23 March 2011

Perché volano gli aerei

Quello del perché gli aerei sono in grado di alzarsi in volo è un fenomeno davvero curioso. Dal punto di vista sociologico, intendo, e sarebbe davvero interessante riuscire a ricostruire quando è nata, e come, e che trasformazioni ha subito la leggenda metropolitana della spiegazione bernoulliana, per così dire, della portanza esercitata dalle ali.
Non ne ho le capacità — ma magari basta solo cercare bene su internet per scoprire che qualcuno ha già fatto questa ricostruzione — e in questo post proverò invece solo ad esporre il vero meccanismo che riesce a sollevare da terra un corpo più pesante dell'aria. Non che abbia avuto io la capacità di scoprirlo, questo meccanismo, o anche solo di smantellare la plausibilità di quello bernoulliano (per quanto, a posteriori, abbia tutta l'aria dell'uovo di Colombo).
Anzi, vi anticipo subito i link a un paio di articoli disponibili online che ho usato come spunto e riferimento per quel che segue: il primo, How Airplanes Fly: A Physical Description of Lift (© Aviation Models, From Sport Aviation, Feb. 1999), in inglese, mi è stato suggerito ormai qualche anno fa dal buon KTF, ed è proprio quello leggendo il quale ho scoperto "la verità"; il secondo è un divertente articolo di Jef Raskin, Effetto Coanda, tradotto in italiano e pieno di esperimenti che potete riprodurre molto facilmente con attrezzatura minima e facilmente reperibile.
 
Ma entriamo nel merito, partendo dalla risposta sbagliata: secondo la spiegazione bernoulliana la portanza sarebbe generata dalla differenza di pressione che si instaura fra i due lati del profilo alare in conseguenza del fatto che la velocità dell'aria sarebbe maggiore al di sopra che al di sotto dell'ala. Sono molti i modi per accorgersi dell'insufficienza, se non dell'inconsistenza, di tale spiegazione (vi lascio all'articolo in inglese citato prima per i dettagli tecnici) e vanno dalla forma del profilo dell'ala (che dovrebbe assomigliare ad un goffo panettone ben lontano da qualsiasi idea di aerodinamicità) alla confutazione sperimentale del principio degli "uguali tempi di percorrenza" dell'aria, al di sopra e al di sotto dell'ala (che, curiosamente, è falso nel senso che la velocità al di sopra è maggiore di quella al di sotto molto più di quanto si dedurrebbe da tale principio, e tuttavia la differenza di pressione che ne seguirebbe non sarebbe comunque sufficiente a sollevare l'aereo). L'articolo in inglese, tra l'altro, ipotizza che la popolarità della spiegazione bernoulliana sia dovuta alla sua semplicità, ma a me la spiegazione in termini di differenza di pressioni non è mai parsa semplice (il principio di Bernoulli si applica in tubi di flusso definiti, e non è affatto ovvio che la colonna d'aria sovrastante l'ala possa ricadere in quell'approssimazione), e comunque, a posteriori, il confronto con la spiegazione "vera" è drammaticamente schiacciante: sia in termini di mera semplicità (i concetti tirati in ballo non richiedono quasi per niente conoscenze di fluidodinamica e si basano invece su elementari nozioni di dinamica newtoniana, disponibili già dopo il primo anno di fisica delle superiori e comunque esprimibili in maniera intuitiva anche a chi non ha alcuna conoscenza di fisica elementare) e sia in termini di potenza esplicativa (dal meccanismo di base di generazione della portanza è possibile giustificare molte caratteristiche elementari dei profili alari — ad esempio che sopra le ali non potete metterci niente, mentre sotto potete piazzarci motori, carico e bombe, oppure che è possibile il volo acrobatico rovesciato, in cui lo stesso profilo alare è in grado di generare, a richiesta, portanza in entrambi i versi, cosa impossibile secondo la spiegazione bernoulliana — e con poca ed elementare matematica da scuola superiore è possibile addirittura comprendere in maniera chiara alcuni elementi fondamentali del volo aereo: l'importanza assoluta dell'angolo di attacco, il fenomeno dello stallo, il meccanismo di regolazione della portanza tramite i flap, la questione della potenza, e quindi dell'energia, necessaria per il decollo e quella per il mantenimento della velocità di crociera...).
Invece la spiegazione bernoulliana resta popolarissima e viene utilizzata addirittura in alcuni manuali di volo. Persino nella pagina di wikipedia dedicata all'effetto Coanda, lo si descrive come un effetto "curioso" che potrebbe essere usato per costruire qualche "bizzarro velivolo" (e che verrebbe effettivamente usato da un particolare tipo di aereo)... per non parlare delle Yahoo!Answers, in cui anche quando la domanda va nella direzione giusta, perché gli aerei volano anche capovolti?, la risposta torna indietro "epiciclicamente" al paradigma bernoulliano.
 
