06 January 2013

Democrazia /2 [era: La democrazia per la scienza]

A volte commentare per iscritto in calce ad un post richiede più iniziativa, oltre che tempo e pazienza, che farlo a voce, en passant.
Sulla questione della democrazia, in particolare, ho avuto uno scambio di battute veloce (davanti ad una macchinetta del caffé, non davanti ad una birra).
Provo ad estrarne gli elementi più interessanti, senza pretendere di restare fedele alle posizioni, ché del resto non v'erano, chiare, delle posizioni.
In sintesi, si sollevava l'obiezione che la concezione di democrazia che attaccavo nel mio post fosse un po' un fantoccio argomentativo, perché — diamine! — era ovvio che non si potessero chiamare democrazia delle semplici decisioni prese a maggioranza, chessò (esempio tipico libertario, ma giuro che non l'ho tirato fuori io...!), di uccidere tutti gli appartenenti ad un'arbitraria minoranza.
E per fortuna!
Per fortuna delle minoranze, ovviamente, ma per fortuna anche della conversazione, perché con quell'osservazione aveva messo il dito precisamente nella piaga del concetto di democrazia: se non è la volontà della maggioranza a caratterizzare (e dare fondamento morale) alla democrazia... cosa lo è?
Il discorso, un po' confuso anche perché necessariamente breve per le contingenze dell'occasione, ha visto nominare il termine "costituzione" (che evidentemente fluttuava già nell'aria per via di recenti palinsesti della TV di stato), ma senza i lineamenti di un'argomentazione.
Personalmente, a voler difendere la "causa" della democrazia, avrei pronte delle riflessioni, i cui princìpî di base potrebbero essere racchiusi nella sfera semantica del termine "giusnaturalismo", ma — ovviamente col senno di poi — portano dritte dritte ad una società libertaria, non certamente "democratica".
Mi piacerebbe tanto, perciò, sentire voi, se avrete la pazienza, il tempo e l'iniziativa di commentare per iscritto: come vi muovereste da qui? riuscireste a tornare saldi sul concetto di democrazia? prendereste un'altra direzione? quale?

28 comments:

Unknown said...

Interessante tema.
Ho commenti su diversi punti in proposito.
1) Vogliamo in approccio scientifico alla sociologia, all'economia, a ? Allora, avanti con l'analisi quantitativa. Una citazione per riassumere: “You can’t manage what you don’t measure.”[1]. Personalmente sono speranzoso che questo sarà il modo in cui queste discipline si svilupperanno in futuro. Quando ho scoperto che la "Curva di Laffer" che viene raccontata, anche nelle scuole superiori, come un fatto naturale dell'universo socioeconomico non ha quasi alcuna prova empirica sono rimasto agghiacciato (un episodio divertente in merito qui[2]).
2) La democrazia "tout court" è un concetto un po' troppo vado. Sicuramente nella versione di "dittatura della maggioranza" - e.g. la folla che lincia il colpevole di un crimine, per quanto odioso[3] - non è un buon sistema.
3) C'è anche il problema dell'implementazione pratica di una democrazia rappresentativa, ma non conosco abbastanza bene il teorema di Arrow per lanciarmi in conclusioni.

Detto questo, mi fermo.

Cristian
[1] http://hbr.org/2012/10/big-data-the-management-revolution/ar/1
[2] http://blogs.discovermagazine.com/cosmicvariance/2007/07/13/the-best-curve-fitting-ever#.UOlVPdHXqlg
[3] http://www.corriere.it/esteri/13_gennaio_03/india-deputato-stupro_3f0fa85a-55c0-11e2-8f89-e98d49fa0bf1.shtml

hronir said...

Eh, sugli approcci quantitativi all'economia ha una posizione meno netta della tua: diciamo che sposo le critiche di Hayek (ri-cito per l'ennesima volta il suo discorso di accettazione del nobel: La pretesa di sapere, in inglese The Pretense of Knowledge), ovvero, semplificando, che in economia non sempre ciò che si riesce a misurare coincide con ciò che è rilevante; e più in generale che i tentativi di importare i metodi quantitativi delle scienze dure in ambiti sociologici è spesso semplicemente ingenuo (ne avevo parlato un po' nella terza puntata della saga sulla spiegazione scientifica).

Sulla questione della democrazia, hai eluso precisamente la mia domanda: se non è la dittatura della maggioranza, cos'altro può essere?
Citi il teorema di Arrow: anche il mio interlocutore alla macchinetta del caffè ha sollevato il problema del criterio di voto, ma la mia domanda vorrebbe essere più profonda: quale che sia il meccanismo di voto, alla fine c'è sempre una decisione presa da un sott'insieme proprio dei cittadini che deve essere imposta a tutti. Come se ne esce? O forse non si desidera uscirne? Ma in quest'ultimo caso, allora, come e dove si traccia la linea per escludere l'uccisione di tutti quelli dai capelli rossi?

Maurizio Manetti said...

No, perché l'uccisione di quelli con i capelli rossi? In una società veramente democratica dovrebbero essere condannati a morte tutti coloro che sono favorevoli alla pena di morte. Così poi la si può abrogare ad unanimità. :)
Non ho lucidità e tempo per un intervento serio...

fabristol said...

"se non è la dittatura della maggioranza, cos'altro può essere?"

