Il retaggio libertario: la Rivoluzione americana e il liberalismo classico
L'America, quindi, più di qualsiasi altra nazione, nacque da una rivoluzione esplicitamente libertaria, una rivoluzione contro il potere coloniale, contro le tasse, il monopolio sul commercio, la regolamentazione, il militarismo e il potere del governo. La Rivoluzione portò a governi limitati da restrizioni senza precedenti. Ma mentre in America ci fu pochissima resistenza istituzionale all'avvento del liberalismo, apparverò però, sin dall'inizio, forze elitarie potenti, composte soprattutto dai grandi mercanti e coltivatori, i quali desideravano mantenere in vita il restrittivo sistema mercantilista britannico di tasse esose, controlli, e privilegi monopolistici concessi dal governo. Questi gruppi volevano un governo centrale forte e imperialista; in sintesi essi volevano il sistema britannico ma senza la presenza della Gran Bretagna. Queste forze conservatrici e reazionarie apparvero dapprima durante la Rivoluzione, e più tardi formarono il Partito federalista e l'Amministrazione federalista dell'ultimo decennio del XVIII secolo. [...]
[...] il liberalismo classico costituì una profonda minaccia per gli interessi politici ed economici delle classi dominanti che traevano benefici dal Vecchio ordine: i re, i nobili e gli aristocratici proprietari terrieri, i mercanti privilegiati, le gerarchie militari, le burocrazie statali. Nonostante le tre principali e violente Rivoluzioni avviate dai liberali — quella inglese del XVII secolo, quelle americana e francese del XVIII — le vittorie in Europa furono solo parziali. La resistenza fu ostinata e riuscì a mantenere con successo i monopoli terrieri, le istituzioni religiose, le politiche estere e militari, e per un certo periodo riuscì anche a far esercitare il diritto di voto a una ristretta élite. I liberali dovettero concentrarsi sull'estensione del suffragio, poiché era chiaro che gli interessi oggettivi economici e politici della gente comune si identificavano con la libertà individuale. È interessante notare che, all'inizio del XIX secolo, le forze laissez-faire erano ormai conosciute con il nome di "liberali" e "radicali" (appellativi riservati agli esponenti più puri e coerenti), e che l'opposizione che voleva preservare o risuscitare il Vecchio ordine fu chiamata genericamente "conservatrice". Infatti il conservatorismo ebbe inizio nei primi anni del XIX secolo come tentativo conscio di disfare e distruggere gli odiosi frutti del nuovo spirito classico liberale — delle Rivoluzioni americana, francese e industriale. Sotto la guida di due pensatori reazionari francesi, de Bonald e de Maistre, il movimento conservatore si prefisse lo scopo di sostituire la parità dei diritti e l'uguaglianza davanti alla legge con un governo gerarchico e strutturato di élites privilegiate; la libertà individuale e un governo minimo con un governo assoluto e forte; la libertà religiosa con il governo teocratico di una Chiesa di Stato; la pace e il libero commercio con il militarismo, le restrizioni mercantilistiche e la guerra come strumento di espansione dello Stato-nazione; l'industria e la libera iniziativa con la vecchia organizzazione feudale e agraria. I conservatori volevano sostituire il nuovo consumo di massa e l'innalzamento della qualità di vita per tutti con il vecchio ordine di sussistenza minima per le masse e il consumo di lusso per l'élite al governo.
Alla metà e sicuramente alla fine del XIX secolo, i conservatori si resero conto del fatto che la loro causa era inevitabilmente destinata a fallire se avessero insistito a pretendere di rinnegare l'enorme crescita del livello di vita del popolo, dovuta alla Rivoluzione industriale, e ad opporsi alla estensione del diritto di voto, ponendosi apertamente in contrasto con gli interessi della gente. Per questo l'ala destra (etichetta nata per una casualità di ordine "geografico" — il portavoce del Vecchio ordine si sedette infatti sul lato destro dell'Assemblea durante la rivoluzione francese) decise che era arrivato il momento di aggiornare il suo credo statalista ripudiando la propria dichiarata opposizione all'industrialismo e al suffragio democratico. Al disprezzo e all'odio del vecchio conservatorismo per le masse i nuovi conservatori sostituirono la doppiezza e la demagogia. Essi corteggiarono la gente col seguente ritornello: «Anche noi siamo favorevoli all'industrialismo e ad un più alto tenore di vita. Ma per raggiungere tali obiettivi, dobbiamo regolamentare l'industria per il bene pubblico; dobbiamo sistituire alle spietate regole del mercato libero e competitivo la cooperazione organizzata, e soprattutto dobbiamo sostituire alle dottrine che distruggono la nazione, la pace e il libero mercato, quei principi che invece celebrano la nazione, quali la guerra, il protezionismo, l'impero e il valore militare.» Perché questi cambiamenti avessero luogo era necessario, ovviamente, un "governo forte" piuttosto che un governo minimo.