Ma passiamo alla vera ragione per cui gli aerei sono in grado di volare.
Per farla breve, le ali sono in grado di deviare verso il basso l'aria che incontrano nel loro moto orizzontale; per la conservazione della quantità di moto (o, se volete, per il principio di azione e reazione), le ali (e con esse l'aereo) sono spinte in direzione contraria, verso l'alto.
Sì, va bene, ora cercherò di convincervi che le cose stanno proprio così.
Solitamente si disegna il flusso dell'aria come semplicemente "solcato" dal profilo dell'ala, con l'aria che riprende il suo flusso orizzontale dopo aver superato l'ala. In realtà quel che succede è che l'aria aderisce alla superficie alare essenzialmente per viscosità e, grazie alla forma e sopratutto all'inclinazione del profilo alare, ne risulta deviata verso il basso.

fonte: wikipedia, licenza CC-BY-SA-2.5.
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La spiegazione dettagliata del meccanismo di deviazione dell'aria si basa sulla viscosità dell'aria che la fa aderire all'ala e, per successivo moto laminare, provoca una "rotazione" del flusso degli strati d'aria che sovrastano quello a contatto con l'ala, rotazione che asseconda il profilo e l'inclinazione dell'ala stessa.
In maniera meno formale, ma più immediatamente esperibile, l'effetto può essere "toccato con mano" nel famoso esperimento del cucchiaio: prendete un cucchiaio per l'estremità del manico e tenetelo "a testa in giù", a mo' di pendolo, in modo che possa oscillare liberamente in direzione ortogonale alla superficie incurvata della "testa" del cucchiaio. Avvicinate dunque il cucchiaio in questa posizione al flusso d'acqua di un rubinetto in modo che la testa del cucchiaio vada a sfiorare il getto d'acqua con la sua parte convessa, sul lato "esterno". Quel che succederà è che, non appena il cucchiaio sfiorerà l'acqua, questa aderirà a quello e, seguendone il profilo, verrà deviata dal suo moto verticale in direzione del lato concavo, dalla parte della sua faccia interna.
L'esperimento è estremamente efficace perché si percepisce immediatamente, sotto le proprie dita, la forza che solleva in maniera evidente il cucchiaio, libero di oscillare in quella direzione, proprio nel verso opposto alla deviazione del flusso dell'acqua.
Ora: la spiegazione del meccanismo di adesione superficiale, certo, potrà essere di una certa complessità (ma non così elevata da essere surclassata dal principio di Bernoulli: in alcuni licei, senza bisogno di aspettare un corso universitario, il moto laminare viene introdotto facilmente come primo raffinamento del modello del fluido perfetto per fluidi debolmente viscosi), ma una volta preso per buono (eventualmente anche solo "empiricamente" con un esperimento come quello del cucchiaio), è sufficiente a spiegare, con elementi minimi di dinamica newtoniana, quasi tutti gli elementi più caratteristici degli aerei e del loro volo, ed è addirittura sufficiente per una stima non solo qualitativa ma addirittura quantitativa, seppur approssimata, di molte grandezze fisiche coinvolte.
 