Troppo facile -per me almeno ;) - è ovviamente la dittatura di una minoranza ben organizzata. Ed è lì il punto su cui bisogna premere quando si cerca di far ragionare le persone.
Una volta che la gente capisce tutto questo tutto crolla come un castello di carte (be' insomma, diciamo se vogliono farlo crollare).
Sulla costituzione Hoppe come Mises e Rothbard che al contrario di quanto si pensi è la giustificazione della violenza per iscritto. E se parlavano di quella americana figuriamoci di quella italiana che per ogni articolo di ce: "sei libero di fare questo ma entro i termini di legge.". In pratica una presa per il culo.

Giuseppe Lipari said...

Dico timidamente la mia.

La democrazia è la dittatura della maggioranza, almeno finché la minoranza l'accetta, dopo è guerra civile (ovvero non esiste più una società).

Detto più charamente: prima di cominciare il gioco della democrazia, una società si da delle regole (la costituzione) che delimitano cosa è ammissibile (ovvero accettato da tutti). Come quando si comincia un campionato di calcio, ci si mette d'accordo sulle regole del gioco del calcio, nella società-stato in cui viviamo, le regole sono la costituzione più altre leggi di contorno. Dopodiché, si comincia a giocare alla democrazia. La maggioranza ha diritto di esercitare il potere "a maggioranza", o meglio, la minoranza ha il dovere di accettarne le decisioni, finché non vengono violate le regole del gioco. Se la minoranza crede tali regole vengano violate in maniera inaccettabile, ha il diritto/dovere di ribellarsi, e naturalmente a quel punto la guerra civile è uno sbocco plausibile: non esiste più una società, perché non siamo d'accordo sulle cose fondamentali.

Ovviamente, alcuni potrebbeo non essere d'accordo fin dal'inizio con le regole di partenza. Voi libertariani (si dice così?) mi sembrate appartenere a ques'ultima categoria, almeno a leggere quello che scrivete nei post... :)

Giuseppe Lipari said...

Dimenticavo: ho una domanda per voi lbertari che mi frulla in testa da qualche giorno. Come si pone un libertario di fronte ai recenti fatti di sangue negli USA? mi riferisco alla vicenda della scuola di Netwon e agli altri episodi di persone squilibrate che fanno stragi in luoghi pubblici.

Immagino che il solo menzionare l'argomento "gun control" faccia rizzare tutti i capelli in testa a un libertario. E' vero? Se è così, siete allora d'accordo con le posizione della NRA? Grazie in anticipo a chi mi vorrà rispondere!

hronir said...

Eh, fabristol, ma infatti la domanda non era per te! Sto appunto provando un approccio "maieutico", senza urla e con garbo, nel tentativo di far almeno infiltrare dei tarli, chissà che prima o poi il castello crolli (mi sa che te l'ho già detto, ma più di una persona mi ha confessato di essere profondamente infastidita dai toni dei tuoi post... e devo ammettere che anch'io non so se mi sarei mai convinto in quel modo, in fondo li capisco).

Giuseppe, innanzitutto grazie per il contributo, temevo già di dovermi abituare ai rotolacampo, con questo mio approccio di cui dicevo a Fabristol, in questo blog già rarefatto :-)
Proprio per questo rispondo subito sulla questione delle armi, ma solo perché in realtà vorrei evitare di rispondere. L'argomento è delicato, il rischio di cadere in discussioni senza uscita e di allargare ulteriormente il baratro è praticamente una certezza. La questione dei diritti fondamentali è profonda, limitarsi a prenderne uno, la possibilità di autodifesa, e imbastire una discussione su quello (lasciando oltretutto il contesto profondamente ambiguo: le armi ai privati in una società col monopolio della violenza allo stato?) non mi sembra il modo opportuno di procedere, senza nemmeno contare l'aspetto emotivo di una discussione del genere a breve distanza di una tragedia orribile.

Ci tengo di più a rispondere sulla questione della democrazia.
Magari ci torno con un post dedicato, ma comincio già con qualche osservazione.
Di fronte all'obiezione — estrema, certo — di un potenziale voto per lo sterminio di una minoranza, chiamare in causa la costituzione come limite alla sovranità del voto è un po' uno spostare la domanda: cosa forza una costituzione a limitare la sovranità del voto? entro cosa, dovrebbe limitare la sovranità del voto? e soprattutto: con che autorevolezza viene redatta una costituzione, forse (circolarmente) con una votazione?
Del resto quasi sempre, quando si intende difendere le società democratiche (da esportare in Oriente!) l'accento è posto sul concetto di voto e di suffragio, piuttosto che su quello di costituzione. Se invece i valori meritevoli d'esportazione sono certe caratteristiche di una costituzione (fra cui, eventualmente, "la legge della maggioranza" entro i suoi limiti), perché non porre l'attenzione su quelli?
Forse non dovremmo tanto dire che bisogna esportare la democrazia, ma piuttosto sottolineare che dovremmo esportare una democrazia, chessò, che metta sullo stesso piano uomini e donne? che non fa distinzioni di preferenze sessuali? o più genericamente che mette tutti i cittadini sullo stesso piano? Forse sono certi diritti, ad essere meritevoli d'esportazione, piuttosto che dei meccanismi di decisione tramite votazione? Forse è precisamente la difesa di questi diritti (la difesa dalla sovranità del voto) a rendere una costituzione meritevole d'essere esportata?

Infine: il giusnaturalismo (di cui chiaramente sono intrise le domande più o meno retoriche qui sopra) si pone precisamente come un'alternativa pacifica alla legge della maggioranza: non è un pregiudizio, che fuori dalla democrazia ci sarebbe solo guerra civile?

fabristol said...

