17 March 2010

Per una nuova libertà /2

Soluzioni libertarie a problemi attuali: conservazione, ecologia, sviluppo

È vero che diverse risorse naturali, nel passato e nel presente, hanno rischiato l'esaurimento. Ma in ogniuno dei casi ciò non era dovuto all'"ingordigia capitalista"; al contrario, la ragione è da ravvisarsi nell'incapacità del governo di acconsentire alla proprietà privata della risorsa — un'incapacità di perseguire abbastanza radicalmente la logica dei diritti della proprietà privata.
Un esempio è quello delle risorse di legname. Nell'America occidentale e in Canada, la maggior parte delle foreste non appartiene a privati ma ai governi federali (o provinciali). Il governo le poi in gestione alle compagnie private. La proprietà privata viene concessa solo per l'utilizzo annuale della risorsa, ma non per la foresta, per la risorsa stessa. In tale situazione la compagnia privata non possiede il valore capitale e quindi non deve preoccuparsi dell'esaurimento della risorsa stessa. Non ha alcun incentivo economico a conservare la risorsa, a piantare nuovi alberi, etc. L'unico incentivo è quello di tagliare più alberi possibile, dal momento che non le viene alcun vantaggio economico dalla conservazione del valore capitale della foresta. In Europa, dove la proprietà privata delle foreste è molto più diffusa, ci sono poche lamentele contro la distruzione delle risorse del legno. Infatti laddove è permessa la proprietà privata delle foreste, è nell'interesse del proprietario preservare e ripristinare le riserve di alberi man mano che procede al disboscamento, affinchè si possa evitare l'esaurimento del valore capitale della foresta.
Quindi negli Stati Uniti uno dei maggiori colpevoli è stato il Forest Service del Dipartimento dell'agricolutra, il quale possiede foreste e concede permessi annuali in base ai quali è possibile far legna, e di conseguenza distruggere gli alberi. Al contrario le foreste private possedute da grandi imprese di legname come la Georigia-Pacific e la U.S. Plywood tagliano gli alberi e rimboscano con metodi scientifici, così da assicurare una riserva futura.
Un'altra conseguenza negativa dell'incapacità del governo americano di permettere la proprietà privata delle risorse fu la distruzione, nel XIX secolo, delle praterie dell'America occidentale. Ad ogni spettatore di western sono familiari il ritratto mistico delle "praterie aperte" e gli scontri spesso violenti fra gli allevgatori di bestiame e gli agricoltori per appezzamenti di terreno. La "prateria aperta" rappresentava l'incapacità del governo di applicare la politica dello homesteading al mutamento delle condizioni del clima secco a ovest del Mississipi. Nell'East, i 160 acri di terreno concessi gratuitamente agli agricoltori che per primi avevano disboscato le terre governative costituiscono un'unità tecnologica funzionale all'agricoltura in un'area piovosa. Ma nelle zone aride dell'Ovest, nessuna fattoria per l'allevamento di bestiame poetva essere organizzata con successo su soli 160 acri di terreno. Il governo federale tuttavia si rifiutò di espandere l'unità di 160 acri e di autorizzare lo homesteading di fattorie più estese. Di qui, la "prateria aperta", sulla quale i proprietari di bestiame potevano muoversi incontrollati su terreni da pascolo di proprietà del governo. Ciò significava però che i pascoli, la terra stessa, non appartenevano a nessuno; era quindi economicamente vantaggioso per ogni allevatore portare il proprio bestiame a pascolare lì e utilizzare l'erba prima possibile, altrimenti sarebbe stata sfruttata da qualche altro allevatore. Il risultato di questo tragico rifiuto di autorizzare la proprietà privata della terra fu un eccessivo utilizzo dei pascoli, la rovina delle praterie a causa del pascolo prematuro e fuori stagione, e l'impossibilità che qualcuno piantasse nuova erba — chiunque si prendeva il disturbo di farlo doveva poi assistere impotente mentre un altro allevatore vi portava a pascolare il proprio bestiame. Di qui i tentativi illegali di molti agricoltori di recintare i terreni appropriandosene — e di qui anche gli scontri delle praterie. [...]
