mette in evidenza l'esistenza di vincoli "genetici" (la compatibilità o la competizione fra alcuni caratteri funzionali espressi da certi geni che "compongono" lo stesso organismo) che possono essere altrettanto o addirittura più forti di vincoli più "visibili" come certe caratteristiche ambientali o l'esistenza di determinati predatori o competitori ecologici — a questo proposito mi vengono sempre in mente gli esempi di Diamond sul fatto che zebre, rinoceronti e leoni della savana, potenzialmente utili come animali da macello o da forza lavoro, non sono stati domesticati perché, a differenza delle specie della mezzaluna fertile, non esiste una mutazione capace di renderli mansueti, di farli accoppiare in cattività e di farli convivere in branchi ad alta densità abitativa (le stalle negli insediamenti umani).
Però questo non toglie che, accanto a questi vincoli genetici, gli altri vincoli restino, ed ha poco senso zoomare sempre a livello allelico per descrivere forzanti ecologiche, fisiche, geometriche, che si esplicano a livello di singolo individuo, di popolazione o di specie.

16 May 2012

Tom Waits [era: Serendipity]

Si' si' Vinicio lo so...(ti piace Singapore? fa molto Vinicio per me).
E I'll be gone?
Bello, bello, mi piace che il discorso prosegua.
No, non conoscevo entrambe le tue ultime segnalazioni: le aggiungo di buon grado alla mia playlist degli originali di Tom Waits: sinceramente non le avrei dette molto Capossela, ma mi piacciono (ormai sto imparando ad apprezzare Tom Waits anche al primo ascolto...).
Permettimi però di cogliere l'occasione per ritornare sulle mie tesi, ché continuo a restare della mia opinione.
Prendiamo proprio la Singapore che citi: ci sono diverse linee strumentali più o meno melodiche che si parlano, ma nessuna di esse costituisce l'ossatura portante del pezzo, il suo "basso continuo" (o almeno io faccio una fatica enorme a sentirla, solo qua e là, a sprazzi...). Anche perché spesso il loro gioco è quasi di dissonanza, di tensioni sospese... c'è solo un momento, quando entra una voce di tromba — mi pare sia una tromba — in primo piano, che un briciolo di armonia sembra rischiarare le tenebre del pezzo, ma, appunto, dura poco.
La voce di Tom Waits, poi, in questo pezzo, è davvero completamente neutra dal punto di vista musicale: non traccia nessuna linea, ogni tanto si appoggia su una nota e si tiene lì fino a al momento di risolvere su un'altra, ma il più delle volte si limita ad esprimere la sonorità della metrica delle parole e il ritmo della loro recitazione: sapresti "canticchiare" questa canzone? No, non è possibile, non esiste alcuna canzone in un senso proprio del termine.
Adesso concedimi un po' della tua pazienza e prendi questa cover di tali Blue Flags and Black Grass. Qui ci hanno messo, belli chiari chiari, gli accordi: come la base MIDI di un corso di chitarra per corrispondenza (elettronica) in cui devono rendere in maniera didascalica la struttura armonica del pezzo.
Oppure — pazienta ancora — prendi quest'altra cover di tali Asheville Waits Band: qui, oltre agli accordi, si sente, bella chiara e protagonista, una possibile linea di basso del pezzo.
Infine — e lasciamelo dire subito: questa cover proprio non mi piace e sono stato combattuto a lungo nel citarla per non irritarti, ma mi serve per chiarire il senso del mio discorso — prendi la cover di tal Anna Madorsky: qui invece abbiamo una (mediocre) linea melodica principale.
Ora, ti prego di non fraintendermi: la grandezza (va bene, va bene: uno degli elementi di grandezza) di Tom Waits è proprio il suo lasciare che tutte queste cose (la struttura armonica, l'ossatura di basso, una linea principale del pezzo...) restino in sospeso, siano solo suggerite, debbano essere "immaginate", come l'infinito dietro l'ermo colle, dall'orecchio dell'ascoltatore. Come un piacevole ricordo: vago e indefinito.
Il mio punto, come dicevo sin dall'inizio, è che tale grandezza può essere difficile da cogliere, o almeno che lo è stato per me tempo fa. Nel mio percorso è stato propedeutico l'ascolto di alcune cover che hanno provato a giocare, a mio modestissimo parere con un certo successo, con l'input originale di Tom Waits. Perché chiaramente la linea melodica la Madorsky se l'è letteralmente inventata, pagandone tutto il prezzo. Così come la linea di basso degli Asheville rappresenta anch'essa una loro personalissima interpretazione, con un esito questa volta decisamente più gradevole.