"(mi sa che te l'ho già detto, ma più di una persona mi ha confessato di essere profondamente infastidita dai toni dei tuoi post... e devo ammettere che anch'io non so se mi sarei mai convinto in quel modo, in fondo li capisco)."

Sì già detto e continuo a rimanere di stucco per questa cosa. Molti libertari mi considerano soft per esempio e anzi a volte mi devo sforzare di fare un po' la voce forte per non essere da meno! vabbè tutto è relativo... ho convertito 5 persone insospettabili in passato tra cui alcuni blogger che mi hanno ringraziato per la chiarezza delle argomentazioni. Se queste persone di cui parli sono rimaste infastidite dai toni vuol dire che non si sono rese conto dei contenuti ma hanno solo guardato alla superficie.
ma è davvero così crudele dire ad un bambino ormai cresciuto che Babbo Natale non esiste?

Comunque mi piacerebbe sentire esempi di miei post troppo duri giusto per capire dove sbaglio e correggermi.

Anyway, tornando all'argomento democrazia e sul commento di Giuseppe: la società non si dà delle regole, le regole vengono imposte da una minoranza che grazie alla violenza o anche pacificamente si trova "investita" di questo onere. Il punto è che le società si danno le regole comunque. Le regole sono dettate da consuetidine, predisposizione della specie a certe regole di buon vicinato e dalla naturale autorganizzazione emergente del sistema, come in un condominio. Infatti nel condominio esiste un amministratore che dirime le dispute ma non governa. Un arbitro insomma senza potere legislativo o esecutivo.
Poi c'è qualcuno che queste regole le codifica e le mette per iscritto su una Costituzione. Ma questo è un secondo passaggio, forzato e di parte, visto che vengono scritte solo le regole che sono utili per quella minoranza. Un po' come la religione che pensa di avere il primato della morale. In realtà la morale viene prima della religione, così come le regole vengono prima dello stato.

"Ovviamente, alcuni potrebbeo non essere d'accordo fin dal'inizio con le regole di partenza. Voi libertariani (si dice così?) mi sembrate appartenere a ques'ultima categoria, almeno a leggere quello che scrivete nei post... :)"

Libertari prego. ;)
Le regole di partenza non le ha firmate nessuno. L'hanno fatto gli antenati di qualcuno per noi ma nessuno ci ha mai dato questo fantomatico contratto sociale da firmare. Siamo nati e abbiamo dovuto seguire queste regole, così come un nero in USA nel 700 doveva seguire le regole del suo padrone solo perché nato da padre schiavo.

fabristol said...

Quello che credo ci prema far capire alle persone è che, come dice Hoppe, non esista alcuna differenza tra essere sudditi e cittadini di una democrazia. Il rito magico del voto non cambia assolutamente il fatto che c'è qualcuno che decide per te qualsiasi cosa. Anzi addirittura (ma qui vado troppo avanti e Hronir potrebbe dire che il mio tono è troppo aggressivo!) le monarchie sono preferibili alle democrazie perché i detentori del potere sono temporanei e non hanno alcun interesse affinché la loro proprietà temporanea rimanga efficiente e intatta. Anzi al contrario di un monarca faranno di tutto per prendere tutto quello che possono prima della fine del loro mandato.
Al contrario il monarca è il proprietario del territorio e se mettesse le tasse troppo alte le aziende e quindi l'economia del suo regno fallirebbero.
Tutto ciò non significa (e questo devo spiegarlo ogni volta) che siamo per la monarchia. ;) Semplicemente vogliamo far capire che tra i due sistemi il meno peggio è la monarchia.
Inoltre l'accesso aperto al potere fa credere si sudditi di poter un giorno salire al potere per approfittare di quella posizione. Questo rende la differenza tra sudditi e padroni quasi inesistente e quindi in democrazia non esiste più una coscienza di classe. "Lo stato siamo noi" ci diciamo e quindi mai andremo contro lo stato che in realtà è retto da una minoranza. In monarchia invece è netta la distinzione tra padrone e suddito. I sudditi sanno di esserlo e come tali vedono nel re il loro vessatore. Il re a sua volta, così percepito, deve stare molto attento a quello che fa e infatti mai un re avrebbe fatto ciò che Monti ha fatto in questi ultimi mesi. Sarebbe stato ghigliottinato!

Giuseppe Lipari said...

Ciao, continuo a non capire. Ci sono le regole o no? Fabristol scrive:

"la società non si dà delle regole, le regole vengono imposte da una minoranza che grazie alla violenza o anche pacificamente si trova "investita" di questo onere. Il punto è che le società si danno le regole comunque. Le regole sono dettate da consuetidine, predisposizione della specie a certe regole di buon vicinato e dalla naturale autorganizzazione emergente del sistema, come in un condominio. Infatti nel condominio esiste un amministratore che dirime le dispute ma non governa. Un arbitro insomma senza potere legislativo o esecutivo.
Poi c'è qualcuno che queste regole le codifica e le mette per iscritto su una Costituzione. Ma questo è un secondo passaggio, forzato e di parte, visto che vengono scritte solo le regole che sono utili per quella minoranza. Un po' come la religione che pensa di avere il primato della morale. In realtà la morale viene prima della religione, così come le regole vengono prima dello stato."

A parte che le regole vengono messe per iscritto anche in un condominio; a parte il fatto che chi subentra in un condominio deve accettare il regolamento e sottostare ad esso, anche se non ha contribuito a firmarlo. Il punto è che qualunque società si da delle regole, il famoso "contratto sociale", e quindi non capisco il vostro punto.

