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20 December 2012

Lo spreco dell'acqua

Visto che nessuno mi ha (ancora) risposto sulla questione del sovracconsumo delle risorse della Terra, spinto da un analogo post sempre su oggiscienza, Il libro blu dello spreco in Italia: l’acqua, vi propongo un'altra domanda, su analoga questione, ma più specifica: il consumo, ma soprattutto il risparmio, d'acqua dolce.
Nel caso dell'acqua siamo di fronte ad una risorsa che non viene stoccata in quantità significative, e la sua "produzione" è determinata, stazionariamente, dal famoso ciclo dell'acqua. I "volumi di produzione" di tale ciclo sono certamente variabili e posso dunque capire le preoccupazioni di chi biasima pratiche che potrebbero alterarne, al ribasso, i ritmi di produzione. Non mi vengono in mente esempi concreti di tali pratiche, ma le variabili da cui dipende il ciclo dell'acqua (in una determinata regione geografica) direi che ricadono in ambito atmosferico, climatico, orografico persino, ma certamente non nell'ambito del ritmo di consumo dell'acqua stessa. A meno, certo, del caso estremo in cui i livelli di consumo siano tali da esaurire l'intero volume di produzione locale: sto pensando a condizioni di siccità.
Ecco, le condizioni di siccità mettono in luce le contraddizioni che vedevo nel concetto di sovracconsumo: nel caso dell'acqua è evidente che non è possibile consumarne più di quanta ne venga prodotta, al massimo si può esaurirne la disponibilità ed eventualmente ci si può preoccupare della sua distribuzione. In caso di siccità del Po, in un esempio ipotetico, avrebbe senso preoccuparsi che se a Piacenza il consumo d'acqua dovesse essere troppo elevato, a Cremona potrebbero rimanerne senza.
Ma, e vengo finalmente al punto di questo post, se non ci troviamo in condizioni di siccità, il ritmo di utilizzo dell'acqua non mi pare possa incidere sul suo ritmo di produzione. Alla fine, per restare nell'esempio stilizzato di prima, tutta l'acqua del Po va finire in Adriatico, compresa quella che "risparmiamo" quando chiudiamo il rubinetto mentre ci insaponiamo o ci spazzoliamo i denti. L'invito che viene ripetuto a contenere il consumo dell'acqua, anche nelle stagioni umide, mi sembra del tutto analogo a quella storiella per bambini inappetenti che vengono esortati a finire la pappa... perché ci sono bambini poveri che non hanno niente da mangiare: tutto quello che "risparmiamo" sul cibo, che non "sprechiamo", non viene affatto, per il fatto stesso di non essere consumato, convogliato verso l'Africa subsahariana! Allo stesso modo, se non siamo in periodo di siccità, tutta l'acqua che non consumiamo... va semplicemente a finire in mare!
O no? Questa volta è forse più facile smascherare l'errore del mio ragionamento?

05 September 2012

Earth overshoot day

Provo a riprendere con un post dall'ultimo commento del Mau (che avrà di meglio a cui pensare in questi giorni, ma tanto i tempi di questo blog sono sempre stati molto pazienti), col pretesto dell'Earth overshoot day, lo scorso 22 agosto, nella speranza che qualcuno degli ormai rari lettori che ancora passano per questo blog possano aiutarmi a capire qualcosa.
 
Ne avevo letto prima su Linkiesta, Dal 22 agosto esaurite le risorse naturali 2012. Inizia la decrescita infelice?, ma poi ne ha parlato anche OggiScienza, In debito con la Terra, e sono anche andato a spulciarmi il sito ufficiale, Global Footprint Network, ma non riesco proprio a venirne a capo. 
L'idea, sembrerebbe di capire, è che l'uomo consuma più risorse di quante la Terra gliene possa mettere a disposizione, ma tale concetto, prima ancora di qualsiasi conto, mi sfugge completamente. 
Non abbiamo altre "Terre" cui attingere, come riusciremmo a soddisfarli, dunque, quei consumi "extra"? Il conto verrebbe fatto anno per anno, ed è già da un po' di anni che "sforiamo". Il Montesi de Linkiesta sembra concepire una simile domanda, a cui prova a fornire (io credo con una propria certa autonomia d'interpretazione) la risposta più plausibile in questo contesto: le uniche risorse rimaste sono le nostre riserve: riserve alimentari ed energetiche. Ma una tale prospettiva rende l'idea ancora più incomprensibile. 
Davvero, aiutatemi a capire: di quali risorse stiamo parlando? 
Risorse alimentari? Davvero ci sono da qualche parte dei grandi magazzini di, chessò, riso, patate, o altro cibo (evidentemente non deperibile, o liofilizzato...), messo da parte fino agli anni '70 e da cui ormai da un po' di anni abbiamo cominciato ad attingere per tirare a fine anno? La gente muore di fame, in Africa e non solo, certo, ma questo significa che non ce ne sono abbastanza, di risorse alimentari, non significa che ne stiamo consumando più di quante ne produciamo. Si vuol forse dire che il regime di alimentazione di una parte del mondo (quello occidentale) non potrebbe essere offerto parimenti a tutto il mondo? Ma allora si tratterebbe di un problema di distribuzione, di quelle risorse, non di sovracconsumo. 
O stiamo forse parlando di risorse energetiche? Ma a parte quelle rinnovabili (solare, eolico, marino, etc...), tutte le altre fonti energetiche sono per definizione sovracconsumate: la Terra non ha alcuna quota di "produzione" annua di petrolio, carbone, etc: la totalità, il 100% del loro consumo è "sovracconsumato" e non verrà mai più rigenerato dalla Terra il prossimo anno. Al massimo, se volessimo parlare di quota annuale, questa riguarderebbe la loro estrazione, peraltro estremamente variabile, ma anche in quel caso è inverosimile che si sia "stipato" carbone e petrolio estratto fino agli anni settanta e poi cominciato a svuotare le riserve. Forse si vuol considerare un qualche forma di "capacità di smaltimento" dei prodotti di scarto dello sfruttamento di quelle risorse: ma allora stiamo parlando di inquinamento, o di effetto serra (riassorbimento di CO2), concetti molto lontani da quelli di "produzione di una risorsa" e di "suo consumo". 
 
