15 December 2012

E perché allora il cielo non è viola?

Ah! Io, io, io! Questa la so!
La risposta è: perché non esistono frequenze viola!
 
Per amor di precisione provo a ripescare le fonti che avevo letto ormai molto tempo fa, ai tempi delle api e di compiz, ma mi ritrovo, di nuovo, naufrago tra altre pagine di wikipedia che non conoscevo... e 'l naufragar m'è dolce!
 
Innanzitutto trovo conferma, credo, che lo spettro visibile va dal rosso al blu senza passare dal viola (su internet troverete un sacco di gradienti cromatici in cui compare il viola al di là del il blu, ma photoshop non è una fonte affidabile: se si cercano foto, e non immagini sintetiche, il viola non si vede — cfr. ad esempio , qui, qui o qui).
 
Però, vabbé, il termine violetto è ambiguo, e alcuni, in taluni contesti, io credo, intendono con esso riferirsi ad una specie di indaco, a quel profondo blu che starebbe ancora più in là del blu dello spettro. Perché non è che io sia proprio convinto che davvero, al limite del visibile, al blu si aggiunga una qualche pur debole tonalità di rosso: però non riesco a trovare in rete riferimenti autorevoli né in un senso, né nell'altro. Il dubbio, chiaramente, è che magari, chissà, la curva di sensibilità del cono "L", quello col picco di sensibilità più spostato verso le lunghezze d'onda più lunghe (rosse), abbia una qualche pur piccola gobbetta dalle parti delle onde più corte (blu) dove ha il suo picco di sensibilità il cono "S", in modo da dare, appunto, un tocco di rosso al blu più profondo. Non sono l'unico ad aver avanzato questa "spiegazione" del violetto spettrale oltre il blu: vedi ad esempio questa discussione su wikipedia, e in effetti si trovano in rete delle curve di sensibilità dei tre coni delle più varie (cfr. ad esempio quella della discussione citata prima; quest'altra, sempre da wikipedia, in cui c'è anche la sensibilità dei bastoncelli; questa, che invece di normalizzare sul picco, normalizza sull'area; quest'altra ancora, che sembrerebbe non-normalizzata; quest'altra ancora, anch'essa non-normalizzata e con in più addirittura una scala sull'asse delle ordinate, anche se manca l'unità di misura, e chissà se è lineare o logaritmica; questa, che in tutta la sua bruttezza mette bene in evidenza l'ipotetico sotto-picco del cono "L" nelle frequenze alte... e insomma, ce n'è per tutti i gusti). Però, dicevo, dalle foto "reali" dello spettro cromatico si potrebbe ben dedurre che di rosso non ce ne sia, su quel lato dell'arcobaleno.
 
Del resto io l'avevo ben imparato, ai tempi delle api e di compiz: il viola giace sul lato dritto del diagramma di cromaticità, quello a cui non corrisponde alcuna luce monocromatica: quei colori, cioè, che anche nella loro versione saturata (sulla linea, appunto, e non all'interno del diagramma), corrispondono necessariamente ad una sovrapposizione di frequenze blu e rosse.
Del resto io le avevo ben colte, ai tempi delle api e di compiz, le basi della visione dei colori: i tre tipi di coni — rosso, verde e blu — come tre dimensioni dello spazio di cromaticità, e ogni sfumatura di colore come un punto in quello spazio, individuato da(l logaritmo de)ll'intensità di eccitazione di ciascun tipo di coni. Perfetta corrispondenza con la rappresentazione cromatica nei monitor — dai vecchi tubi a raggi catodici, ai pannelli a cristalli liquidi, al plasma, o a LED — e di conseguenza nelle varie codifiche digitali, RGB per tutte.
Ecco, teoria tricromatica si chiama, e fu elaborata, leggo su wikipedia, nella prima metà del IX secolo da questi Thomas Young e Hermann von Helmholtz.
 