Faccio un esempio: prendiamo una comunità libertaria, 1000 persone su un isola. Si mettono d'accordo e scrivono delle regole di convivenza, e poiché sono libertari, le regole sono poche e "naturali", ad esempio "non uccedere membri della comunità", ecc.

Poi nasce un bambino. Ovviamente, all'inizio il bambino fa parte della micro-conunità che è la sua famiglia, e quindi deve seguirne le regole (almeno credo questo valga anche per i libertari). A un certo punto diventerà grande abbastanza da poter decidere per se stesso, ed "entrerà" nella comunità più grande libertaria. Quindi, gli verrà presentato il foglietto delle regole perché le accetti. Se le acctta, fa parte della conunità, se no è libero di andarsene.

Ora, dal punto di vista meramente e puramente teorico, che differenza c'è con uno stato democratico? Se non ti piacciono le regole, puoi tentare di espatriare; oppure ti compri un'isoletta, e ti fai la tua propria comunità (lasciamo perdere che questo non è praticamente possibile oggi, sarebbe però in teoria possibile in un mondo ideale).

E quindi, siamo al punto di partenza. Qual'è la differenza *essenziale* fra l'approccio libertario e quello "democratico" in voga nella maggior parte dei paesi del mondo?

hronir said...

Uffa, fabristol ha sviato il discorso, io non volevo tornare sui soliti discorsi "utopistici" sulla società libertaria, che sono troppo distanti e facilmente divergenti.

Comunque, per provare a rispondere velocemente a Giuseppe, una prima e importante differenza è che in una società libertaria non ci sarebbe "una sola costituzione" (le regole che hai ipotizzato vengano scritte) e dunque la scelta del "giovane" di cambiare "contratto sociale" non sarebbe vincolata al territorio. Questa è una differenza solo apparentemente "pratica", perché mette invece in luce il problema del monopolio della legge.
Una seconda differenza (per certi versi più importante, e che in un certo senso è quella a cui puntavo, alla lontana, col mio post) è che le "regole" di una società libertaria non assomiglierebbero alle "regole" di una democrazia o di una costituzione. In una società libertaria le "regole" si limiterebbero al diritto, ma in un senso molto circoscritto di "riconoscimento dei diritti individuali". Negli stati moderni la "legge" invade quasi tutti i campi, imponendo regolamentazioni alle interazioni con gli individui su mille questioni che nulla hanno a che fare con la difesa dei loro diritti. In una società libertaria, qualsiasi comportamento che non vìoli i diritti di qualcuno sarebbe legittimamente consentito, lasciando spazio alla libera iniziativa di "accordi fra privati" che non pretendono di estendersi a tutta la collettività.


A me però sarebbe piaciuto che qualcuno avesse provato a rispondere alle mie domande sulla democrazia: quale sarebbe il suo vero valore? davvero la costituzione che ne sta alla base? ma allora quale? o è davvero il meccanismo di voto il suo tratto caratteristico?

fabristol said...

Scusa Hronir... :)

La butto lì poi se vuoi la puoi ampliare e spiegare: la differenza sta che quella libertaria è una società di diritto privato policentrica mentre quella delle democrazie è diritto pubblico monopolista.

"A me però sarebbe piaciuto che qualcuno avesse provato a rispondere alle mie domande sulla democrazia: quale sarebbe il suo vero valore? davvero la costituzione che ne sta alla base? ma allora quale? o è davvero il meccanismo di voto il suo tratto caratteristico?"

Posso rispondere anche io? ;)

hronir said...

Fabristol, stai facendo proprio la parte del secchione antipatico che vuol fare il cocco della maestra: per punizione, per te preparerò un compito a parte, più difficile!

Fuor di metafora, è chiaro che queste mie domande sono un tentativo di dialogo con i non libertari, in questo mio tentativo di chiare le contraddizioni nelle posizioni di chi difende la democrazia come la migliore società, o comunque la meno peggio, che abbiamo: lo so che tu sai tutto, cosa mi rispondi a fare? ;-)

fabristol said...

OK!

Giuseppe Lipari said...

Ok, per chiudere il discorso sulla società: in astratto mi è più adesso più chiaro.

Lo ritengo ancora un po' troppo utopistico: da informatico, non posso che fare un parallelo tra sistemi centralizzati (in queso caso lo stato) vs. sistemi completamente distribuiti (in questo caso la società libertaria). I sistemi centralizzati sono rigidi, statici, poco flessibili, scalano male, e maggiormente soggetti a guasti critici; i sistemi distribuiti sono maggiormente dinamici, maggiormente scalabili, e meno soggetti a guasti critici, ma molto più difficili da analizzare e far funzionare, e in generale richiedono maggiore overhead in termini di scambio di messaggi.

Bisogna dimostrare che un sistema completamente distribuito possa "funzionare" meglio di uno centralizzato caso per caso, perché non è dtto che un modello sia sempre migliore dell'altro in informatica. Nelle scienze sociali, non so!

E sulla democrazia: pensavo di aver risposto. La democrazia è un sistema di interazione tra cittadini (componenti della società) allo scopo di scegliere dei "capi" che amministrano e legiferano. Un sistema, non necessariamente il migliore, ne inevitabile. Per ora comunque, le alternative mi sembra tutte inferiori (monarchia? no grazie).

hronir said...