Così, verso la fine del XIX secolo, lo statalismo e il "governo forte" fecero ritorno, ma questa volta mostravano una faccia pro-industria e pro-benessere sociale in generale. Tornò il Vecchio ordine, ma ora i beneficiari erano leggermente diversi: non più la nobiltà, i proprietari terrieri feudali, l'esercito, la burocrazia e i mercanti privilegiati, bensì l'esercito, la burocrazia, i proprietari feudali ormai deboli e principalmente i produttori privilegiati. Lanciata da Bismarck in Prussia, la Nuova destra disegnò un collettivismo di destra basato sulla guerra, sul militarismo, sul protezionismo e sulla cartellizzazione obbligatoria degli affari e dell'industria — una gigantesca rete di controlli, regolamentazioni, sussidi e privilegi che rappresentò la base della società formata dal "governo forte" e da alcuni privilegiati dell'industria e del mondo degli affati.
Si doveva fare qualcosa anche per ciò che riguardava il nuovo fenomeno della presenza di un numero enorme di operai salariati — il "proletariato". Durante il XVIII secolo e fino alla fine del XIX, la massa degli operai era a favore del laissez-faire e del libero mercato, ritenute condizioni positive per i loro interessi, sia come lavoratori che come consumatori. Anche i primi sindacati, ad esempio quelli della Gran Bretagna, erano convinti sostenitori del laissez-faire. I nuovi conservatori, guidati da Bismark in Germania e Disraeli in Gran Bretagna, indebolirono la volontà libertaria dei lavoratori versando lacrime di coccodrillo sulle condizioni delle forze di lavoro industriale e introducendo la cartellizzazione e regolamentazione dell'industria, intralciando così, e in maniera non accidentale, la competizione efficiente. Infine, nei primi anni del ventesimo secolo, il nuovo "Stato corporativo" conservatore — allora e tutt'oggi il sistema politico dominante nel mondo occidentale — reclutò sindacati "responsabili" e corporativistici come nuovi membri del "governo forte" e favorì le grandi industrie nel nuovo sistema decisionista, statalista e corporativistico.
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I libertari laissez-faire [...] erano stati da sempre chiamati "liberali", ed i più puri e ligi di essi "radicali"; erano detti anche "progressisti" in quanto sostenitori del progresso industriale, della diffusione della libertà e del miglioramento della qualità della vita dei consumatori. I nuovi accademici e intellettuali statalisti si appropriarono degli aggettivi "liberale" e "progressista", e successivamente riuscirono a mettere in cattiva luce i loro oppositori laissez-faire accusandoli di essere retrogradi, "neandertaliani" e "reazionari". Lo stesso appellativo "conservatore" fu attribuito ai liberali classici. [...]
Se i liberali laissez-faire rimasero spiazzati dalla nuova recrudescenza dello statalismo e del mercantilismo in quanto statalismo corporativista e "progressista", un'altra ragione per lo sfacelo del liberalismo classico alla fine del diciannovesimo secolo fu la crescita di un nuovo movimento: il socialismo. Esso nacque negli anni Trenta del XIX secolo e si espanse rapidamente dopo gli anni Ottanta. La caratteristica peculiare del socialismo fu che nacque come movimento politico confuso e ibrido, influenzato da entrambe le ideologie alla base dei due poli politici diametralmente opposti preesistenti: il liberalismo e il conservatorismo. Dai liberali classici i socialisti presero in prestito la franca accettazione dell'industrialismo e della Rivoluzione industriale, la glorificazione della "scienza" e della "ragione" e una devozione, anche se retorica, agli ideali classici liberali quali la pace, la libertà individuale, e il miglioramento del livello di vita. È certo che i socialisti, con grande anticipo rispetto ai corporativisti, furono i pionieri di un reclutamento al proprio servizio della scienza, della ragione e dell'industrialismo. I socialisti non solo fecero propria l'adesione liberale classica alla democrazia, ma si spinsero oltre, reclamando una "democrazia allargata" grazie alla quale "la gente" avrebbe potuto controllare l'economia — e controllarsi a vicenda.