14 May 2012

Le due culture, decadenza di questo blog, etc...

Parlare di scienza richiede certamente più tempo.
E' più di un anno che ho in cantiere (non è vero, ancora oggi è tutto ancora solo nella mia testa) un post (non è vero, nelle mie manie di grandezza avevo in mente addirittura una serie di post!) sulla meccanica quantistica, e in particolare su un parallelo fra la dualità di Fourier del principio di indeterminazione posizione-momento e lo spettrogramma del segnale acustico di un brano musicale (se siete curiosi, sono partito dalla lettura di questo articolo: Time-Frequency Analysis of Musical Instruments).
Sì, sì, certo, figuriamoci: niente di vera fisica, solo un punto di vista interpretativo. E va bene, se proprio ci tenete, chiamatela pure filosofia. Ma non sarebbe il caso di aspettare di aver letto, prima di giudicare?
Eh, sì, aspettare: le calende greche, direte, e avreste ragione.
E' che poi mi è capitata questa cosa del libertarismo, che mi ha aperto un mondo, e mi ha distratto dalla fisica, e spesso vorrei parlarvene, ma i risultati sono stati quelli che sappiamo...
Così poi rinuncio a tutto e mi butto su una cosa semplice-semplice come segnalare un po' di musica, per poi scoprire che anche lì sono capace di seminare veleno fra i miei pochi lettori.
Insomma, a chiamare, ancora, questo, un blog scientifico, vien giustamente un po' da ridere. E allora come lo vogliamo chiamare, questo, un blog adolescenziale dove non si parla d'altro che dell'ombelico del tenutario? Con vaste pretese, che menziona temi alti, massimi sistemi, ma si limita, su quelli, a qualche parola di solletico e poi rimanda, promette e non mantiene?
Ringrazio perciò per l'indulgenza chi ha lasciato, per pietà, l'etichetta cultura alle velleità di questo blog:

26 April 2012

Serendipity

Ascoltare Radio Swiss Jazz e capitare su un pezzo di Nat King Cole.
Cercare Nat King Cole su youtube e capitare sulla cover di Nature Boy targata Pomplamoose.
Scoprire e apprezzare essenzialmente tutte le cover firmate Pomplamoose (che vorrebbe dire pompelmo, se fosse pronunciato così, scritto in inglese, ma in francese) e dintorni.
Cercare su youtube Tom Waits e trovare la cover della sua Green Grass, di Agathe & Fine (e scoprire l'ukulele...).
Cominciare ad apprezzare, pian piano, Tom Waits, anche l'originale, grazie a tutta una serie di cover fra cui Tango Till They're Sore (WaitsWatcher & VamosBabe, St. Vincent), Dead and Lovely (Lady Sings It Better, WaitsWatcher & VamosBabe), Temptation (Babba's Jazz Club, WaitsWatcher & VamosBabe), Get Behind the Mule (Hope Waits, ma no, non è la figlia di Tom Waits, anche se, dice, le sarebbe piaciuto) e New Coat of Paint (WaitsWatcher & VamosBabe), tanto per citarne alcune.
 