Ci terrei a non affastellare questioni diverse, ma mi permetto un'ultima chiosa sulla questione della società libertaria, come semplice nota a margine: ci sono molte argomentazioni di tipo "utilitaristico", "welfareistico", "efficientistico", "bene-comune-istico", che sottolineano come una società libertaria sarebbe molto più capace di raggiungere gli obiettivi che le democrazie dichiarano di voler raggiungere ma non riescono a farlo. Accanto ad esse, però, ci sono ragioni *etiche* che depongono a favore di società libertaria indipendentemente dal fatto che essa sia più efficiente. Ma come dicevo, è un discorso lungo a cui si arriva pian piano, non con qualche commento in calce ad un post.



Riprendo invece la questione della democrazia: in democrazia, si diceva, si delega per legiferare, con un meccanismo a maggioranza, a cui poi però tutti (e non solo la maggioranza che vince) devono adattarsi. Le mie obiezioni erano: come si argina il potenziale eccesso di potere della maggioranza? Non basta, si diceva, il meccanismo di voto, perché potenzialmente potrebbe dare adito a "democrazie" in cui alcune maggioranze (se non addirittura minoranze meglio organizzate) prevaricano su certe altre minoranze.

Detto in altre parole: qual è l'elemento "da difendere" delle nostre democrazie? quali sono le regole del gioco di fronte alle quali una minoranza avrebbe, come dici, il diritto/dovere di ribellarsi? o forse — mi viene in mente solo ora che scrivo — si vuole sostenere che è sufficiente il meccanismo di voto per innescare processi che portano più o meno automaticamente all'instaurarsi "delle giuste costituzioni"? (Se fosse questo il caso, non posso non ricordare la lezione di James M. Buchanan, morto proprio qualche giorno fa...)

Unknown said...

Mi scuso per non avere risposto prima. Ma mi sono segnato di leggere la nobel lecture di Hayek (e non ho ancora finito, anche se rispetto a quello che ho letto avrei già alcune cose da dire in merito) e poi non ho avuto più tempo di rispondere qui.

Sono stato volutamente vago nel mio primo commento perché non sapevo da che parte iniziare per affrontare il problema.
In generale credo di essere d'accordo con Giuseppe su vari punti: il fatto per cui una democrazia funziona fintanto che ci sono delle regole "fondamentali" (dove fondamentali andrebbe letto come "naturali") accettate da tutti; il fatto che non è il sistema migliore, ma vince perché è quanto di meglio abbiamo ora; è il sistema al quale siamo arrivati (?) in questo punto della storia.

Rispetto alla domanda "cosa salvare della democrazia=", credo che si possa rispondere che la democrazia (e le costituzioni, che della democrazia sono a un tempo la base e l'effetto) per prima contiene l'idea che l'individuo abbia una certa capacità di autodeterminarsi e abbia alcuni diritti inviolabili e naturali. Nella democrazia si riconosce, in linea di principio, che tutti abbiano la possibilità di godere di questi diritti e non solo alcuni.
Insomma, fatelo dire alla dichiarazione di indipendenza[1] "We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness—-That to secure these Rights, Governments are instituted among Men, deriving their just Powers from the Consent of the Governed, that whenever any Form of Government becomes destructive of these Ends, it is the Right of the People to alter or abolish it, and to institute a new Government, laying its Foundation on such Principles, and organizing its Powers in such Form, as to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness"

Non vuol dire che immediatamente questi diritti diventano di tutti, infatti si è dovuto aspettare il 13° emendamento (dicembre 1865, ossia quasi un secolo dopo) per l'abolizione della schiavitù. Però credo che la democrazia, come forma di governo sia il primo passo da compiere verso una società più libertaria e che non si possa fare altrimenti.

E poi si può evolvere verso sistemi migliori (Wikipedia non è una democrazia[2]) =P

[1] https://en.wikisource.org/wiki/United_States_Declaration_of_Independence
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:DEMOCRAZIA#Wikipedia_non_.C3.A8_una_democrazia_della_maggioranza

hronir said...

Sono contento che tu stia leggendo Hayek :-)
E dev'esserci stato un typo verso la fine: dici che la democrazia è solo un passo verso una società libertaria... sto forse sfondando, con te, una porta già aperta?
Ma dev'essere proprio un typo, visto che dici di essere d'accordo con Giuseppe.

Mi permetto quindi di insistere: se la cosa importante non è il concetto di voto, ma le regole "costituzionali", perché questo "mito" così diffuso per la democrazia, tanto da volerla esportare? Perché non insistere direttamente sui diritti incastonati nella costituzione? Ma, chiaramente, il gioco poi diventa sempre più facile per me: cosa dire, infatti, del fatto che ogni democrazia ne ha una diversa, di costituzione? (Tu infatti hai citato quella americana, "libertaria", pur fra virgolette, da molti punti di vista!)

Mi fermo qui, smettendola in particolare di fare domande. Provo solo, infine, a delineare l'orizzonte che io vedo in quelle domande. E lo faccio notando l'ironia dell'esempio della schiavitù, tirato in ballo in una discussione con un libertario: si tratta infatti di uno dei casi paradigmatici, tanto cari appunto ai libertari, di giustizia "naturale" che allora non stava scritta in nessuna costituzione. Le cose importanti, per i libertari, sono precisamente i diritti, diritti individuali, che nessuna maggioranza può avere l'autorità di violare.

Unknown said...

Ciao,

provo a rispondere alle domande e faccio qualche osservazione.