Torniamo infatti all'aereo.
Per il pilota l'aria defluirà dalle ali essenzialmente lungo la direzione dell'angolo di attacco, per un osservatore a terra invece l'aria defluirà in direzione verticale: del resto questo è proprio quello che si percepisce davanti a un ventilatore, sotto un elicottero o dietro le turbine di un motore: le pale, infatti, non sono altro che ali rotanti!
Aumentando l'angolo di attacco delle ali, essenzialmente la loro inclinazione, si aumenterà la velocità verticale dell'aria uscente dall'ala, mentre aumentando la velocità orizzontale dell'ala aumenterà la quantità di aria deviata ogni secondo. In entrambi i casi, l'effetto sarà quello di aumentare la portanza.
Proviamo ad essere più quantitativi.
Per la conservazione della quantità di moto, solo per tenere sospeso un aereo di massa m (cioè per avere una spinta di portanza pari proprio a mg, con g l'accelerazione di gravità), è necessario spingere verso il basso, ogni secondo, una quantità d'aria M ad una velocità v tale per cui Mv = mg (per chi ha qualche dubbio, ho semplicemente considerato nulla la velocità iniziale dell'aria, per cui la quantità di moto finale dell'aria è pari proprio alla variazione di quantità di moto; per l'equazione di newton, proprio nella sua formulazione originale, questa è pari alla forza; se l'equazione non vi torna dimensionalmente, è perché la dipendenza temporale è nascosta: a sinistra M è un M(Δt) e a destra invece bisognerebbe scrivere più completamente mg Δt).
Ad esempio un Cessna 172 di circa una tonnellata di peso viaggia a velocità di crociera di circa 200 km/h; ipotizzando che spinga aria verso il basso a circa 15 km/h, dovrebbe spingere qualcosa come 2 tonnellate e mezza d'aria al secondo. A 200 all'ora percorre, in un secondo, una cinquantina di metri abbondanti, per un'apertura alare dell'ordine della decina di metri fanno circa 500 metri quadri; considerando la densità dell'aria di 1.2 kg al metro cubo, viene fuori che quelle due tonnellate e mezza su quei 500 metri quadri corrispondono ad uno spessore verticale di oltre 4 metri: le ali, cioè, spingono verso il basso, in media, ben 4 metri d'aria sopra di esse!
Sono conti "spannometrici", ci sta benissimo un fattore due o tre "d'approssimazione", ma con tutta quest'aria da tirar giù appare ancora più incredibile tornare indietro ad una spiegazione "di superficie" come quella bernoulliana.
 
La portanza come reazione alla deviazione d'aria verso il basso è una spiegazione "semplice", così semplice che c'è molto spazio per raffinamenti, ad esempio le turbolenze ai bordi dell'ala, che rendono rilevante, oltre all'angolo di attacco, anche la forma del profilo dell'ala e dunque un'analisi matematica avanzata di fluidodinamica come quella citata dal risponditore di Ulisse. Ma il principio di base, nella sua semplicità, permette altrettanto semplici spiegazioni di molte caratteristiche del volo aereo.
Cominciamo, ad esempio, col considerare come riferimento l'angolo d'attacco corrispondente ad una portanza pari proprio al peso dell'aereo e col definire un "angolo di attacco efficiente" come l'angolo formato dall'ala rispetto a quell'angolo di riferimento: ebbene, si trova proprio che la spinta verso l'alto o verso il basso è direttamente proporzionale a questo angolo efficiente, indipendentemente dalla specifica forma del profilo dell'ala!
Il pilota, ad esempio ancora, agisce essenzialmente sull'angolo di attacco per adeguare la portanza in risposta all'aumento di velocità dell'aereo (riducendo l'angolo per compensare l'aumento di portanza dovuto alla maggior quantità d'aria deviata), di quota (aumentando l'angolo per compensare il ridotto peso dell'aria deviata per la riduzione della densità dell'aria con l'aumento di quota) o semplicemente per richiedere più o meno spinta per salire o scendere di quota. Secondo la spiegazione bernoulliana, che si concentra solo sulla forma del profilo dell'ala, l'unica variabile che il pilota potrebbe controllare sarebbe la velocità orizzontale.
Aumentando troppo l'angolo di attacco, però, la forza di adesione a un certo punto non è più sufficiente a deviare l'aria lungo il profilo dell'ala, l'aria quindi smette del tutto di essere deviata verso il basso e la portanza bruscamente si riduce: è lo stallo!
Il fatto, poi, che l'aria venga deviata verso il basso seguendo il profilo superiore dell'ala spiega anche come mai sotto le ali gli aerei possono sbizzarrirsi ad avere ammenicoli di ogni tipo, dalle dimensioni certamente rilevanti dal punto di vista aerodinamico, ma, per quello che abbiamo detto, dagli effetti del tutto trascurabili dal punto di vista della portanza (avete mai visto un aereo con le turbine dei motori sopra le ali?).
Per non parlare del volo rovesciato, un'impossibilità totale per la spiegazione bernoulliana, che è invece possibile "semplicemente" gestendo opportunamente l'angolo di attacco dell'ala invertita.
 