 
PS
Con la musica è difficile fare un post. Volevo dilungarmi a spiegare come il mio rapporto con Tom Waits, cominciato male anni addietro quando ero partito direttamente da lui medesimo, sia inaspettatamente cambiato (pian piano, occupando i capillari molto lento) passando attraverso alcune cover (la maggior parte citate qui sopra...). Mi sarei dilungato sulla struttura musicale apparentemente nascosta, nelle versioni originali, dal timbro della sua voce, dalla sua interpretazione e dall'arrangiamento spesso scarno; struttura che invece emerge più chiara e comprensibile (e apprezzabile) in alcune cover particolarmente felici e ben riuscite sia nell'arrangiamento che nell'interpretazione. Avrei ipotizzato che il mio orecchio inesperto aveva avuto bisogno di un'introduzione "catchy", per poter poi tornare ad apprezzare l'originale. Avrei però sollevato alcuni dubbi sull'ipotesi catchy, azzardando un parallelo con il confronto fra il De André puro, e quello "drogato" dalla PFM (avreste usato davvero l'espressione "catchy" per descrivere la trasformazione di De André nel concerto del '79? E del resto riuscireste a dire, per De André, che sono oggettivamente migliori le versioni originali rispetto a quelle progressive? o viceversa?).
Dite che il paragone con De André é eccessivo? É eccessivo quello con la PFM? Entrambi?
Avrei potuto, dicevo, dilungarmi in un post articolato e cerebrale, financo tecnico (di quella tecnicità improvvisata e millantata di chi ha imparato qualche termine musicale e crede, con quelli, di capire la musica). Avrei potuto, ma poi la musica ha quel qualcosa di fisico che difficilmente riesci a cambiare con la teoria, con la testa, con le parole: se certa musica non ti piace, é difficile appassionartici, soprattutto per iscritto.
 
E così, alla fine, conviene non dilungarsi, limitarsi ad una breve segnalazione à la buraku: tanto chi ha modo di apprezzare, apprezza ugualmente (Yoshi, io ad esempio ho apprezzato!).

31 March 2012

Linkiesta [era: ilPost]

Tempo fa (quasi due anni fa...!) tessetti le lodi de ilPost (per ben due volte: ilPost e ilPost/2).
Da un po' di tempo ho scoperto e sto apprezzando Linkiesta.
Il taglio delle tue testate è molto diverso, un paragone è forse inappropriato.
Mi limiterò ad un commento su un caso specifico, su una questione un po' frivola, ma anche no: la storia dei complimenti di Obama a Monti durante il vertice sulla sicurezza nucleare a Seul di qualche giorno fa.
Il caso, giornalisticamente parlando, si sviluppa... ma perché dovrei mettermi a riassumerla anch'io? C'è proprio su ilPost uno dei suoi tipici articoli-riepilogativi che contestualizza e riassume tutta la vicenda: Obama ha elogiato Monti o no?. IlPost, con questo suo stile "rendicontato", sembra seguire uno stile wikipediano: presentarsi come fonte secondaria che raccoglie e condensa notizie prese da fonti primarie, affrancandosi da ogni presa di posizione personale: il Corriere scrive che..., il Fatto riporta che..., il lancio dell'ANSA dice....
Ma, in questo caso specifico, avete notato una cosa? Di tutta la ricostruzione della notizia e della sua evoluzione giornalistica che viene fatta in quell'articolo, manca un piccolo dettaglio.
Quale?
La ricostruzione de Linkiesta riesce ad inserirlo già nel titolo: La vera storia dei complimenti (mai arrivati) di Obama a Monti.
 
PS
A proposito de ilPost volevo cogliere l'occasione per segnalarvi l'esistenza di suoi feed alternativi, "fatti bene": rssdonewell-valz.dotcloud.com/static/ilpost.rss. Non li ho fatti io, però li sto usando correntemente da molto tempo ormai. Direttamente con le parole dello sviluppatore, ecco cosa fa:
  • mette il sottotitolo/sommario prima del testo se c'è
  • scrive l'autore del post, se viene da un blog (da fixare per i blog hostati fuori dal post)
  • eliminazione di alcuni casi di description uguale al contenuto
  • indicazione degli autori che hanno blog hostati fuori dal sito del post
  • link originale dei post-it
  • immagine di apertura dell'articolo se presente
  • indicazione pagine successive se presenti
cosa non fa:
  • Un mirror preciso del feed del post. Purtroppo ho problemi col modulo per il parsing e devo convertirlo in rss 1.0, perdendo tante informazioni utili che sono in tag vari, che io uso per recuperare le informazioni, e che mi dispiace non rendere disponibili, anche se google reader non sembra usarle. Però le immaginine nascoste di feedburner ci sono, quindi non sminchia le statistiche del Post.
e cosa farà (forse, si spera):
  • eliminazione post-it che mandano ad articoli del post