* l'idea di "esportare una democrazia" è, come si dice a Roma, una fregnaccia. Una scusa buona per giustificare le guerre, pare, ma concettualmente non ha senso almeno non come è stata realizzata praticamente negli ultimi 10 anni. Voglio sperare che la "democrazia" sia qualcosa alla quale si arrivi dopo un processo di affermazione dei diritti civli (la storia dice che il processo può essere più o meno lungo, e anche più o meno sanguinolento) e che poi venga tramandato ai posteri.
2) circa il fatto che Giuseppe ed io parliamo di "costituzioni" e non di diritti. Credo che l'abitudine derivi semplicemente dal fatto che le due cose sono legate e ci sono sempre state presentate così, fin da piccoli (dal Codice di Hammurabi, alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, passando per lo Statuto Albertino)... prendila come una metonimia. Infatti, fatto salvo quello che dico al punto 1 anche chi dice di "voler esportare la democrazia" vuole dire "esportare i diritti" (anzi, credo che qualcuno pensi che voglia dire "esportare lo stile di vita" per fare ancora più presa su chi è disposto a crederci)

Tutto ciò promesso, diciamo che personalmente preferirei che alcuni diritti civili venissero riconosciuti, ma non credo di essere libertario /tout court/ (soprattutto in campo economico).

Infine, a proposito di "migliorare la democrazie" immagino troverete interessante questo articolo (dal numero di Le Scienze di gennaio):
https://dl.dropbox.com/u/11865418/lescienze.pdf

hronir said...

Insisto nel dire che stiamo girando a vuoto, o almeno non intorno al punto su cui volevo concentraste la vostra attenzione.
Provo a riformulare il punto, in maniera tagliente e provocatoria, nella speranza di mettere in luce il punto.

Parte rilevante del concetto di democrazia è quello di voto, di suffragio, di decisioni "a maggioranza".
La mia domanda è: quanto trovate che sia davvero importante questo aspetto, visto che, da solo, potrebbe condurre a dittature della maggioranza e che, per evitare ciò, vengono tirati in ballo diritti e costituzioni?

Per essere ancora più chiaro, darò la mia risposta a questa domanda: per me l'importanza del voto dovrebbe essere completamente nulla: i diritti non dovrebbero essere messi ai voti e su ciò che non è un diritto deve essere lasciata piena libertà ai singoli di accordarsi come meglio preferiscono, e non invece obbligati a seguire le decisioni della (sedicente) maggioranza.


Mi rendo ben conto che è una semplificazione, ma il punto che mi premeva emergesse è appunto quello che il meccanismo di voto e di "legiferazione a maggioranza" è tutto tranne che un valore da difendere.


PS
Avevo letto l'articolo che hai linkato e devo confessarti che mi sembra proprio un bell'esempio per giustificare il mio generale scetticismo sull'adozione plain dei metodi quantitativi nelle scienze sociali: non trovi tutto così terribilmente ingenuo e infantile?

Unknown said...

Hronir,

sono anche d'accordo con il fatto che la democrazia sia, se analizzata oltre al puro valore "ideale", un sistema non ottimale e che "i diritti non dovrebbero essere messi ai voti e su ciò che non è un diritto deve essere lasciata piena libertà ai singoli di accordarsi come meglio preferiscono, e non invece obbligati a seguire le decisioni della (sedicente) maggioranza.".
Però come detto sopra:
1) fammi un esempio di una società dove si è arrivati a capire che tutti devono avere dei diritti dove non si sia passati per qualche forma di democrazia. (Sto dicendo che la democrazia, sub-ottimale com'è, è un passaggio obbligato, anche per le società libertarie)
2) fammi un esempio verosimile di realizzazione di una società libertaria al quale si possa arrivare senza passare per una democrazia.

Cioè prova a darmi un esempio storico o immaginario di società in cui i diritti siano riconosciuti a tutti e che non sia stata, almeno in una fase, una democrazia.

Ripeto, le idee di diritti universali, costituzione e democrazia sono storicamente legate.

Tento ora di rispondere a questa:
"La mia domanda è: quanto trovate che sia davvero importante questo aspetto, visto che, da solo, potrebbe condurre a dittature della maggioranza e che, per evitare ciò, vengono tirati in ballo diritti e costituzioni?"
E sì, è importante perché nel momento stesso in cui supponi di dare a tutti dei diritti uguali - perché sono naturali e inalienabili - caschi nel fatto che devi permettere a tutti di partecipare o almeno influenzare il processo di produzione delle leggi (e di affermazione dei diritti e di implementazione dei doveri).
Inoltre, e qui critico l'idea libertaria un po' più a fondo, l'idea stessa che esista un insieme di diritti "naturali", nel senso che questi diritti siano scritti da qualche parte nel libro del "senso della vita, dell'universo e di tutto il resto" (cit.) mi pare tutta da dimostrare. Cosa succede se due gruppi individuano tra i loro "diritti naturali" due diritti in conflitto? Chi stabilisce quali diritto "è più naturale" dell'altro?
E, ta-da, la democrazia (stavolta intesa proprio come sistema) che hai messo fuori dalla porta nella società libertaria ti rientra dalla finestra al presentarsi del primo problema.
E probabilmente sarà la tanto sub-ottimale democrazia universale e rappresentativa perché nel momento stesso in cui decidi di restringere il potere decisione solo ad alcuni, elevando un gruppo (per quanto largo) rispetto agli altri e gli permetti di arrogarsi il diritto di stabilire quali sono i diritti naturali stai riproponendo il problema precedente (in una versione peggiore, dove un gruppo domina rispetto agli altri). Ironicamente il problema si presenta comunque perché adesso esiste un gruppo (i "parlamentari") in una posizione avvantaggiata rispetto agli altri, ma questo problema potrebbe essere risolto con la democrazia diretta (che però avrebbe altri problemi, per esempio quello della competenza nel merito di una data decisione). Nota che questo vale indipendentemente da quanto il gruppo "di governo" (a questo punto possiamo chiamarlo così) sia illuminato, imparziale o razionale, e che questa risposta me l'hai suggerita anche con la critica che facevi al post di Balbi "Geek di tutto il mondo, unitevi!".