Anche dal punto di vista energetico sono sufficienti considerazioni piuttosto elementari per rendere conto delle caratteristiche principali del volo aereo.
Prima di incontrare l'ala, l'aria può considerarsi immobile, per cui la sua energia cinetica finale dopo essere stata deviata verso il basso puó essere considerata essenzialmente come l'energia necessaria a generare la portanza. La potenza, che non è altro che l'energia da fornire ogni secondo, dipende dunque linearmente dalla quantità d'aria deviata ogni secondo (che a sua volta è direttamente proporzionale alla velocità orizzontale dell'aereo) e dipende quadraticamente dalla velocità verticale dell'aria deviata. La portanza stessa, invece, avevamo detto, dipende in modo lineare tanto dalla quantità d'aria deviata ogni secondo quanto dalla velocità verticale dell'aria deviata. Da ciò discende immediatamente un interessante corollario: se raddoppiamo la velocità di crociera dell'aereo, raddoppiamo la quantità d'aria deviata verso il basso, e dunque dobbiamo ridurre l'angolo di attacco in maniera da deviare l'aria verso il basso con velocità dimezzata (il peso dell'aereo, infatti, che stabilisce la portanza richiesta, non cambia). La potenza necessaria al volo, dunque, si dimezza! Al limite, andando abbastanza veloci si può ridurre la potenza richiesta a livelli trascurabili!
Il fatto, però, è che anche andare veloci richiede energia. Quella che abbiamo considerato finora è solo l'energia necessaria a generare portanza, ossia a sollevarci dal suolo. Come succede anche nel caso del moto sulla terraferma, per esempio per le automobili, il dover farsi largo attraverso un mezzo resistente come l'aria richiede energia e in particolare la potenza necessaria a mantenere una certa velocità è proprorzionale al cubo della velocità: semplificando e sintetizzando al massimo, la forza d'attrito è proporzionale alla quantità di moto relativa dell'aria che si incontra; raddoppiando la velocità, la quantità di moto dell'aria che si incontra quadruplica (raddoppia la velocità relativa e raddoppia la massa d'aria incontrata ogni secondo); ogni secondo, dunque, bisogna vincere una forza quattro volte maggiore per effettuare uno spostamento doppio (la velocità è raddoppiata), ovvero è necessaria una potenza otto volte maggiore.
Insomma, per volare è necessario fornire potenza per la portanza (inversamente proporzionale alla velocità di avanzamento) e potenza per avanzare (direttamente proporzionale al cubo della velocità).
A basse velocità, dunque, domina il termine di portanza: la potenza necessaria per sollevarsi e l'angolo di attacco sono considerevoli; a velocità più alte, alzarsi di quota diventa molto più "facile" che aumentare di un po' la velocità di crociera stessa.
Simili argomenti giustificano anche il design diverso di aerei fatti per volare a velocità relativamente basse rispetto a quelli progettati per velocità di crociera più elevate. Se, ad esempio, raddoppiamo la lunghezza dell'ala, raddoppiamo la quantità d'aria deviata ogni secondo, e dunque possiamo ridurre l'angolo di attacco in modo da dimezzare la velocità verticale di uscita dell'aria deviata. Analogamente a quanto detto sopra, la potenza necessaria per la portanza risulta così dimezzata. Al limite, un'ala infinitamente lunga non richiede energia per sollevarsi. Un'ala più lunga, però, deve vincere una resistenza maggiore contro l'aria che incontra. Per questo, dunque, aerei progettati per viaggiare a basse velocità in genere hanno fattori di forma che accentuano l'apertura alare, per ridurre la potenza necessaria alla portanza, dominante a basse velocità, mentre aerei "veloci" hanno in genere ali più corte, per ridurre l'attrito che domina i consumi a velocità elevate.
 