Se non fosse che ora, sempre su wikipedia, ho scoperto che si tratta solo della prima parte della storia, perché nella seconda metà di quello stesso secolo Ewald Hering elaborava la sua teoria dei colori complementari che, sebbene concepita come ipotesi alternativa alla teoria tricromatica, oggi trova fondamento nella moderna neurofisiologia. Questa infatti ha messo in luce processi di elaborazione dell'informazione visiva ulteriori rispetto al dato primario del livello di stimolazione dei tre tipi di coni, che si sono rivelati precisamente come i meccanismi biologici funzionali alla base della fenomenologia che Hering aveva individuato nella visione umana.
Volendo semplificare molto, l'elaborazione dell'informazione cromatica non si limita a considerare il livello di stimolazione dei diversi tipi di coni, ma anche le loro differenze: e del resto, a posteriori, chiamare i coni "M" e "L" rispettivamente "cono del verde" e "cono del rosso" è evidentemente una semplificazione eccessiva, visto che i loro picchi sono molto vicini fra di loro e in particolare il picco del cono "L" cade praticamente in quello che chiamiamo giallo, lasciando quello che chiamiamo rosso all'estremità dello spettro e della sua stessa coda di sensibilità.
Questa elaborazione del segnale di stimolazione dei coni in termini di differenza di intensità avviene già a livello della retina, dalle cellule bipolari alle cellule gangliari, le quali reagiscono da una parte alla differenza di stimolazione fra i coni "M" e "L" (la contrapposizione di Hering fra verde e rosso) e dall'altra alla differenza di stimolazione fra i coni "S" e una combinazione della stimolazione dei coni "M" e "L" (la contrapposizione di Hering fra blu e giallo).
Non starò a riassumere tutto quello che ho scoperto: un bel compendio lo si può trovare nel PDF delle slide del corso di Sistemi Intelligenti Naturali e Artificiali del LIRA-Lab, Laboratory for Integrated Advanced Robotics, dell'Università di Genova — wow!
Mi limiterò ad accennarvi al fatto che mi sono ritrovato a leggere di cose suggestive e immaginifiche come l'effetto Purkinje, di colori impossibili o proibiti e di colori immaginari, che no, non sono il grue e il bleen di Goodman, ma il not-brown reddish green o il not-green bluish yellow...

14 comments:

Maurizio Manetti said...

Da parte mia mi limito a segnalarti questo "trattato" sulla visione a colori (umana):

http://www.handprint.com/HP/WCL/color1.html

hronir said...

@mau: wow, ce n'è da leggere per giorni!

hronir said...

@clodovendro: intendi dire che hai a che fare con laser di quella frequenza? Hai qualche foto a portata? Mi piacerebbe molto vederne qualcuna: su internet ho trovato solo questa, che però ha molto più viola nell'impaginazione che nelle foto dei led (che sembrano di quel profondo blu di cui dicevo nel post...)
Come dicevo nel post, in rete non si trovano (facilmente) info precise. Spinto da questo tuo commento, ho cercato ancora e ho trovato queste indicazioni da un forum che, abbastanza verosimilmente, suggeriscono un "algoritmo" per ricostruire le componenti RGB usuali a partire dalla distribuzione spettrale di potenza (spectral power distribution). Pare però che non si trovino in rete tali color matching functions della C.I.E. espresse in maniera quantitativa. Ma se ci fidiamo del plot indicato, la sensibilità del "cono del rosso" ha davvero un picco minore, piuttosto pronunciato, nella regione del blu, che però non sembra giustificare la tua testimonianza di una luce "viola" a 390nm, perché a quella lunghezza d'onda, all'estrema soglia del visibile, tutte le sensibilità hanno la loro coda residua. La cosa troverebbe conferma nelle immagini dello spettro solare che ho inserito nel post, che fanno sfumare il blu nel nero dell'invisibilità degli UV, ma certamente potrebbe anche giustificare che un laser monocromatico a quella lunghezza d'onda abbia un colore che non è più facilmente legato alla distanza della lunghezza d'onda dai picchi di sensibilità dei coni perché entrano in gioco le normalmente minuscole differenze relative negli andamenti delle curve di sensibilità nelle loro code.

Maurizio Manetti said...

@hronir: sì, infatti, mi pare un lavorone, mi ci sono imbattuto proprio dopo la lettura della vignetta di XKCD e le seguenti ricerche.

hronir said...