Vi è un settore importante in cui l'assenza della proprietà privata ha causato, e sta ancora causando, non solo l'esaurimento delle risorse, ma anche l'assoluta impossibilità di sviluppare vaste risorse poetnziali. Si tratta dell'enorme e assai produttiva risorsa degli oceani. Gli oceani fanno parte di un demanio internazionale: nessun individuo, nessuna compagnia e nessuno Stato può vantare diritti di proprietà su parti degli oceani. Di conseguenza, essi sono rimasti allo stato primitivo come lo era la terra prima dello sviluppo dell'agricoltura. L'uomo primitivo produceva attraverso le attività di "caccia e raccolta"; cacciava animali selvatici e raccoglieva frutta, noci, frutti di bosco, semi, verdure. Lavorava passivamente all'interno del proprio ambiente, invece di adoperarsi per trasformarlo; dunque egli traeva il proprio sostentamento dalla terra senza tentare di modificarla. Di conseguenza, i terreni erano improduttivi, e solo pochi uomini delle tribù riuscivano a sopravvivere. Solo con lo sviluppo dell'agricoltura, con la lavorazione e la trasformazione della terra attraverso la coltivazione fu possibile l'aumento della produttività e della qualità della vita. E fu solo con l'avvento dell'agricoltura che poté avere inizio la civiltà. Tuttavia, per permettere lo sviluppo dell'agricoltura dovettero essere riconosciuti i diritti di proprietà privata, dapprima sui campi e sulle piantagioni, e successivamente sulla terra stessa.
Per quanto riguarda l'oceano, però, ci troviamo ancora allo stadio primitivo della caccia e della raccolta. Chiunque può catturare i pesci nell'oceano, o estrarre da esso le sue risorse, ma solamente in modo casuale, da semplice cacciatore o raccoglitore. Nessuno può coltivare l'oceano, nessuno può dedicarsi all'acquacoltura. Così veniamo privati della possibilità di utilizzare le immense risorse di pesce e di minerali presenti nei mari. Ad esempio, se qualcuno tentasse di coltivare il mare e di incrementare la produttività delle zone di pesca usando fertilizzanti, questi verrebbe immediatamente privato dei frutti dei suoi sforzi, dal momento che non potrebbe impedire agli altri pescatori di impossessarsi del pesce. Di conseguenza nessuno cerca di fertilizzare gli oceani come avviene invece per la terra. Inoltre, ci sono pochissimi incentivi economici — vi sono anzi dei disincentivi — per chi volesse impegnarsi nella ricerca tecnologica dei modi e mezzi con cui migliorare la produttività delle zone di pesca, o estrarre minerali dagli oceani. Vi saranno incentivi simili solo se verranno concessi i diritti di proprietà di parti di oceani, come avviene per la terra. Già adesso è disponibile una tecnica efficace e semplice per migliorare la produttività dell'industria della pesca [...].
Gli Stati nazionali hanno tentato invano di risolvere il problema della scarsità del pesce con restrizioni assurde e dispendiose delle dimensioni delle reti, della durata delle stagioni di pesca. Nel caso del salmone, del tonno e dell'halibut i metodi di pesca sono rimasti primitivi e improduttivi a causa della limitazione dei periodi di pesca e delle stimolo alla sovrapproduzione in quei periodi. È ovvio che tali restrizioni non fanno assolutamente nulla per stimoplare lo sviluppo dell'acquacoltura. Come hanno detto i professori North e Miller: «[...] Non è nell'interesse di alcun pescatore preoccuparsi del mantenimento dei banchi di salmone. Anzi, è il contrario: è nel suo interesse pescare la maggior quantità di pesci possibile durante la stagione.» North e Miller hanno dimostrato che i diritti di proprietà privata dell'oceano, grazie ai quali i proprietari potrebbe usare tecnologie meno costose e più efficienti e al contempo preservare e rendere più produttiva la risorsa stessa, sono oggi più assegnabili che mai [...].

2 comments:

Weissbach said...

Ti seguo, sai?
Ma come puoi desumere anche dal mio blog non è tempo di... (direi semplicemente che "non è tempo").
Tra l'altro il tema che stai dissodando è importante e tutt'altro che scontato, e si raccorda in tante guise a quello che in tanti stiamo cercando di fare.
Se solo riuscissimo a sganciare il liberalismo dal monopolio che ne è stato fatto da chi, negli ultimi decenni, lo ha dirottato a suo vantaggio particolare.

hronir said...

L'hai detto.
Una delle cose che più mi ha colpito è stato proprio questo modo "trasversale" di vedere le cose (almeno ai nostri occhi — diciamo: ai miei — moderni e senza troppa prospettiva storica), in cui l'abituale dicotomia destra/sinistra ne esce completamente smembrata...