19 March 2012

Letture interessanti

Ho trovato una cosa interessantissima qui (ci sono arrivato leggendo questo), e volevo segnalarvela. Volevo anche aggiungere alcune mie considerazioni, ma non avrei saputo fare meglio di quanto potete leggere qui (ma a anche qui c'è un'opinione interessante). Se poi la cosa vi incuriosisce davvero, potete approfondire qui, qui e qui.
 
Sì, esatto, è un incipit ironico per dire che comincio a non sopportare più il linking anonimo, che ti costringe ad aprire la pagina linkata per capire di cosa si tratta. Il peggio, lo potete immaginare benissimo, è quando l'href di quel link anonimo è uno di quegli shortened URL (siano sempre maledetti), che ti impedisce persino di farti una vaga idea di dove verresti catapultato sbirciando la statusbar del browser quando ti limiti a passarci sopra il mouse.
Sempre che stiate leggendo da un browser dotato di statusbar e abbiate un mouse da passare sopra i link. Se invece state leggendo da un dispositivo mobile siete fregati (e non parliamo nemmeno dell'eventualità che siate addirittura offline).
O, rigirando la frittata, andate a quel paese, io smetto di leggervi subito.
Di natura non sarei del partito TLDR (Too Long, Didn't Read), preferisco l'approfondimento alla brevità twitteriana (applico anch'io una forma di TLDR, ma declinata su scala temporale più ampia di quella di un singolo post: TODR: Too Often, Didn't Read); ma il bombardamento informativo colpisce anche me e il tuo è solo uno dei tanti post che affolla il mio aggregatore: vuoi addirittura portarmi da qualche altra parte? be', come minimo devi darmi qualche riferimento che mi permetta di discriminare quali link val la pena, per me, seguire, quali si riferiscono a cose che ho già letto, e quali invece no, mi piacerebbe tanto, ma proprio non ho tempo.
Costa davvero così tanto indicare di cosa parla il riferimento che mi stai indicando e qual è la fonte?

03 March 2012

Star Trails as Seen From Space — AKA — Wrong Questions


Star trails from space. Credit: Don Pettit/NASA
In ancient time, people were able to tell stars and planets apart by looking at their movements in the sky: stars were fixed (one with respect to the others), while planets were moving around in fancy paths (the term planet actually means wandering star). But such movements take place in days or weeks: if you look at the sky for a moment, everything seems peacefully still. But if you keep looking at the sky for a few hours, you can see that everything is very slowly shifting. Anyway this happens altogether, as a whole, just like the sky itself is shifting. Actually, it is not the sky which moves, but the Earth we are upon, which rotates.
So, if you hold your camera in a fixed position towards the starry sky and take a picture with a very long exposure time, you guess your picture will result blurred since the subject of your photo is moving. But such a subject is not a textured and colorful shape, it's a set of point. And a blurred point is a trail. So what you get is a picture with lot of star trails which dramatically show the Earth rotation as a set of circles of light centered on the pole star (if you are sitting in the northern hemisphere).
Try image searching for star trails to find a lot of examples of such pictures.
 
So far, so good.
 
Then, today (tomorrow for you reader, this blog is not so efficient to keep up with the news), Universe Today pointed out a photo by astronaut Don Pettit which is supposed to reproduce yet another long exposure shut of the sky but taken from the International Space Station (ISS).
 