Ad ogni modo il cielo è celeste (per definizione — almeno in italiano), quindi nemmeno blu; la spiegazione della "precisa" tonalità d'azzurro che assume deve quindi entrare nei dettagli — semplificando — della convoluzione fra l'intensità per frequenza dello scattering Rayleigh, da una parte, e, dall'altra, la distribuzione spettrale di potenza della radiazione solare. Certamente, però, direi che il cielo non è viola non tanto per la precisa posizione in frequenze del picco di tale convoluzione, quanto perché il colore "viola" non esiste, in qualche senso proprio del termine, nello spettro.

Infine, io non volevo entrare in quei dettagli (come non vi entra la spiegazione "semplice" cui fa riferimento XKCD): volevo solo fare sfoggio della mia erudizione sulla linea dei viola, e raccontarvi della mia ignoranza su tutto il resto. :-)

hronir said...

Che poi ad aver letto la segnalazione del mau, un plot apparentemente autorevole delle XYZ color matching functions lo si trova anche: solo che è immerso in tali e tante spiegazioni delle mille sottigliezze con cui andrebbero maneggiate, che adesso è troppo tardi per approfondire... :-)

Maurizio Manetti said...

Comunque, per rimanere in tema, al di là dell'"esistenza" del viola, il blu del cielo non è che dipende anche dal picco dello spettro solare intorno ai 500 nm?

Maurizio Manetti said...

Ah ecco, appunto, sono arrivato tardi...

Maurizio Manetti said...

http://www.google.com/images?q=violet%20sky

e buonanotte!

hronir said...

Ora sono io che non ti seguo più molto, clodovendro.
Forse ci capiamo di più se ti faccio notare che nel diagramma di cromaticità (quella specie di triangolo con due lati raccordati) la linea curva riporta tutte le frequenze del visibile, mentre il lato "dritto" rappresenta una sorta di combinazione lineare convessa dei due estremi? Se ti faccio notare, cioè, che lo spettro dell'arcobaleno non è un continuo *circolare* di colori (come lo è il cerchio dell'hue), ma lascia appunto fuori il viola?


Se ancora non ci capiamo, provo ad insistere sui punti che sollevi nel tuo ultimo commento.
1) La nozione del colore viola (come quel colore misto fra blu e rosso, che tende al fucsia e al ciclamino quando prevale il rosso, e che tende al prugna/melanzana quando prevale il blu) precede certamente quella di luce monocromatica. Pertanto chiedersi che colore abbia un laser ad una certa frequenza è una domanda empirica, e non la convenzione di un nome, come dici che sarebbe convenzionale chiamare "viola" il colore della luce a 400nm.
2) Certo che l'occhio umano non ha un recettore specifico per ogni colore, ma non è questo il senso in cui dicevo che il viola non esiste (ripeto: il mio punto — ma non è una mia posizione personale! — è che non esista la frequenza del viola, che è una cosa diversa).
3) I monitor codificano in RGB, ma questo non significa che non possano "emettere" il viola: per farlo non gli basta "accendere" una solo delle tre componenti (rossa, verde, blu) con cui costruiscono tutti i colori, ma hanno una ricca gamma di viola tra le loro possibilità.
4) Potremmo anche concordare su una definizione spettroscopica di viola, il punto di cui stiamo discutendo è se ce ne sarebbe una monocromatica o meno.
5) Ovvero il poscritto: mi interesserebbe davvero vedere qualche foto dei laser che citi; il fatto però che dici che le foto sembrano tutte bluastre sembrerebbe confermare le mie tesi (in realtà non è affatto detto, per la complessità del riconoscimento cromatico dell'occhio umano rispetto alla rappresentazione dei colori tramite sensori a semiconduttori; ma certamente il problema non è che "il chip lavora in RGB e quindi non ha un sensore specifico per il viola").

Anonymous said...

Mi sa che il tuo problema con il viola/violetto è anche un problema di traduzione.

Perché il viola degli anglofoni, quello che è misto di rosso e blue, è "Purple", mentre il "violet" violetto è il colore post-indaco o "indaco profondo" nello spettro.

La frequenza del primo viola sicuramente non esiste, del secondo immagino sia questione di definizione (e anche di qualia, forse. Magari il tuo viola è più blu del mio viola perché il tuo cervello è diverso.).

hronir said...

Ops! In tutto il mio elucubrare, non ho pensato ad una questione meramente linguistica...

Indian channel said...
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