Quindi la democrazia ha un valore ideale ancorato al concetto di "diritti universali", ma mi pare abbia anche un valore dettato da motivi più pragmatici (e anche qui, a posteriori, mi sembra di ripetermi rispetto a quando Giuseppe ed io dicevamo che la democrazia "è il sistema che abbiamo ora e a cui siamo arrivati").

Spero di avere chiarito con i punti 1 e 2 sopra e con l'"esperimento mentale" qui sopra.
Ecco, forse dopo quattro post l'ho tirato fuori, il punto.

Cristian

Unknown said...

(ho dovuto separare perché il commento era troppo lungo)
p.s.: circa l'articolo, dato che non ho approfondito non me la sento di criticarlo troppo, d'altro canto da qualche parte bisognerà pure iniziare, i miglioramenti arriveranno. Una delle critiche che mi venivano in mente rispetto alla parte che ho letto della Nobel lecture di Hayek (non ho ancora finito!) è che ha ragione quando dice che "si sono sopravvalutati ingenuamente le teorie basate sui pochi dati a disposizione" ma d'altro canto spero che a breve la quantità di dati aumenterà talmente tanto che quel problema non esisterà più. Sicuramente, almeno dal punto della quantità di dati disponibili, le cose sono già molto cambiate dal 1974 a oggi.

Cristian

hronir said...

> la democrazia, se analizzata oltre al puro valore "ideale"

Il mio punto sarebbe proprio che la democrazia, per usare le tue parole, "non è ottimale" né dal punto di vista ideale (il concetto di voto e di decisione a maggioranza, come ho cercato di suggerire, non è garanzia del rispetto dei diritti) né tantomeno dal punto di vista pratico (il meccanismo perverso del voto incentiva la nascita di organizzazioni di minoranze di cittadini — le lobby — capaci di ottenere grandi vantaggi dal monopolista della legge e della violenza, lo stato, per non parlare dell'incentivo allo sfruttamento selvaggio di tutti i beni pubblici da parte dei funzionari statali, che sono in carica per un tempo limitato e non hanno alcun incentivo alla preservazione di tali beni e tutti gli incentivi al massimo sfruttamento per il periodo in cui sono al potere).

Inoltre non capisco perché tu stia puntando la difesa della democrazia sul fatto che essa costituirebbe un passaggio fondamentale, storicamente, per una società che rispetti i diritti fondamentali degli individui: ammesso e non concesso che io possa condividere una simile posizione, la questione diventerebbe: ci fermiamo qui? o c'è di meglio? di molto meglio?

Sulla questione di "esempi storici".
Mettere in questi termini il discorso è sempre delicato: la storia è un percorso complesso e miriadi di variabili rendono di fatto ogni "esperimento sociale" del tutto unico: cercare un esempio storico particolare e pensare di poterlo ricondurre completamente ad una sua particolare caratteristica (e.g. il rispetto dei diritti alla democrazia) è ingenuo, se non viene supportato da argomentazioni che prevedono almeno, contemporaneamente, un meccanismo tramite il quale la presunta causa (democrazia) incentiverebbe l'effetto (il rispetto dei diritti), da una parte, e dall'altra un'analisi del fatto che altri potenziali meccanismi antagonisti o concorrenziali abbiano avuto effetti significativamente minori e dunque trascurabili. Quali sarebbero, dunque, quei meccanismi che incentiverebbero, a partire da un processo decisionale a votazione per maggioranza, il rispetto dei diritti degli individui? Io per esempio ho in mente argomenti secondo cui i meccanismi più importanti, da questo punto di vista, sono la libera circolazione di beni ed idee e il loro libero scambio; ecco, vedi: le società democratiche, grazie a Dio, non hanno completamente bandito il libero commercio: come facciamo a dire se il rispetto dei diritti è figlio della democrazia e non invece del libero mercato? questo per ribadire che non basta portare un esempio storico per dimostrare una tesi.
Questa lunghissima premessa per dire che sì, se vuoi posso benissimo citarti casi storici di società senza Stato (l'Irlanda per quasi un intero millennio fino alla conquista dell'Inghilterra nel XVII secolo, l'Islanda fra il X e il XII secolo, ma più in generale ci sono molti esempi di istituzioni private per il diritto: il diritto mercantile, il common law, la Lega Anseatica...), ma non è contando casi particolari che si argomenta.

(segue, blogger ha un limite sulla lunghezza dei commenti)

hronir said...

Nelle osservazioni successive avanzi le tipiche obiezioni al libertarismo di chi in realtà non ha bene idea di come possa funzionare una società libertaria e parte dai preconcetti secondo cui certe cose (le leggi, i diritti) possano essere appannaggio solo dello Stato. Provo a darti qualche risposta volante, ma più con l'idea di stimolarti ad approfondire, che con quella di convincerti (io ci ho messo mesi e mesi, ed ho avuto un ottimo e pazientissimo maestro, oltre che molte letture...)