Insomma, la spiegazione di bernoulli pretendeva di spiegare qualitativamente la portanza con un meccanismo "semplice", ma nonappena lo si prendeva un minimo sul serio emergevano dubbi e perplessità (davvero l'aria percorre i due lati dell'ala in tempi uguali? e che forma deve mai avere l'ala per generare portanza a sufficienza?).
Qui invece abbiamo un meccanismo semplice, di meccanica newtoniana, capace di giustificare non solo qualitativamente, la portanza, ma anche quantitativamente, fornendo l'ordine di grandezza giusto per molte quantità fisiche in gioco e giustificando, con una serie di semplici corollari, molte caratteristiche degli aerei e del volo aereo.
 
A posteriori è davvero incredibile come mai fatichi a diventare patrimonio comune un meccanismo così semplice e allo stesso tempo così potente, capace, cioè, di fornire un quadro teorico essenzialmente completo entro cui interpretare la dinamica del volo.

20 comments:

clodovendro said...

Bel post. Chiaro e con pochissima matematica nel mezzo. Lo consiglierò a giro.

Non capisco però una certa rabbia anti-Bernoulli. Applicando le equazioni della fluidodinamica nel modo corretto si ottiene (ovviamente) il risultato che descrivi tu.
La spiegazione sbagliata che viene propinata a destra e a manca proviene da un errata applicazione dei principi, non da un limite delle equazioni.

JB

hronir said...

Grazie.

Be', ovviamente non ce l'ho con Bernoulli né col suo principio, ci mancherebbe. Il punto, come dici, è che viene applicato dove non dovrebbe. Ma non è nemmeno rabbia, è solo stupore che una spiegazione sbagliata abbia tutto questo successo, e non da Giacobbo ma addirittura nei corsi di laurea in fisica; soprattutto per il fatto che la vera spiegazione non è per nulla più complicata...

Lap(l)aciano said...

Bel post. Grazie per correggere questo errore.

hronir said...

Grazie.

Errore, del resto, in cui mi trovavo anch'io fino a qualche anno fa.

Anonymous said...

CAvoli, per anni ho citato la portanza bernoulliana per il volo degli uccelli... grazie per la correzione.
Due domande da profano:
1) più si va in alto più l'aria è rarefatta, quindi la quantità d'aria che viene "spinta" verso il basso dall'ala dell'aereo è minore. Se ne deduce che paradossalmente si vola meglio più vicini alla terra che lontani da quest'ultima? O è solo una cazzata mia?
2) Cosa succede se la forma della parte inferiore dell'ala è identica a quella superiore?

hronir said...

2) Cosa succede se la forma della parte inferiore dell'ala è identica a quella superiore?

Il fattore determinante è l'angolo di attacco: se hai un'ala simmetrica, ma vuoi "sollevarti dal suolo", inclinala un po' (con il bordo anteriore più sollevato del bordo posteriore) e l'aria verrà deviata verso il basso, dandoti portanza (verso l'alto).


1) più si va in alto più l'aria è rarefatta, quindi la quantità d'aria che viene "spinta" verso il basso dall'ala dell'aereo è minore. Se ne deduce che paradossalmente si vola meglio più vicini alla terra che lontani da quest'ultima?