E non pensate che il punto sia il mio fare le pulci ad un articolo di un quotidiano generalista e non scientifico come Linkiesta: anche OggiScienza si limita a rigirare le parole sulla metafora del budget annuale esauritosi già a due terzi dell'anno, e possiamo quasi capirla, in fondo, perché persino sul sito ufficiale del Footprint ci sono pagine e pagine di parole vuote: la sezione Footprint Science si limita a girare in tondo: dicono solo che calcolano l'ecological resource use and resource capacity of nations over time, che pubblicano dati da un po' di anni, suddivisi per oltre 230 nazioni, usando più di 6000 punti dati (?!?) per ogni nazione, esprimendo tutti i valori in ettaro equivalente, etc, etc... Va forse un po' meglio nella sezione Footprint basics in cui si spiega che l'Ecological Footprint misurerebbe di quanta superficie, di terra e di acqua, l'umanità ha bisogno per produrre le risorse che consuma, lo spazio necessario per gli edifici e le strade, e l'ecosistema necessario per assorbire i rifiuti prodotti, come la CO2 (lo spazio per edifici e strade? sì, sì, dice proprio the space for accommodating its buildings and roads!): qui si capisce che effettivamente vorrebbero tener conto dell'effetto serra, ma quali sarebbero le risorse che terra e acqua produrrebbero e che staremmo consumando ad un ritmo maggiore di quello di produzione? Le FAQ e il glossario non migliorano la situazione, rifilandoci per l'ennesima volta sempre le stesse vuote e circolari parole, per cui la biocapacity sarebbe la capacità di produrre useful biologica materials e di assorbire waste materials generated by humans, dove per “Useful biological materials” si intendono quelli richiesti dall'economia (?!?), e le terre e le acque biologically productive sono quelle che supportano una significativa attività di fotosintesi e di accumulo di biomassa usata poi dall’uomo (biomassa alimentare? voglio vedere questi container degli anni '60! Biomassa da combustione? di nuovo, come facciamo a consumarne più di quanta ne produciamo?). 
 
Insomma, se queste sono le argomentazioni sulla decrescita, qualcuno mi aiuti a capire. 
Dal canto mio vi suggerisco, in alternativa, questo video: Are We Running Out of Resources? 
 

28 March 2010

Per una nuova libertà /3

Soluzioni libertarie a problemi attuali: conservazione, ecologia, sviluppo — Inquinamento
È interessante notare che ci sono due aree in cui l'inquinamento è diventato un problema grave: l'atmosfera e l'acqua, e in particolare i fiumi. Si tratta però proprio di quelle aree in cui non è ancora concessa la proprietà privata.
I fiumi, e anche gli oceani, sono in linea di massima proprietà dello Stato; la proprietà privata, e comunque la proprietà privata completa, non è mai stata concessa per le acque. In definitiva, quindi, i fiumi appartengono agli Stati. Tuttavia il diritto di proprietà dello Stato non è un vero diritto di proprietà, giacché i funzionari del governo, pur potendo controllare tale risorsa, non possono raccogliere i frutti del suo valore capitale sul mercato: non possono vendere i fiumi o venderne i titoli in borsa. Di conseguenza, non sono economicamente incentivati a preservarne la purezza e il valore. I fiumi, quindi, dal punto di vista economico, sono "proprietà di nessuno"; perciò, i funzionari hanno permesso che i fiumi potessero essere inquinati e rovinati. Chiunque ha potuto scaricare rifiuti nelle acque. Consideriamo ciò che succederebbe se le imprese private potessero possedere laghi e fiumi. Se una compagnia privata fosse proprietaria del lago Eire, ad esempio, chiunque vi scaricasse rifiuti verrebbe processato per aver aggredito la proprietà privata altrui, costretto a risarcire i danni, a cessare immediatamente l'azione aggressiva, e a desistere da simili violazioni future. Dunque, solo il diritto di proprietà privata porrebbe fine all'invasione-inquinamento delle risorse. È solo perché i fiumi non appartengono a nessuno che nessun proprietario insorge per difendere la sua preziosa risorsa dagli attacchi esterni.
Come ha detto il professor Dolan:
Se la General Motors possedesse il fiume Mississipi, stiamo pur certi che verrebbero chieste alte tariffe per gli effluenti alle industrie e alle amministrazioni comunali site lungo le rive, e l'acqua verrebbe mantenuta pulita, tanto da massimizzare i proventi degli appalti concessi alle imprese che volessero acquisire i diritti all'acqua potabile, alla ricreazione e alla pesca commerciale