Well, I can't really understand it.
Let me explain my doubts.
How long is a star trail in a picture depends on how long the exposition time is, but it also depends on the zoom level (expert photographers forgive my gross language, please). However, if we look at the curvature of the trail, it just depends on the exposition time alone. This should be easy to understand: if you leave your camera open for a full 24h day — assuming there is no Sun around with its saturating light — each star trail is a close circle — neglecting the Earth revolution around the Sun... but we already assumed no Sun around :-) — i.e. it is 360 degrees wide. So for each hour of exposure time, we should get a trail 360/24=15 degrees wide.
Well, from a few geometrical consideration from the photo by astronaut Don Pettit it seems to me that the trails in such a photo are something like 15 degrees wide, corresponding to an exposition time of a whole hour.
But if this is the case, the Earth below the sky — a textured and colorful shape — should appear extremely blurred, since the ISS travel as fast as 27 thousands km per hour, completing a full round in just 91 minutes (one hour and a half)!
 
...
 
Ok, ok, wait: maybe now I understand something more: the ISS is traveling at its own velocity, which is not the "a round in 24h" velocity of an observer on the ground. So the "15 degrees for each hour of exposition time" rule is not true any more for an ISS rider camera. In this case we have to account 360degrees/91minutes = 4 degrees for each minute of exposition time. Moreover, since the ISS is not on a equatorial orbit, the center of all the star trails is not supposed to be the polar star any more! (Ok, but it's not easy to recognize the center of the trail circles in quite any (long enough exposed) star trails photo...).
 
So, if I properly estimated the angular extension of the trails in Don Pettit photo as corresponding to roughly 15 degrees, one should guess the photo was taken with a slight less than 4 minutes exposure time. However a James Cason comment below the post says that exposure time was just 30 seconds. If that's true, the star trails should be just 2 degrees wide. But this seems to me quite unconvincing.
Let me try to estimate the degrees of the star trails from the picture.
 
I can see a trail with roughly 100px heigh (roughly 110px from the left side of the picture). Let's say it is r0 pixels away from the unknown center of the star trail circles, and let's call x the angle it spans. So we can write
 
r0*sin(x) = 100px
 
Let's pick another trail on the right: there is one that is roughly 150px high and it's 290px from the left side of the picture, which means 180px away from the previous one, which in turn means it's 180px farther from the center of the trail circles. So, for this trail we can write:
 
(r0+180px)*sin(x) = 150px
 
Resolving for sin(x) in the first equation and eliminating it from the second one, allows us to write:
 
(r0+180px) * (100px/r0) = 150px
100px + (180px*100px)/r0 = 150px
r0 = (180px*100px)/50px = 360px
 
So the center of the trail circles should be at 250px on the left of the left side of the picture (which seems very likely). Substituting r0 = 360px in the first equation, we can solve it for the angle x:
 
360px * sin(x) = 100px
x = asin(100px/360px) = 16 deg
 
which is very close to my first guess. So, if I did everything correctly, I guess the exposure time of the Don Pettit's photo should be something like 16deg / 4(deg/min) = 4 minute long, which is far longer than the 30sec reported by James Cason.
 
Well, 4 minutes is not an hour, but it seems to me quite a long time anyway for allowing the Earth not to be blurred in the photo, so there is still something which I don't understand...
 
...
 
Ok, ok, wait: I just looked again to the photo: there is no evidence, actually, that the Earth is not blurred. There are lighting flashes, and they are sharply and not blurred, but they are just... flashes, so they do not last for 4 endless minutes, but just a fraction of a second, allowing them to appear sharply even within a 4 minutes long exposure photo! And in fact the Earth appear just like a dark shape, without any texture which could allow to tell blurred and sharply apart. Well, no, at further looking, it seem really blurred.
 
Ok, fine, now I'm appeased. I think the star trails are the ones due to the ISS faster-than-Earth-rotation motion, and the photo exposure time is quite short (with respect to the one needed to reproduce a similar picture here on the ground), but not so short to allow Earth to appear sharply. And in fact this is not the case.