Dici, ad esempio: "devi permettere a tutti di partecipare o almeno influenzare il processo di produzione delle leggi". E perché, in una società libertaria le leggi sarebbero forse imposte da un dittatore? Non hanno forse, i cittadini, più influenza sulla produzione delle leggi se possono scegliere a quale tribunale appellarsi, invece che averne uno solo, statale?

Ancora: "Cosa succede se due gruppi individuano tra i loro "diritti naturali" due diritti in conflitto?" Be', certamente mettere la questione ai voti (democrazia) non mi pare una bella soluzione. I conflitti ci possono sempre essere, e l'idea del diritto è quella di cercare un'autorità terza che aiuti a dirimere la questione. Gli esempi di società o di istituzioni a-statali che citavo prima, così come lo stesso diritto internazionale fra stati, sono precisamente esempi di possibili approcci del tutto pacifici al problema della risoluzione dei conflitti.


PS
Sulla Nobel lecture di Hayek: il suo punto non era tanto che "i dati sono pochi", quanto che "forse i dati davvero rilevanti non riusciremo mai a misurarli". Se quello che conta davvero sono i "desideri" dei consumatori, e questi cambiano dall'oggi al domani, e l'unico modo sensato di misurarli è precisamente nel livello dei prezzi se sono liberi di assecondare la domanda e l'offerta... be', allora tutti i modelli che cercano dei proxy più semplici stanno semplicemente semplificando troppo e non basterà avere più e più dati: c'è solo da lasciare il mercato libero!

Unknown said...

In effetti devo convenire sul fatto che hai ragione rispetto a vari punti. Quindi letture mi consiglieresti?

Cristian

p.s.: Eppure, guardando Facebook o Gmail o Youtube (e le pubblicità che mi propongono quando li uso), non posso fare a meno di pensare che gli indefinibili "desideri" dei consumatori stiano divendando sempre più misurabili. Non è questione di avere più dati, è che sono anche molto più vari. E da questo (almeno spero) riusciremo a trovare dei modi per misurare quantità che adesso riteniamo non misurabili.

hronir said...

Eccomi, scusa il ritardo nel risponderti.


Sulle enormi potenzialità in chiave analytics del web, sono anch'io curioso di vedere dove andremo a finire: ricordo di aver sorriso, anni e anni fa, per l'idea di Asimov di una psico-storia, ma oggi, nell'era di Internet, quella sembra una possibilità decisamente meno fantasy.
Ci tengo a sottolineare, però, che si tratta di due piani diversi: quello dell'imprenditore, da una parte, che cerca di soddisfare al meglio i desiderata dei consumatori, su cui le potenzialità del web sono enormi, rispetto a quello del legislatore o dell'economista, dall'altra, che cerca di "controllare" il mercato. In quest'ultimo caso ci sono ragioni di principio che rendono anche le metriche del web-analytics semplicemente non pertinenti.

Per tornare a bomba, sono contento di essere riuscito almeno ad incuriosirti!
Su possibili percorsi di lettura, posso descriverti brevemente la mia esperienza, con qualche osservazione in retrospettiva.
Ma gli dedico il prossimo post, per dargli maggiore visibilità, chissà che non interessi anche a qualcun altro :-)

Davide said...

Boh, non sono sicuro di capire il ragionamento, ma provo a dire la mia.
1. La questione dei diritti condivisi e` fondamentale e preliminare non solo ad una democrazia, ma ad una convivenza. La convivenza implica di per se` - mi pare - l'accettazone di alcune regole comuni. E quindi, una riduzione della liberta` individuale, se volete. Forse e` proprio qui una fonte di confusione: la definizione di liberta`. Nel mondo in cui viviamo e` sempre piu` brandita come valore assoluto, e invece secondo me alcuni vincoli non sono affatto sbagliati. E comunque bisogna davvero intendersi sul suo significato.
2. Hronir, tu dici che "su ciò che non è un diritto deve essere lasciata piena libertà ai singoli di accordarsi come meglio preferiscono, e non invece obbligati a seguire le decisioni della (sedicente) maggioranza."
Be', mi viene da rispondere che la democrazia e` proprio questo: un sistema creato dai singoli proprio per accordarsi come meglio credono. O no?

hronir said...

Eccomi, Davide, scusa il ritardo con cui rispondo.

Sono piuttosto d'accordo che possa esserci ambiguità sul concetto di libertà: ad esempio potrei trovarmi d'accordo su pressoché tutte le tue affermazioni del tuo punto 1... a patto di intendere correttamente il concetto di libertà.
Per il libertario la libertà è quella del singolo individuo, che trova limite solo nella misura in cui deve coesistere con precisamente le stesse libertà degli altri, in maniera paritaria, egualitaria: è il principio di non aggressione, del "non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te". In questo senso è verissimo che la convivenza sociale impone dei limiti alle libertà del singolo, precisamente le medesime libertà degli altri.

Ma il punto che sottolineavo è che tali limiti non possono essere intesi come "la libertà di una (sedicente) maggioranza di imporre la propria volontà ad una minoranza" (che è il concetto di "legge" che intende la democrazia): non è possibile uccidere, rubare, né mettere in schiavitù qualcun altro indipendentemente da quel che la maggioranza "legifera", e in generale ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non si può mettere ai voti.

Che poi è la stessa risposta che darei anche per il tuo punto 2: finché i singoli si accordano "liberamente", siamo tutti contenti, ma rischia di essere truffaldino difendere il voto come "sistema per accordarsi" quando Tizio, Caio si mettono d'accordo per imporre la loro volontà anche a Sempronio, no?