Allora, vediamo, dal punto di vista della potenza necessaria a garantire la portanza direi che hai ragione: se ragioniamo "a velocità di crociera costante", la portanza dipende linearmente tanto dalla densità dell'aria quanto dalla velocità dell'aria deviata, per cui per mantenere la stessa portanza con densità d'aria dimezzata, bisogna raddoppiare la velocità con cui deviamo l'aria. D'altra parte la potenza richiesta per generare portanza, sempre a parità di velocità di crociera, dipende linearmente dalla densità dell'aria ma quadraticamente dalla velocità dell'aria deviata, e dunque se la prima dimezza e la seconda raddoppia, il risultato netto è una potenza richiesta raddoppiata, cioè costa più energia "mantenersi in quota" a quote elevate.
C'è però da tener presente anche l'energia richiesta per vincere l'attrito, che, sempre a velocità di crociera costante, dipende linearmente dalla densità dell'aria. Dunque dimezzando la densità dell'aria dimezza la potenza richiesta per avanzare (alla stessa velocità di crociera).
I due termini (potenza per la portanza e potenza per avanzare) vanno sommati e, riassumendo, sono il primo inversamente proporzionale alla densità e il secondo direttamente proporzionale. Ci sarà, dunque, una "quota ideale" che minimizza la potenza richiesta (a volare ad una data velocità di crociera): salendo ancora di quota si risparmia ad avanzare (meno attrito), ma si paga per restare in quota più di quel che si risparmia; scendendo di quota si risparmia per mantenere la quota ma si paga per continuare ad avanzare alla stessa velocità più di quel che si risparmia.
In ogni caso stiamo parlando di variazioni di quota significative, in cui si possa apprezzare la variazione di densità dell'aria. Se invece stai pensando al volo radente, lì entrano in gioco altri effetti (cui si accenna nell'articolo in inglese che ho accennato nel post) che non sono racchiusi nelle dipendenze potenza/quantità-aria-deviata/velocità-aria-deviata di cui ho parlato nel post e in questo commento.

Maurizio Manetti said...

Prima di tutto grazie per la spiegazione e per i preziosi link che alla fine ho avuto il tempo di leggermi.
Anche io conoscevo la spiegazione bernoulliana (per averla letta su un libro di fisica al liceo) ma non mi davo pace sul volo rovesciato. Un amico pilota d'aereo a cui chiesi molti anni fa mi parlò di angolo d'attacco e cose simili, ma all'epoca non avevamo né io né lui gli strumenti e la pazienza per intraprendere spiegazioni fisicamente corrette.
L'esperimento del cucchiaio sotto il rubinetto è illuminante!

hronir said...

Sì, la cosa incredibile è proprio che la spiegazione bernoulliana non è relegata ad un mondo parascientifico (chessò, Focus o Voyager) ma circola persino in ambienti accademici!

Grazie a te per il feedback, Mau!

Edo said...

Da tempo immemore quando vado in macchina metto la mano fuori dal finestrino e provo a formarla come l'ala dell'aereo per ottenere forze portanti ma non ottengo nulla di sensibile! L'unica cosa che provoca effetti (de)portanti e' cambiare l'angolo d'attacco. Grazie per l'illuminazione!

Ho preso spunto da questo post per la rubrica W la fisica che dio la benedisica su Siee Giuee Accaso

Edo said...

Anche le barche a vela usano l'effetto Coanda!

clodovendro said...

@Edo: soprattutto quando vuoi andare in barca controvento è bene usare in maniera appropriata gli effetti di fluidodinamica ;-)

hronir said...

Per le barche a vela c'è da tener conto anche del fatto che il profilo della vela, lungo cui l'aria aderisce e viene deviata, è esso stesso determinato dalle dinamiche del flusso d'aria...

davide scaini said...

grande Enzo... mi permetti di sputtanare il mio prof di fluidodinamica dell'epoca :) e lodare invece il mio prof di fisica (un matematico) delle superiori.


primo anno di fisica, corso di fluidodinamica, ovviamente il prof ci spiega l'effetto Bernoulli e subito dopo fa l'esempio dell'ala etc etc...
io a fine lezione mi avvicino e gli faccio:"scusi, ma da quanto so io Bernoulli non basta per spiegare il volo degli aerei, magari contribuisce si' in una qualche percentuale, ma dovrebbe essere piu' adeguato l'effetto Coanda... ?!?"
Lui:"Mai sentito!"
Io:"Ah, ok grazie, niente allora..."
Inutile dire che l'uomo non e' andato a leggersi nulla e non mi ha mai dato una risposta in merito... professore (anche) di didattica della scienza... vabbe'.