Dall'altro lato, dai conservatori i socialisti presero la devozione alla coercizione e all'utilizzo di quei mezzi statalisti con i quali era possibile raggiungere gli obiettivi liberali. L'armoniosa crescita dell'industria doveva essere realizzata tramite l'espansione dello Stato, il quale doveva diventare una istituzione onnipotente che potesse governare econimia e società in nome della "scienza". Un'avanguardia di tecnocrati doeva avere il controllo completo sulle persone e sulle proprietà di ogni individuo nel nome del "popolo" e della "democrazia". Non soddisfatto della conquista liberale della ragione e della libertà in nome della ricerca scientifica, lo Stato socialista voleva imporre il controllo da parte degli scienziati stessi su tutto e tutti; non soddisfatto che i liberali avevano permesso ai lavoratori di essere liberi di raggiungere una prosperità fino allora neppure sognata, lo Stato socialista voleva imporre il controllo da parte dei lavoratori stessi su tutto e tutti, o meglio un controllo esercitato per loro conto dai politici, burocrati e tecnocrati. Non soddisfatto del credo liberale nell'uguaglianza dei diritti, della uguaglianza davanti alla legge, lo Stato socialista voleva calpestare tale uguaglianza in nome del mostruoso ed impossibile obiettivo di raggiungere l'uguaglianza o uniformità dei risultati — voleva insomma creare una nuova élite di privilegiati, una nuova classe dunque in nome del raggiungimento di tale impossibile uguaglianza.
Il socialismo fu un movimento confuso e ibrido perché tentò di realizzare gli obiettivi liberali di libertà, pace ed armoniosa crescita industriale — obiettivi in realtà raggiungibili solo attraverso la libertà e la separazione del governo da praticamente tutto — con l'imposizione dei vecchi mezzi conservatori dello statalismo, del collettivismo e dei privilegi gerarchici. [...].
Ma la cosa peggiore dell'ascesa del movimento socialista fu che riuscì a scavalcare i liberali classici "a sinistra": cioè, in quanto partito della speranza, del radicalismo, della rivoluzione nel mondo occidentale. Come i difensori dell'ancien régime si sedettero nell'ala destra dell'aula durante la Rivoluzione, così liberali e radicali si sedettero sul lato sinistro; da quel momento e fino all'ascesa del socialismo, i libertari classici libertari rappresentavano la "sinistra" ed anche l'"estrema sinistra" sulla scala ideologica. Addirittura fino al 1848 alcuni liberali francesi militanti laissez-faire come Frédéric Bastiat si sedevano a sinistra durante l'Assemblea nazionale. I liberali classici erano partiti come il movimento politico radicale e rivoluzionario dell'Occidente, come il partito della speranza e del cambiamento in nome della libertà, della pace e del progresso. L'aver permesso ad altri di aggirarli, l'aver concesso ai socialisti di rappresentare il "partito della sinistra" fu un grave errore strategico: i liberali si trovarono così in una posizione ambigua, in mezzo, tra i poli opposti del socialismo e del conservatorismo. Poiché il libertarismo altro non è che un partito di cambiamenti e di progressi nella direzione della libertà, l'abbandono di quel ruolo significò l'abbandono di molte delle ragioni stesse alla base della sua esistenza — o nella realtà o nelle menti della gente. [...].
Negli Stati Uniti il partito liberale classico era da etmpo il Partito democratico, detto anche, nella seconda metà del XIX secolo, "partito della libertà personale". In sostanza era stato il partito non solo della libertà personale ma anche di quella economica; la colonna dell'opposizione al proibizionismo, alle leggi "puritane" e all'istruzione obbligatoria; il campione devoto del libero mercato, della moneta forte (assenza d'inflazione governativa), della separazione del sistema bancario dallo Stato e di un governo assolutamente minimo. Auspicava un potere dello Stato trascurabile e un potere federale inesistente. Per ciò che riguardava la politica estera, il Partito democratico, pur se in maniera non rigida, tendeva ad essere il partito della pace, dell'antimilitarismo e dell'antimperialismo. [...].
Oggi sembrerà strano a molti che un antimperialista possa non essere marxista, ma l'opposizione all'imperialismo iniziò ai tempi dei liberali laissez-faire, come Cobden e Bright in Inghilterra ed Eugen Richter in Prussia. La Lega antimperialista, infatti, capeggiata dall'industriale ed economista di Boston Edward Atkinson (e di cui fece parte anche Sumner) consisteva in gran parte di radicali laissez-faire che avevano combattuto la giusta battaglia a favore dell'abolizione della schiavitù e che poi avevano sostenuto il libero commercio, la moneta forte e il governo minimo. Per loro questa battaglia finale contro il nuovo imperialismo americano era semplicemente parte integrante della loro battaglia peerenne contro la coercizione, lo statalismo e l'ingiustizia — contro il "governo forte" in ogni settore della vita, sia interna sia estera.
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