Ovviamente io avevo sentito parlare dell'effetto Coanda dal mio prof di fisica delle superiori (un mito) che ci aveva appunto spiegato che Bernoulli non basta...

Ciao
d

hronir said...

Ehi, Davide!
Ma infatti, anche nei corsi di fisica all'università la storia di bernoulli... spadroneggia!

Unknown said...

Ho letto questo[1] e non so perchè mi sei venuto in mente. Poi ho letto questo post e ho capito di aver pensato giusto.

Tutto ok?

Ciao,

Cristian

[1]http://it.wikipedia.org/wiki/Utente:Elitre/Progetto_Wikilibri_2011

hronir said...

Sai che non ho colto il nesso?

Anonymous said...

Ok, complimenti per la descrizione del perché gli aerei volano: c'è da sperare che negli anni futuri si senta sempre di meno la sciocchezza che Bernoulli ne è il motivo, unico o cmq dominante!
Una considerazione: non sembra esatto ritenere che sia il profilo superiore dell'ala a fare "la parte del leone" nel deviare il flusso d'aria verso il basso, ma che invece sia quello inferiore a dare un contributo rilevante se non addirittura dominante; questa ipotesi dovrebbe essere supportata da una variante dell'esperimento del cucchiaio che faccia sì che il flusso d'acqua lambisca anche la parte concava, ovvero facendolo investire da un ulteriore flusso che gli arrivi dall'altra parte del manico: la forza che sposta il cucchiaio nella stessa direzione della prima aumenta notevolmente. Controprova: facendolo lambire dal solo flusso d'acqua che scorre sulla parte concava il cucchiaio viene spinto sempre nella stessa direzione iniziale (prove effettuate direttamente e ripetibili senza difficoltà).
Saluti,
HH

hronir said...

Grazie Hybris del commento!
Non ho ancora trovato occasione per ripetere l'esperimento del cucchiaio facendo scivolare l'acqua sulla parte interna, ma non ho difficoltà a credere che il cucchiaio si sposti in maniera analoga all'altro caso.
Però (ri)leggendo l'articolo che cito all'inizio su aviation-history, sembra che ci siano ragioni più specifiche, rispetto ad una semplice analogia con l'esperimento del cucchiaio, per ritenere che in generale la portanza sia generata essenzialmente dal profilo superiore dell'ala: ne parla nei dintorni della figura 7.
Ciao!

Anonymous said...

Ho trovato una ottima spiegazioni in questo sito
https://www.cicap.org/new/articolo.php?id=274472
ma la spiegazione migliore è sull'enciclopedia EST (che però non mi risulta consultabile su Internet) sia come chiarezza che come completezza tecnico-scientifica nelle voci aerodinamica, ala e profilo aerodinamico. Sono andato a leggermele e, come spesso capita, approfondendo un argomento le cose risultano essere più complicate di quanto possa sembrare inizialmente; la ripartizione della portanza fra profilo superiore dipende da almeno tre fattori: angolo di attacco (ovvio...), dissimetria del profilo alare (ma Bernoulli e Coanda pare c'entrino molto meno di quanto si creda: l'efficacia degli ipersostentatori ad angolo variabile lo dimostrerebbe) e velocità relativa ala-aria (regimi sub, trans e supersonico).
Naturalmente non sulla EST... ma ho letto da qualche parte su Internet una domanda simpaticamente provocatoria per smontare "l'effetto Bernoulli": se la portanza dipendesse davvero quasi soltanto dal profilo piatto-sotto-e-curvo-sopra... come farebbero gli aeroplanini di carta a volare e soprattutto a fare le loro brusche impennate e picchiate? Visto che le loro ali sono piatte sia sopra che sotto, evidentemente il motivo dev'essere un altro!
HH

hronir said...

Certo, infatti il punto non è tanto "Bernoulli non basta, le cose sono più complicate", quanto "Bernoulli è irrilevante". E' chiaro che per progettare l'ala di un'aereo non basta una formuletta di Fisica I, ma resta il fatto che il principio fisico fondamentale che permette agli aerei di sollevarsi da terrà è la reazione alla deviazione dell'aria verso il basso.